LA STORIA DEL TITOLO MONDIALE PER CLUB – 3^ PARTE, DA JUVENTUS – RIVER PLATE DEL ’96 AD OGGI

Nel 1996 la Juventus, a distanza di undici anni e alla quarta finale nella più importante manifestazione continentale (e non immaginando in quel momento che nei successivi cinque lustri si sarebbero susseguiti altri cinque atti conclusivi non bastevoli per riportare il trofeo a Torino), si laurea per la seconda volta campione d’Europa.

ll ciclo iniziato l’anno precedente, sotto la guida tecnica di Marcello Lippi, raggiunge dunque il suo apice in quel di Roma: l’Ajax cede lo scettro continentale alla compagine bianconera solo dopo i calci di rigore, con le marcature di Ravanelli e Litmanen (capocannoniere della manifestazione con nove reti) a decretare l’uno a uno parziale e conseguentemente non risolutivo fra bianconeri e lancieri. Competitività e blasone condurranno negli anni successivi la Juve alla possibilità di compiere una striscia consecutiva di trionfi (sfuggita per la seconda volta dopo l’era Trapattoni) che avrebbe condotto nella bacheca sabauda un numero di coppe più consono alla grandezza di un club che occupa la quarta piazza nella classifica storica di rendimento nella totalità delle competizioni internazionali. Un ipotetico filotto mancato che fa oggi la differenza con le poche altre società dello stesso peso, capaci di massimizzare il proprio periodo aureo.

La conquista della Champions League consente alla Juventus di laurearsi per la seconda volta nella sua storia campione del mondo battendo, in quel di Tokyo, il River Plate di Ortega, Francescoli, Julio Cruz e Marcelo Salas. Una rete di Alessandro Del Piero, a dieci minuti dallo scadere dei tempi regolamentari, suggella una gara sostanzialmente comandata dalla Vecchia Signora, con Zidane e Boksic protagonisti di una prova maiuscola e sontuosa: a tratti straripante e letteralmente incontenibile l’attaccante croato, un giocatore straordinario la cui unica pecca, non di poco conto, era rappresentata dal conflittuale rapporto con il gol.

La marcatura decisiva non varrà però per “Pinturicchio”, autore di un’annata meravigliosa, il lasciapassare verso la conquista del pallone d’oro: Del Piero giungerà solo quarto nella più prestigiosa graduatoria continentale individuale, alle spalle di Sammer, Ronaldo ed Alan Shearer. Campione d’Europa e del mondo in carica, reduce dall’altisonante successo in semifinale ai danni dell’Ajax (letteralmente annichilito nella gara di ritorno in virtù di una prestazione collettiva sensazionale e sublime a livello individuale, in particolar modo di uno straordinario Zidane) nonché da un campionato dominato (e altresì da una Supercoppa Europea vinta dopo aver surclassato complessivamente per 9 reti a 2 il Paris Saint Germain), nel 1997 la Juventus perde contro il Borussia Dortmund (infarcito di molti ex bianconeri, con Kohler, Reuter, Paulo Sousa e Moller titolari) e cede ai tedeschi, campioni per la prima e unica volta nella storia, lo scettro continentale. La doppietta di Riedle ed il delizioso pallonetto di Ricken consentono ai gialloneri di trionfare, facendo passare in secondo piano il sublime colpo di tacco di Alessandro Del Piero del momentaneo 2-1 e decretando una delle serate più amare dell’intera storia bianconera, a posteriori uno dei rimpianti più grandi considerando il valore di quella compagine, in quegli anni di gran lunga la più forte del Vecchio Continente.

È così il Borussia Dortmund di Nevio Scala a poter disputare la Coppa Intercontinentale: il Cruzeiro cede ai tedeschi per due reti a zero, grazie ai sigilli di Zorc ed Herrlich. La Vecchia Signora si presenta nel 1998 per la terza volta consecutiva in finale di Champions League: i bianconeri, dopo l’inaspettata sconfitta contro il Borussia Dortmund, cadono anche al cospetto del Real Madrid; la compagine spagnola alza al cielo di Amsterdam la settima Coppa dei Campioni della propria storia dopo un digiuno di ben 32 anni (ultimo successo contro il Partizan Belgrado nel 1966).

Un contestatissimo gol di Mijatovic, che le immagini conclameranno in fuorigioco, riconsegna dunque l’Europa ai blancos: per la Juve le due sconfitte consecutive negli atti conclusivi successivi alla vittoria contro l’Ajax, in quel di Roma, sanciscono ulteriormente, alla sesta finale nella manifestazione, il rapporto non propriamente idilliaco con la coppa dalle grandi orecchie, nonostante un rendimento storico nella competizione con pochi eguali. Questa edizione passerà alla storia non solo per il ritorno al successo, dopo oltre tre decadi, del Real, ma principalmente per aver consentito, per la prima volta, l’accesso alla competizione, canonicamente riservata ai vincitori dei campionati nazionali, alle squadre seconde classificate dei paesi occupanti le prime otto posizioni del ranking UEFA.

Una svolta epocale, preludio dei successivi cambiamenti. II Real Madrid, a distanza di trentotto anni dal primo e sino allora unico successo, fa sua anche la Coppa Intercontinentale battendo in quel di Tokyo il Vasco da Gama per 2-1. Di Raul la rete decisiva a sette minuti dallo scadere.

Nel 1999 l’epopea sabauda in Champions League s’interrompe in semifinale:il quarto consecutivo atto conclusivo è precluso ai bianconeri dal Manchester United che, in quel di Barcellona, conquisterà il trono europeo grazie alla rocambolesca vittoria ottenuta nel corso dei minuti di recupero contro il Bayern Monaco. Sono dunque gli uomini di Ferguson a volare a Tokyo: grazie ad una rete di Roy Keane il Manchester United batte il Palmeiras e si laurea per la prima volta campione del mondo per club. La curiosa particolarità risiede nel fatto che la Coppa Intercontinentale vinta dai mancuniani rappresenta anche il primo successo in assoluto per una compagine del calcio inglese.

Nel 2000 il titolo iridato torna in Sud America: il Boca Juniors batte il Real Madrid per due reti ad una e si aggiudica per la seconda volta la Coppa Intercontinentale. Martin Palermo, con una doppietta nei primi cinque minuti di gioco, definisce l’itinerario del trofeo: a nulla vale, se non per le statistiche, il timbro di Roberto Carlos.

I “Citizens”, l’anno seguente, saranno però costretti a cedere lo scettro mondiale al Bayern Monaco che, grazie ad una rete di Kuffour durante i tempi supplementari, colloca nella propria bacheca il secondo titolo intercontinentale.

Nel 2002 il Real Madrid batte per due a zero l’Olimpia di Asuncion in virtù delle reti di Ronaldo e Guti laureandosi campione del mondo per la terza volta. Ad ospitare l’incontro è il nuovo impianto di Yokohama, realizzato in occasione dei campionati del mondo disputati in Giappone e Corea del Sud.

E, così, giungiamo al 2003, l’anno in cui, dopo i quattro precedenti in Coppa UEFA dislocati nell’ultimo decennio dello scorso millennio, è la Coppa dei Campioni ad ospitare un atto conclusivo esclusivamente autoctono: Milan e Juventus, due fra le grandi favorite della vigilia, si affrontano a Manchester per stabilire chi fosse in diritto di issare il proprio vessillo sul continente. Reduci da percorsi entusiasmanti ed in alcune circostanze cosparsi di vibrazioni uniche (come la rete che consente ai rossoneri di avere la meglio sull’Ajax allo scadere, nonché l’iconica parata di Abbiati su Kallon nel ritorno della semifinale contro l’Inter e altresì, sponda bianconera, la marcatura di Zalayeta che consente alla Juve di eliminare il Barcellona nel corso dei tempi supplementari al Camp Nou), le due società più titolate dell’italico universo calcistico non si rendono però protagoniste, a differenza dei turni precedenti, di uno spettacolo conclusivo che possa definirsi anche solo lontanamente entusiasmante. Un paio di occasioni nel corso dei tempi regolamentari (traversa di Conte e miracolo di Buffon su Pippo Inzaghi) non evitano l’epilogo dei calci di rigore: ad avere la meglio sono gli uomini di Ancelotti che, grazie al decisivo tiro dagli undici metri di Shevchenko, conquistano la sesta coppa della storia meneghina.

È il lasciapassare per il Giappone e per l’Intercontinentale, un trofeo che il Milan non vince dal 1990 e che per Maldini e compagni resta tabù: nella finale contro il Boca Juniors le affinità con l’ultima sconfitta del 1994 al cospetto del Velez sembrano beffardamente ripetersi. A sedere sulla panchina del Boca è Carlos Bianchi, allora tecnico del Velez, e, soprattutto, è nuovamente sfortunata la prestazione di Costacurta che, dopo l’insufficiente e probabilmente decisiva prova di nove anni prima, “ciabatta” il rigore decisivo consegnando, dopo l’1-1 dei tempi regolamentari, il trofeo agli argentini.

Ai calci di rigore anche l’edizione del 2004 vinta dal Porto contro i colombiani dell’Once Caldas, che passerà alla storia come l’ultima edizione della manifestazione (a onor del vero ribattezzata tale nello scorso dicembre per essere differenziata dal neonato Mondiale per club): l’epopea della Coppa Intercontinentale organizzata dalle federazioni europea e sudamericana, dopo 44 anni, cala il sipario a favore del mondiale per club gestito direttamente dalla FIFA.

Vi partecipano le sei vincitrici delle rispettive competizioni continentali: i rappresentanti dell’Oceania, dell’Africa, dell’Asia e del Centro-Nord America si scontrano fra di loro nei quarti di finale. Le vincenti di queste sfide raggiungono in semifinale le vincitrici della UEFA Champions League e della Coppa Libertadores. È il San Paolo, dopo i due consecutivi successi del 1992 e del 1993, a iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro della modificata competizione intercontinentale: a farne le spese è il Liverpool, presentatosi quale rappresentante del Vecchio Continente dopo aver avuto la meglio sul Milan ad Istanbul nella più rocambolesca fra le finali disputatesi nella storia della Champions League.

Nella stagione successiva è ancora il Sud America a trionfare: i brasiliani dell’Internacional di Porto Alegre hanno la meglio per 1-0 sul Barcellona di Rijkaard. A distanza di 17 anni dall’ultimo trionfo sarà proprio il Milan, con un perentorio 4-2 nei confronti del Boca (e dopo aver avuto la rivincita sul Liverpool in quel di Atene) ad autografare il primo successo dell’Europa nel nuovo formato.

Un preambolo di ciò che da quel momento in poi accadrà pressoché sempre, con il solo Corinthians nel 2012 capace di incunearsi nel dominio delle compagini europee: saranno 6 i titoli conquistati dal Real Madrid, 3 dal Barcellona, due dal Bayern con altresì un sigillo a testa per Manchester United, Inter, Liverpool, Chelsea e Manchester City.

BIO: ANDREA FIORE Teoreta, assertore della speculazione del pensiero quale sublimazione qualitativa e approdo eminentemente più aulico della rivelazione dell’essenza di sé e dello scibile, oltre qualsivoglia conoscenza, competenza ed erudizione quali esclusive basi preliminari della più pura attuazione di riflessione ed indagine. Calciofilo, per trasposizione critico analitico di ogni sfaccettatura dell’universo calcistico, dall’ambito  tecnico-tattico all’apparato storico, dalla valutazione individuale e collettiva ai sapori geografici e culturali di una passione unica. La bellezza suprema del calcio è anche il suo aspetto più controverso: è per antonomasia di tutti e tutti pensano di poterne disquisir

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