C’è una grazia istintiva nei movimenti di certi attaccanti che il calcio sudamericano continua a generare come se fosse una benedizione genetica. Rayan, il diciannovenne del Vasco da Gama, è uno di questi. Un attaccante che gioca come se avesse il pallone in confidenza sin dalla culla, un predestinato che il campionato carioca ha visto maturare in silenzio, fra le pieghe di un progetto tecnico che oggi sta dando frutti succosi.
Un cartellino timbrato con la frequenza di un centravanti navigato, un ruolo centrale in un Vasco che ha riscoperto l’ambizione dopo anni di transizioni e amarezze. La sua ultima impresa, un gol che ha aperto il 2-0 sul Fluminense, è la sintesi perfetta del suo calcio: fisico e dolce, potente e preciso, con quell’eleganza naturale che distingue il grande attaccante dal semplice goleador.
Da ala a centravanti: un piano studiato
Non è stato un colpo di fortuna. Al contrario, la metamorfosi di Rayan è figlia di una precisa visione tecnica, concepita dallo staff del Vasco già da qualche anno. Il ragazzo, nato nel 2006, era stato educato come esterno sinistro, uno di quei dribblatori di fascia che il Brasile produce in quantità industriale. Uno alla Vinicius, per intenderci. Ma il club, osservandone la crescita, ha intuito che il suo futuro non sarebbe stato sulla linea laterale, bensì dentro l’area di rigore, nel cuore del traffico. Ad oggi il ragazzo fa la spola tra la posizione di centravanti e quella di ala destra, a piede invertito, insomma.
La scommessa era audace: trasformare un’ala sgusciante in un centravanti moderno. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Rayan oggi non è solo un attaccante che segna: è un riferimento tattico, un perno che sa muoversi nello spazio, ricevere spalle alla porta, farsi trovare nel tempo giusto.
La struttura fisica, 1,85 di altezza per un corpo asciutto ma potente, lo aiuta. La tecnica di base, affinata negli anni da esterno, lo completa. È un centravanti di formazione intellettuale: capace di comprendere i movimenti, di dosare la forza, di non ridurre il calcio a semplice atletismo. Il Vasco lo ha forgiato con pazienza, consapevole di avere tra le mani un talento da plasmare. E oggi, Rayan ripaga quella fiducia con prestazioni da uomo maturo. È diventato il volto nuovo di un club che vive di memoria e nostalgia, ma che in lui ha trovato un simbolo di rinascita.
L’elogio di Nuno Moreira e il paragone con Leão
A rendere la sua ascesa ancora più intrigante ci ha pensato Nuno Moreira, compagno di squadra e portoghese di formazione, che lo ha paragonato a un certo Rafael Leão. Un paragone che, di primo acchito, potrebbe sembrare ardito, ma che regge all’analisi.
Come Leão, Rayan alterna accelerazioni devastanti a momenti di apparente quiete, come un felino che osserva la preda prima di colpire. Ha lo stesso modo di condurre la palla a campo aperto, con il busto eretto e il pallone incollato al piede sinistro. Ma rispetto al portoghese, il brasiliano mostra già un istinto più verticale, meno amante del dribbling fine a sé stesso.
Moreira, che ha visto nascere e crescere Leão in patria, lo ha detto con chiarezza: “Rayan è straordinario. È giovane, ha talento e la mentalità giusta. Giocherà nei migliori club del mondo e farà la storia”.
È un riconoscimento che pesa, soprattutto in un Brasile che di promesse vive e muore con rapidità spaventosa. Troppi sono stati i calciatori identificati come “il nuovo Pelé”, “il nuovo Ronaldo” o “il nuovo Garrincha” che non sono riusciti a confermarsi dopo un inizio di carriera promettente. Resta da vedere se Rayan davvero diventerà “il nuovo Leão” o si avvicinerà finanche a una gazzella come Osimhen o a un purosangue come Asprilla.
Un talento che cresce senza clamore
Rayan non ha ancora ceduto al fascino dei riflettori. Le sue interviste sono poche, le parole misurate. Parla poco, gioca tanto. Sembra uno di quei ragazzi che hanno imparato che il calcio è un linguaggio che si esprime meglio coi piedi che con le frasi preparate. È cresciuto nel Vasco con l’umiltà di chi ha ancora tutto da imparare, e forse è proprio questa la sua forza.
Gli allenatori lo descrivono come un lavoratore instancabile, un ragazzo che arriva presto agli allenamenti e lascia il campo per ultimo. Nel calcio sudamericano, dove il talento è spesso accompagnato da leggerezza, Rayan spicca per dedizione e ordine mentale.
Il Milan, che da mesi lo osserva con curiosità, vede in lui un possibile erede di Leão per caratteristiche e prospettiva, ma anche per quella naturalezza con cui unisce velocità e potenza. In Portogallo, il Porto ne studia i progressi con la stessa attenzione. Ma per ora, Rayan pensa solo al Vasco e al suo rinnovo fino al 2028, una mossa che il club ha voluto fortemente per blindare il suo gioiello.
Il peso della responsabilità
Essere la nuova promessa del calcio brasiliano è un dono e una condanna insieme. Ogni tocco, ogni gol, ogni gesto viene sezionato, scrutinato e valutato. Ma Rayan sembra impermeabile a tutto questo. La sua crescita non è esplosiva ma costante, come quella di un atleta che conosce il valore della gradualità.
Il suo modo di giocare racconta una maturità tattica sorprendente. Quando arretra per cucire il gioco, non perde mai il senso dell’orientamento calcistico. Quando scatta in profondità, lo fa con tempi da veterano. È un attaccante che sa pensare, e nel calcio moderno, dominato dai “corridori” e dalle “imbeccate”, questo vale oro.
L’eco di un futuro inevitabile
Il Brasile lo osserva con un misto di affetto e timore, come sempre accade quando si intuisce di avere tra le mani un talento destinato a partire. Ma Rayan, almeno per ora, appartiene ancora alla sua gente. Al Vasco, che gli ha insegnato il mestiere e che oggi ne raccoglie i frutti. Ci sono giocatori che crescono tra gli applausi e altri che si forgiano nel silenzio. Rayan appartiene alla seconda categoria. È la prova vivente che la maturità non si misura con gli anni ma con la qualità del lavoro quotidiano.
Se il futuro gli darà ragione, e tutto fa pensare che sarà così, il Brasile avrà trovato non solo un goleador, ma un attaccante pensante, un centravanti moderno con l’anima da numero dieci o anche da vecchio numero undici. E allora sì, sarà lecito dire che il Vasco, nel suo laboratorio di São Januário, ha forgiato un altro piccolo capolavoro di calcio e umanità.

BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.









