I GIOVANI, IL CALCIO E LO SPORT: IL TEMPO PERDUTO DELLA SPENSIERATEZZA

Una volta lo sport, per i bambini, era gioco.

Era una corsa scalza sull’erba, erano ginocchia sbucciate, pallone bucato rattoppato col nastro isolante, e sogni troppo grandi per quei campetti di periferia. Oggi, purtroppo, sembra essere diventato tutt’altro: una vetrina, una prova, un palcoscenico dove bisogna subito performare per arrivare a guadagni importanti con procuratori pronti ad intervenire anche su ragazzi di giovane età.

Sempre più spesso, vediamo bambini che scendono in campo con la paura di sbagliare, più preoccupati di non deludere mamma o papà che di divertirsi davvero. E intorno a loro a bordocampo genitori che urlano, protestano, giudicano (fortunatamente non tutti).

Arbitri insultati, allenatori messi in discussione dai genitori e dai dirigenti se non portano subito risultati soddisfacenti, bambini trattati come piccoli professionisti. La maleducazione dilaga, il rispetto si perde, e la spensieratezza svanisce sotto il peso delle aspettative.

Questo atteggiamento non rimane confinato negli ambiti sportivi. Si trascina anche nella vita di tutti i giorni contro le istituzioni, nella scuola, nei rapporti con gli insegnanti e con gli altri bambini. Mia moglie insegna, e speso mi racconta di episodi che, fino a qualche anno fa, sarebbero stati impensabili: genitori che difendono l’indifendibile, ragazzi che non accettano un voto basso come non accettano una sconfitta sul campo o una sostituzione, scimmiottando i professionisti all’uscita dal campo. È il riflesso di una società che ha smarrito il senso del gioco e dell’educazione.

Il calcio, in particolare, ne è lo specchio più evidente.

Una volta si giocava per amore del pallone, per il gusto di toccarlo, di sentirlo tra i piedi, di provare quel gesto tecnico mille volte contro il muro: destro, stop di sinistro, e viceversa. Si imparava a “sentire” il pallone, a dominarlo, a dargli un’anima.

E allora mi viene da chiedermi: dov’è finita la tecnica, dove sono finiti i maestri di punizioni?

Negli anni ’80 e ’90, bastava un fallo dal limite per accendere la fantasia. Zico, Maradona, Branco, Edinho… e poi Del Piero, Beckham, Juninho Pernambucano: ognuno aveva il suo rito, il suo modo di accarezzare la palla e disegnarne la traiettoria, tecnica pura affinata in ore e ore di allenamento. 

Oggi, di punizioni così, se ne vedono pochissime. È cambiato tutto: la preparazione atletica, le tattiche, perfino la mentalità. Ma insieme a tutto questo, temo, abbiamo perso anche un po’ di poesia.

Forse dovremmo tornare a insegnare ai nostri bambini che lo sport è prima di tutto gioia, non ansia di rendimento. Che un errore non è un fallimento, ma un passo verso il miglioramento. Che non servono urla dagli spalti, ma incoraggiamenti sinceri.

E poi c’erano gli oratori.

Sempre pieni, vocianti, caotici e meravigliosi. Bastava un pallone e una giacca per fare i pali, e il pomeriggio volava tra risate e piccole sfide. Nei campetti, nei parchetti, nei cortili, ovunque si poteva, si giocava e si affinava la tecnica anche grazie ai più grandi e importava poco e niente della tattica. Oggi, invece, gli oratori sono vuoti, silenziosi. I campetti chiusi, o trasformati in parcheggi.

E per molti bambini, l’unica possibilità di giocare è iscriversi a una scuola calcio — spesso con costi sempre più proibitivi per le famiglie.

Ma il calcio, quello vero, non dovrebbe avere prezzo.

Il calcio deve tornare a essere passione, non solo scarpini colorati, cerchietti ed elastici nei capelli, ormai si entra in campo come se si dovesse andare a sfilare su una passerella, non polemiche e aspettative.

Dovrebbe essere ancora quell’amico fedele che ti accompagna nell’infanzia, ti insegna la lealtà, la fatica, la gioia della condivisione.

Oggi, invece, rischiamo di crescere generazioni di piccoli atleti stanchi, già delusi, incapaci di sognare. Eppure basterebbe poco per ritrovare la magia perduta: un pallone, un muro, qualche risata, e la libertà di sbagliare.

Perché solo così, tra un rimbalzo imperfetto e un sorriso vero, può rinascere la passione che ci ha fatto innamorare del calcio.

E forse, un giorno, gli oratori torneranno a riempirsi di nuovo.

Questo è lo sfogo di un cinquantenne che ha passato la vita a giocare a calcio negli oratori, nelle scuole calcio e ovunque ci fosse uno spiazzo in piano, dove la passione per questo sport è nata, cresciuta e radicata. Spero che i ragazzi di domani tornino sui campetti a giocare piuttosto che sui social a sentenziare o davanti alle consolle a passare le ore. Forse sono ormai fuori dai tempi (boomer come dicono i miei figli) o troppo malinconico ma io ci credo ancora…e forse torneremo a vedere i goal su punizione nei campionati professionistici e qualche dribbling in più sulla fascia.

BIO: Franco Morabito è nato nel 1970 a Milano, vivo in provincia di Milano e, oltre ad essere milanista praticamente da sempre, sono un amante della lettura, dei viaggi e dello sport. Ogni libro che leggo, ogni luogo che visito e ogni sfida sportiva che affronto mi regalano nuove emozioni, che cerco di trasformare in storie da condividere con chi ama lasciarsi trasportare dalla fantasia e dall’avventura. 

Autore del romanzo “il sogno di Moleque” e lavora come impiegato in una struttura ospedaliera.

8 risposte

  1. Buongiorno Franco: io, di poco più grande di te (sicuramente non in statura), mi ritrovo perfettamente in ciò che ho appena letto. Cresciuto in strada a sperimentare qualsiasi tipo di calcio (porticine, palleggi, muretto, gol solo di testa al volo e chi più ne ha più ne metta), oggi vedo ragazzini che imitano i divi ed oratori che si trasformano in scuole (o squole!) calcio. I costi delle società poi, sono proibitivi e l’unica soluzione per chi è povero rimane il parco…poi ai mondiali ci va la Norvegia.

    1. Buongiorno Gian Paolo, grazie per il commento. Vedo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda e ormai penso che siamo in un punto di non ritorno.

    2. E allo sfogo del cinquantenne e sagace scrittore Franco fa eco un pressoché ottantenne ex tecnico elettronico che, dopo aver cestinato le parole crociate si diletta, di tanto in tanto, al fine di trascorrere al meglio le grigie giornate della pensione leggendo e scribacchiando nel meraviglioso blog ideato dal grande Filippo Galli. Quando poi ci si imbatte in una lettura come questa che narra le vicissitudini del passato con la sua spensieratezza di un mondo che praticamente non esiste più …beh!!…mi si inumidiscono gli occhi al solo ricordare il mio oratorio di San Tito dove giocavo in un cortile e con un pallone di cuoio, quel modello ancora con i lacci, erano i difficili anni 50, quelli del dopoguerra ancora segnati da tanta povertà. Ebbene eravamo profondamente attaccati a quell’unico pallone dell’oratorio e che settimanalmente ingrassavamo …ragazzi che tempi!!…soltanto pochi ragazzini potevano permettersi di indossare gli scarpini…ricordo un anno quando ne espressi il desiderio di riceverli in dono nella lettera dedicata a Babbo Natale e riposta a tavola al pranzo Vigilia sotto il tovagliolo di mio padre!
      Altra era, altro mondo…ora è tutto diverso!
      Grazie mille Franco per questo ricordevole e prezioso contributo!
      Buona serata .

      Massimo 48

  2. Franco ho letto con passione il tuo articolo. Io ho ottan’anni, da bambino ho smesso di fare lo sceriffo, l’indiano o il cavaliere del VII cavalleggeri a 9 anni compiuti.
    Vedevo giocare a calcio su due marciapiedi i miei amici. Il marciapiede sarà stato 4x 12 e si giocava uno contro tutti con una sola porta (con pietre a delimitazione), chi faceva più gol vinceva.
    Si giocava anche sulle strade in costruzione, soprattutto dopo il passaggio dello schiaccia sassi e prima della catramata.
    Poi c’era uno spiazzo di cemento (accampamento bellico degli inglesi), un’area del vecchio stadio abbattuto, tutta libera che si divideva striscindo le scarpe nella polvere in non meno di sette campetti con squadre di sette elementi.
    C’erano due oratori con relativi campetti, oltre la domenica il campetto del seminario regionale. Infine, uno spiazzo verde ai bordi della scogliera della prima cala.
    Il vociare era per tutta la città. Non esistevano le scuole calcio, nè tanto meno i tecnici, salvo quelli delle prime squadre delle cittadine.
    La palla era di gomma (credo pirelli) di tre misure diverse, poi arrivarono i supersantos.

    Il calcio era gioia. Quindi hai ragione. I nostri genitori avevano ben altre preoccupazioni che vedere giocare i figli a calcio e criticare i compagni di squadra, gli arbitri e gli allenatori.

    Ma, ciò nonostante, quando giocavo a calcio ero felice. Questa felicità mi ha accompagnato fino ai 18 anni (juniores), qualche altra partita nella squadra universitaria. Anche quella era gioia.

    Purtroppo, soprattutto per le totali diverse condizioni di vita, oggi questa gioia non esiste più. Noi a scuole chiuse sciamavano dalle case nelle strade alle 10,30 del mattino e alle 17 del pomeriggio. Si facevano tutti i giochi, ovviamnente divisi per fasce di età.

    In alternativa si andava all’oratorio, ove si faceva anche la trafile ecclesiastica (chierichetto). Ma era sempre gioia. Il pronome che anticipava il verbo era “noi” e non “io”.

    Questa memoria storica per dare forza al tuo discorso di 55 enne, per dirti che ciò che tu rimpiangi, prima era ancora molto di più.

    Era meglio prima? Non lo so, ogni epoca ha le sue caratteristiche e non sono comparabili in assoluto.

    Perdona la mia prolissità

    1. Buongiorno Giuseppe Mario, leggere queste righe mi fa capire ancora di più che abbiamo preso la strada sbagliata…e come si suol dire si stava meglio quando si stava peggio. Penso che sia proprio così e noi che quegli anni li abbiamo vissuti lì ricorderemo per sempre con affetto. Noi ricordo che giocavamo anche in una stradina quasi a U dove da una porta (due zaini) non si vedeva l’altra, ma eravamo felici.
      Buona giornata

    2. Il calcio giovanile non può essere solo business.
      Troppi interessi, troppa indifferenza.
      Servono idee nuove, etica e formazione vera (dai dirigenti, dai tecnici, dai genitori).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *