MILAN LEGENDS – GIOVANNI TRAPATTONI: TRAPPATTONI PRIMA DI TRAPATTONI

NB: Grazie a “MagliaRossonera” per la fotografia di copertina.

Narrano di un centrocampista meticoloso, disciplinato, amante dei libri e dei dischi che legge e ascolta nella quiete della sua abitazione di Via Edera a Cusano Milanino.

Narrano della sua capacità di annullare mostri sacri del football, ordinariamente il Sivori di turno o eccezionalmente il dio del calcio, Pelè, giusto per fare due nomi. Affascinante e, a tratti, sorprendente il racconto di questo calciatore, perchè riferire di Giovanni Trapattoni prima di quello che ha vinto e stravinto sulle panchine di Italia e d’Europa diventa un’eccezionale scoperta. Tanto sappiamo del Trap allenatore, delle imprese e delle frasi divenute quasi idiomatiche, patrimonio della grande enciclopedia del calcio, amato e rispettato da tutti, ma si dimentica spesso la straordinaria carriera di un centrocampista unico nel suo genere, all’occorrenza arruolabile come difensore centrale o terzino, duttile e fisicamente prestante lì, nel mezzo, perchè prima che Ligabue celebrasse le doti celate del mediano Oriali e che Gattuso facesse il lavoro sporco con stakanovista dedizione agli ordini di don Carlo Ancelotti, c’è stato lui, Sanguisuga, uno dei centrocampisti di costruzione più forti della sua generazione.

Giovanni da Cusano Milanino è uno di quei giocatori a cui si può ordinare di tutto, che come un animale da soma si carica sulle spalle tutta la squadra, una sorta di Atlante della mediana. Gli dicono che non ha il tiro e lui ammette che avrebbe voluto averla la “castagna” e in un’antica intervista dei primi anni sessanta si vergogna di non fare tanti gol. Poche sono infatti le sue marcature con il Milan, soltanto 3 in 274 incontri, e si scopre che il primo non lo realizza nemmeno in campionato, parole sue, ma in una finale di Coppa Intercontinentale, al Santos di Pelé: “A San Siro ci sono cinquantadue mila spettatori, tutti per noi[…]. La prima partita è appena cominciata e non so come non so perché mi arriva un pallone al limite dell’area, chiudo gli occhi, tiro, riapro gli occhi, goal! Goal! Il primo da professionista. E contro il Santos di Pelé!”.

Bisogna ricordare che intanto Giovanni è arrivato al Milan passando da una delle tante squadre affiliate al Centro Sportivo Italiano e che gli osservatori del Diavolo lo chiamano per un provino. Colui che realizza il sogno di Trapattoni è il signor Malatesta che annuncia a lui e a Gilberto Noletti che sono stati presi. La felicità lascia subito spazio alla tristezza perché ha dovuto lottare per giocare a calcio, si è battuto contro il parere di suo padre e ha fatto sacrifici per raggiungere questo risultato.

Malatesta gli dice che non dovrà temere perché a suo padre piacerà la cosa, perché ha la stoffa per togliersi grandi soddisfazioni. Una storia molto simile ad un altro grande della panchina, Vujadin Boškov. Convinto il padre, inizia la carriera calcistica di Trapattoni che esordisce in Coppa Italia in Milan-Como del 24 gennaio 1960. Sulla Gazzetta scrivono il suo cognome con una “p” in più e diviene così Trappattoni. A questa partita è legato uno dei ricordi di vita più belli ma, nel contempo, triste del giocatore della provincia milanese: “Sono sulla bocca di tutti: «Il figlio del Francesco, il Trapattoni, in prima squadra nel Milan…». Lui mi aspetta giù in cucina e mi dice solo una frase: «Dovevi dirmelo, stavolta. Io non avrò la fortuna di vederti ancora». Tre giorni dopo quella frase un infarto se lo porta via. È un giovedì, torno dall’allenamento e trovo mia madre che piange disperata, i vicini di casa mi rassicurano che è morto senza soffrire. Un colpo secco. Perché mi ha detto quella frase? Come faceva a saperlo? Non smetterò mai di pensarci.”

Con il Milan arriva lo Scudetto del 1962, il primo grande successo della sua carriera che apre le porte al torneo più prestigioso, la Coppa dei Campioni, fino a quel momento ad appannaggio del binomio Real Madrid-Benfica. Il Milan fa un grande torneo, grazie alle quattordici marcature di José Altafini. L’ostacolo più complicato è l’Ipswich Town di un certo Alf Ramsey, che viene eliminato con il risultato complessivo di 4 a 2. Dopo gli inglesi, Galatasaray e Dundee sono ostacoli morbidi, si va a Wembley ad affrontare il Benfica di Eusebio. Dieci giorni prima della finalissima di Coppa, però, l’Italia ospita a San Siro il Brasile due volte campione del mondo di Pelé. A Trapattoni spetta l’incombenza della marcatura di O’Rey. Il fuoriclasse brasiliano viene annullato da Giuanin e lui entra nella storia del calcio. Il protagonista della storia racconta quella partita a modo suo: “Su com’è andata quella partita se ne sono dette e scritte tante. Ancora oggi, per quelli avanti con l’età o per i giornalisti a corto di perifrasi, io sono «quello che ha fermato Pelé», ma non mi stancherò mai di ripetere che quel giorno Pelé non stava bene e che era sceso in campo soltanto per rispetto nei confronti del pubblico di Milano.”

L’umiltà è una delle doti riconosciute al Trap, che è frutto anche di una vita fatta di sacrifici e povertà, la stessa che mette in campo quando si trova a dover marcare la Perla Nera Eusebio. Rocco gli dice: ”Giuanìn, mi raccomando, ricordati della pell del casso, eh!”

Ossequioso, gli si attacca proprio come una sanguisuga anche se Eusebio nel primo tempo riesce a scappare via tra lui, Benitez e Maldini e a trafiggere Ghezzi. Nella ripresa, il Milan trova la quadra e una doppietta di Altafini regala la prima Coppa dei Campioni della nostra gloriosa storia. Dopo la sconfitta nella Coppa Intercontinentale contro il Santos e con l’addio di Nereo Rocco, seguono anni senza sussulti, dove non si vincono trofei. Intanto Trapattoni vive un momento complesso dal punto di vista fisico a causa di un’aritmia che gli dà pensiero. I dottori lo assicurano che non è nulla di grave, lui allora si capacita e ricomincia a correre e a vincere trofei, anche perché a Milano è tornato Rocco.

Il 1968 è un anno di rivoluzioni, per il Milan è una stagione di vittorie.

Hamrin è un acquisto azzeccato e decide la finale di Coppa delle Coppe di Rotterdam contro l’Amburgo del grande Uwe Seeler, ovviamente marcato da Sanguisuga.

In campionato non c’è storia: il Milan stravince lo Scudetto con ben nove punti di vantaggio sul Napoli.

Nella stagione 1968/1969, la missione della compagine milanese è quella di tornare sul tetto d‘Europa e agganciare i cugini nel numero di vittorie nel trofeo. Trapattoni gioca nel mezzo e ricorda la dura semifinale di Manchester contro i Campioni d’Europa, nella quale i Red Devils di Best, Bobby Charlton e Law non sfondano il muro del Milan che non crolla grazie alla prova eccelsa della difesa e soprattutto di Cudicini, il Ragno Nero. In Finale arriva l’Ajax e al Trap compete la marcatura di un giovane talento, destinato a cambiare la storia del calcio: Johan Cruijff.

Il Milan trionfa per 4 a 1, ma Trapattoni finisce esausto la partita: ” Io esco dal campo ancora frastornato dalla fatica che mi è costata marcare quel Cruijff. Mi avevano detto che era forte, solo che una cosa sono le voci su un avversario, senza avere la possibilità di visionare un video o di vederlo giocare dal vivo, e una cosa è trovarselo contro in campo. Eusébio e Pelé li avevo marcati bene, quindi non mi sono preoccupato più di tanto per quest’olandese di ventidue anni. Io di anni ne ho trenta, ho tanta esperienza e ho pensato: “Che problemi potrà mai darmi un attaccante dell’Ajax?”. E invece… mai visto un giocatore come lui. Sembra sciare sul campo con il pallone tra i piedi.”

Trapattoni, assieme a Rivera, è il trait d’union tra il Milan del 1963, della prima Coppa dei Campioni, e quello del 1969, un’autentica bandiera.

L’anno si chiude con la vittoria della Coppa Intercontinentale contro l’Estudiantes. Dopo il 3 a 0 di Milano, alla Bombonera finisce 2-1. Segna Rivera e chiude i conti. Gli argentini riescono a ribaltarla ma il loro interesse è quello di colpire a sangue il povero Combin, considerato un traditore in patria, che esce dalla contesa con zigomo e naso fratturati.

Gli anni passano e Trapattoni inizia a farsi attento osservatore dei giovani, a dare consigli sui movimenti e sulle posizioni da tenere in campo.

Nasce forse lì la sua vocazione di allenatore. Intanto, va a chiudere la carriera al Varese, ma Rocco gli dice che lo aspetta per lavorare insieme in panchina perché il Paron conosce il talento ed è “uno che le frasi le scolpisce nel granito.”

Al Milan torna come collaboratore dell’allenatore triestino e nella stagione 1975/1976 è il titolare della prestigiosa cattedra. Sarà una parentesi sfortunata, che sembra complicare sul nascere la sua nuova occupazione.

Da Torino chiama Boniperti che lo vuole alla Juventus.

È una mossa a sorpresa, ma vincente.

Giovanni diventa il noto Trapattoni che vince tutto, in Italia e in Europa.

Non si fa mancare nulla: insieme a Udo Lattek, ha vinto le tre principali competizioni UEFA del suo tempo.

Nel 1986 torna a Milano ma all’Inter e nel 1989 vince lo storico Scudetto dei record.

Va all’estero e anche lì mette in bacheca titoli con Bayern Monaco, Benfica (che torna al successo dopo undici anni) e Salisburgo.

Ha collezionato 17 presenze con la Nazionale e segnato un gol, in amichevole all’Austria.

Ha allenato l’Italia, che ha guidato nel Mondiale nippo-coreano del 2002, e la Nazionale irlandese.

Con il Milan da calciatore ha vinto due Scudetti (1961/1962; 1967/1969), una Coppa Italia (1966/1967), due Coppe dei Campioni (1962/1963; 1968/1969); una Coppa delle Coppe (1967/1969) e una Coppa Intercontinentale (1969).

BIO: VINCENZO PASTORE

Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.

Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.

Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”

Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.

4 risposte

  1. Bellissimo articolo sul Trap carissimo Vincenzo che resta a mio avviso l’allenatore più rappresentativo del Calcio italiano. Vivendo a Roma ricordo di averlo visto, ero dodicenne, nel 1960 agli allenamenti per le Olimpiadi e dove conobbe e frequento’, l’anno successivo vi svolse nella capitale il servizio militare, la sua futura compagna nativa dei Castelli Romani Paola Miceli venuta a mancare nello scorso Settembre e che sposò a Grottaferrata nel ’64 e dalla cui unione ha avuto due figli, una femmina ed un maschio. Peccato che quest’ultimo non abbia voluto seguire le orme del padre. Il mondo del calcio avrebbe sempre bisogno di persone competenti e leali come il grande Trap!
    Buona giornata.

    Massimo 48

  2. Grazie Massimo! Non ho fatto menzione delle Olimpiadi romane durante le quali nacquero diversi amore e alcuni furono chiacchierati o immaginati, come quello tra Berruti e Wilma Rudolph, due velocisti che lasciarono il segno in quell’edizione. Trapattoni lo si accosta solitamente alla panchina, come uno dei più grandi, ma la carriera da calciatore è stata davvero grande e merita di essere raccontata.

    Forza Milan

    Vincenzo

  3. Vincenzo, forse hai dimenticato quella che sarebbe stata la grande impresa, il mancato scudetto alla Fiorentina, per la contemporanea assenza di Batistuta per malattia e il carnevale di Rio per Edmundo. La Fiorentina era prima se ben ricordo a fine andata.

    Non perdono a Trapattoni la mancata convocazione di Baggio al mondiale 2002.

    Comunque bellissimo ripasso di storia.

  4. Carissimo Giuseppe scusami se non è ho fatto menzione ma sul Trap si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Ricordo benissimo l’infortunio di Batistuta, proprio contro il Milan nello scontro diretto. Ricordo dell’1-3 di Milano siglato da Batigol che avvalorò le ambizioni viola, ma la storia ha preso un’altra piega.

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