IN ATTESA DI CAVALLO PAZZO

Il Milan di Max Allegri ha regolato la Roma a San Siro in un match a due volti. I rossoneri si sono riportati a un punto dal Napoli, raggiungendo la squadra di Gasperini, in coabitazione con i cugini nerazzurri.

Nelle gare post sosta il tecnico livornese ha dovuto rinunciare a Pulisic e Rabiot, due dei grandi protagonisti delle precedenti settimane. Senza di loro, il rendimento è stato lineare ma meno brillante: due vittorie di misura e due pareggi. Leão, il cui talento non lo scopriamo certo oggi, è tornato ad accendersi, a partecipare ai gol, ma la mancanza di Pulisic pesa. L’americano, con la sua capacità di saltare l’uomo e concludere a rete, era diventato l’elemento che rompeva gli equilibri. In sua assenza, il Milan gioca, ma è meno effervescente e letale.

Poi c’è Adrien Rabiot, il più discusso e il più necessario. Un giocatore che divide come pochi altri: per personalità, per stile, per quella sfrontatezza che appartiene solo ai francesi borghesi. Con la maglia della Juventus ha collezionato le stesse presenze di un mostro sacro come Zinedine Zidane, naturalmente non godendo dello stesso credito. È uno di quei calciatori che non si spiegano solo con le statistiche.

Rabiot è stato tutto e il contrario di tutto: centrocampista totale e corpo estraneo, a seconda del contesto. A Marsiglia, De Zerbi lo ha rimesso al centro del gioco, restituendogli autostima e ritmo. A Milano, invece, Rabiot ha trovato un equilibrio che pare naturale, come se fosse nato per giocare in questo sistema. Non è un fuoriclasse da copertina, ma uno di quei giocatori che danno struttura a una squadra: corre, chiude, accompagna, si inserisce. Ha polmoni che sembrano inesauribili, prende tutto di testa e non si tira mai indietro nei contrasti. È un centrocampista “tuttocampista” nel senso più letterale e meno celebrativo del termine.

Allegri lo ha ritrovato trasformato. Rispetto all’ultimo periodo in bianconero — quando sembrava svuotato, con controlli ruvidi e accelerazioni improvvisate — oggi Rabiot è un giocatore più pulito, più lucido, più utile. Ha ritrovato la leggerezza nel passo e la precisione nel gesto tecnico. E quando un giocatore del genere ritrova voglia e fiducia, contagia il gruppo intero.

Il Rabiot visto in questo primo scorcio di stagione, prima dell’infortunio è un giocatore completo, lucido, quasi sereno. Ha una visione di gioco ampia, di quelle che nascono da un pensiero e non solo da un istinto. Alterna lanci lunghi millimetrici a conduzioni sicure, trasformando spesso situazioni complicate in piccoli esercizi di stile.

Rabiot vive anche della compagnia illuminante di Modrić, che orchestra e detta i tempi con la naturalezza del demiurgo, e della protezione muscolare di Fofana, equilibratore silenzioso. In questo triangolo di intelligenze calcistiche il francese sembra aver trovato la sua dimensione più autentica: meno anarchico, più consapevole.

Le opacità dell’ultimo periodo juventino sono ormai un ricordo lontano, come una vecchia fotografia che ha perso colore. Allora appariva svogliato, quasi distratto; oggi, invece, è tornato a essere centrale, determinante, perfino ispirato. Il suo passaggio al Marsiglia, che molti avevano scambiato per il preludio a un tramonto dorato, si è rivelato una tappa di rinascita. Allegri lo ha riportato al centro del progetto con una fiducia quasi paterna, e lui ha risposto presente.

Resta tuttavia un ultimo nodo che potrà essere sciolto solo dal campo, implacabile giudice supremo: Adrien Rabiot deve garantire continuità. Continuità a livello fisico, mentale e, soprattutto, di prestazioni. È una sfida anche personale, perché per tornare in pianta stabile nella nazionale francese dovrà dimostrare di saper reggere la stagione sul piano atletico, senza ricadute o pause di rendimento. Il ricordo del 2018 pesa ancora: quando rifiutò di essere riserva, saltando quel Mondiale che avrebbe potuto segnare la sua consacrazione. Ora, a distanza di anni, è chiamato a trasformare quella ferita in maturità, quella ribellione in energia costruttiva.

La lotta scudetto non passa solo dai sapienti piedi di Modrić o dalle reti di Pulisic, ma dal lavoro da tuttocampista di Cavallo Pazzo. Colui che sembra avere il dono dell’ubiquità quando è nelle migliori condizioni psicofisiche. A Milano si augurano che Adrien Rabiot riprenda da dove aveva lasciato, in quello stato di grazia mostrato a inizio anno, perché la sua rinascita, anche con la maglia dei Bleus, più che un semplice ritorno, avrebbe il sapore di una catarsi.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

Una risposta

  1. Bel pezzo Vincenzo! È fuor di dubbio che l’assenza simultanea di due giocatori quali il trentenne Adrien Rabiot unitamente a quella del nostro miglior marcatore Cristian Pulisic hanno rappresentato in pratica la mancanza di quella preziosa architrave dalla metà campo in su che regge e propone il gioco costruttivo ed offensivo del nostro Milan. Ma tutto sommato non è andata poi così male, a parte i due punti buttati via in casa contro il coriaceo Pisa.
    La recente vittoria con una squadra tosta come la Roma ha ringalluzzito tutto l’ambiente attorno al nostro Diavolo…e la cura del coach livornese sembra stia facendo effetto.
    Ora tocchiamo ferro per la prossima sosta Nazionali, è da lì che partono sempre i nostri Mali!
    (rima compresa)
    Buona serata.

    Massimo 48

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