PROTOCOLLO TECNICO U14

Dopo aver ricevuto numerose sollecitazioni da allenatori e da altre figure professionali, proviamo ad esporre il nostro pensiero rispetto al Progetto U14.

Prima di spiegare di cosa si tratti, partiamo con una premessa: Il fenomeno dell’abbandono precoce nello sport, noto come “drop-out sportivo”, non riguarda solo il calcio ma anche altre discipline sportive e colpisce particolarmente i ragazzi tra i 13 e i 16 anni. Tra le cause principali vi è la perdita di interesse, con un dato significativo pari al 39,1%.

Torniamo al Progetto U14. Di cosa si tratta?

Come ha spiegato Maurizio Viscidi, coordinatore tecnico delle Nazionali Giovanili Maschili, è un “Modello di allenamento basato su tecnica e dribbling”.

Il nuovo “protocollo” federale, termine che, quando si parla di pratica sportiva e umana, fa venire i brividi, prevede per i giovani calciatori, di 13-14 anni, alcuni esercizi: Ball Mastery (giocatore fermo sul posto), controllo e passaggio lungo in analitico (ragazzo passivo), colpo di testa analitico con la palla di gomma (ragazzo passivo) e lo sprint inteso come test di velocità (corro veloce senza palla). Sempre per onestà il “protocollo” prevede anche le seguenti esercitazioni: 1vs1 offensivo e difensivo, conduzione e risoluzione situazionale 2vs1, smarcamento, controllo e passaggio (possessi di posizione 3vs3+2 e 4vs4+3),

Ciò che a mio avviso stona è l’idea su cui sembra fondarsi il progetto: proporre e imporre un eserciziario standard in tutti i centri tecnici nazionali. Così facendo non si tiene conto delle varietà delle esperienze vissute dai ragazzi e ragazze e si tende ad uniformare anzichè valorizzare le differenze nelle modalità di espressione del talento.

Scrivendo per il blog “La complessità del calcio” non possiamo non evidenziare come nel “protocollo” si manifesti un pensiero riduzionista, forse nella convinzione che la formazione del giocatore possa essere ottenuta attraverso la somma di esercizi tecnici. Il calcio non è una catena di gesti meccanici: è relazione, imprevedibilità, interazione costante con compagni, avversari e contesto. Ridurre la complessità del gioco a schede ed esercizi significa tradire la natura stessa di questo sport. Il segnale più preoccupante è la mortificazione del gioco, relegato a una semplice “partitella finale”, che appare come come premio o riempitivo dopo il ‘vero’ allenamento,

In realtà, è proprio dentro al gioco autentico che i ragazzi apprendono a leggere situazioni, a sviluppare intelligenza collettiva, a dare senso e significato ai propri gesti. Privarli di questo significa allontanarli dall’essenza del calcio. Un progetto che avrebbe dovuto portare rinnovamento si rivela così come un atto di conservazione del vecchio paradigma. Più che formare giocatori autonomi responsabili, creativi, rischia di produrre esecutori omologati. Il calcio giovanile ha invece bisogno di coraggio, di autenticità e di metodologie che mettano al centro il gioco, non la sua riduzione a esercizi precostituiti. Solo così si può restituire ai giovani la libertà e la gioia di imparare giocando.

E allora la domanda sorge spontanea: come possiamo entusiasmare, far innamorare i giovani dello sport che loro e noi amiamo? Come possiamo fare in modo che non perdano interesse?

La partita e il gioco dovrebbero essere gli strumenti più utilizzati, perché più formativi e, soprattutto, più belli e coinvolgenti, sia che si parli di calcio giovanile d’élite o di calcio giovanile dilettantistico.

Il gioco è sempre la chiave …

Ciò che sembra così “semplice” oggi sembra visionario:

2 porte, 2 colori e 1 pallone. Stop. Per il bene di ragazzi e ragazze e per amore del gioco più bello del mondo, il calcio.

17 risposte

  1. Non potrei essere più d’accordo.
    Si chiama gioco, anzi giuoco.
    Poi la tecnica e gli esercizi servono, ma senza il divertimento che gioco è?

  2. “INVOLUTION PROGRAM”: CENTRALISMO, RIDUZIONISMO E MORTIFICAZIONE DEL GIOCO, ALTRO CHE PROGETTO INNOVATIVO

    Il tanto atteso Progetto Under 14, presentato come un rinnovamento metodologico per i Centri Federali, assomiglia più a un editto del Politburo che a una visione innovativa per il futuro del calcio giovanile. L’impostazione scelta si fonda infatti su centralismo e riduzionismo, con l’idea di imporre un eserciziario standardizzato in tutti i centri nazionali. In questo modo si soffoca la ricchezza e la varietà delle esperienze di gioco, privando i giovani calciatori della possibilità di sviluppare creatività e sensibilità attraverso l’autenticità del gioco stesso.
    Il centralismo metodologico tradisce l’essenza del calcio giovanile. Non si tratta di uniformare i ragazzi a un unico modello, ma di valorizzarne le differenze, i talenti e le modalità espressive. Un eserciziario imposto dall’alto, per quanto raffinato, non può rispondere ai bisogni reali dei calciatori in crescita, né tanto meno creare un ambiente fertile per l’apprendimento significativo.
    Il riduzionismo si manifesta nella convinzione che la formazione del giocatore possa essere ottenuta attraverso la somma di esercizi tecnici. Ma il calcio non è una catena di gesti meccanici: è relazione, imprevedibilità, interazione costante con compagni, avversari e contesto. Ridurre la complessità del gioco a schede ed esercizi significa tradire la natura stessa di questo sport.
    Il segnale più preoccupante è la mortificazione del gioco, relegato a una semplice partitella finale, considerata come premio o riempitivo dopo il ‘vero’ allenamento. In realtà, è proprio dentro al gioco autentico che i ragazzi apprendono a leggere situazioni, a sviluppare intelligenza collettiva, a dare senso e significato ai propri gesti. Privarli di questo significa allontanarli dall’essenza del calcio.
    Un progetto che avrebbe dovuto portare rinnovamento si rivela così come un atto di conservazione del vecchio paradigma. Più che formare giocatori pensanti, rischia di produrre esecutori omologati. Il calcio giovanile ha invece bisogno di coraggio, di autenticità e di metodologie che mettano al centro il gioco, non la sua riduzione a esercizi precostituiti. Solo così si può restituire ai giovani la libertà e la gioia di imparare giocando.

  3. Condivido ogni singola parola e mi permetto di consigliare una riflessione più approfondita inerentemente al tema del drop out da parte di noi “operatori”. Perché perdono interesse? è solo per via della proposta pratica, dell’allenamento? o vanno valutati altri elementi, altri aspetti che concorrono a rendere preoccupante questo fenomeno ? Personalmente ritengo che sicuramente l’allenamento, il metodo, le esercitazioni proposte, giochino un ruolo centrale, ma che ci siano altre cose da prendere in considerazione e da cambiare. Ad esempio il fatto che il risultato sia al centro di ogni progetto “tecnico” (magari non ogni, ma di tanti), di tanti settori giovanili? E che quindi questo assillo crei ambienti ostili, dove chi sbaglia diventa la causa, l’elemento da isolare perché ostacolo verso la meta? O magari il fatto che nella nostra “cultura” sportiva non venga considerato minimamente il percorso di crescita, “il secondo posto”, o chi gioca meno, o chi ancora non è pronto e anzi quanto citato venga visto, considerato, come una cosa negativa, come “quello scarso”, come quello che non potrà arrivare… e tale visione, ripeto, in una fase critica dello sviluppo come quella compresa tra i 13 e i 16 anni (passaggio da adb ad agonistica…), può incidere fortemente, penso, sulle scelte del ragazzo. E questo potrebbe essere solo un altro elemento. Grazie per gli spunti di riflessione

  4. Perché il calcio non attira più i bambini? Cause e prospettive educative
    A cura di Raffaele Di Pasquale
    Negli ultimi anni il calcio, sport un tempo dominante nell’immaginario dei bambini, sta
    registrando un calo di interesse nelle nuove generazioni. I campi di periferia non sono più
    popolati come un tempo e molti ragazzi preferiscono altre attività sportive o digitali
    Comprendere le cause di questo fenomeno e proporre soluzioni pedagogiche è
    fondamentale per restituire al calcio il suo valore formativo.
    Le cause del calo di interesse
    1. **Eccessiva competitività precoce**: spesso i bambini vengono inseriti in contesti
    agonistici troppo rigidi, dove il risultato prevale sul gioco. Questo genera ansia e perdita di
    piacere.
    2. **Uniformità degli allenamenti**: molti percorsi giovanili ripropongono esercizi
    ripetitivi, poveri di creatività e lontani dall’esperienza autentica del gioco.
    3. **Influenza del digitale**: videogiochi e piattaforme online catturano tempo e
    attenzione, offrendo gratificazioni immediate che il calcio non sempre sa proporre.
    4. **Mancanza di spazi spontanei**: i cortili, le strade e i campetti liberi sono quasi
    scomparsi. I bambini hanno meno occasioni di vivere il calcio libero, informale e creativo.
    5. **Pressione degli adulti**: genitori e allenatori a volte trasmettono aspettative
    eccessive, facendo percepire lo sport più come dovere che come passione.
    6. **Scandali e mala gestione* *: la cronaca calcistica è spesso segnata da scandali legati a
    corruzione, scommesse e interessi politici che trasmettono “” “T un’immagine d e dIstorta distorta e e poco
    educativa dello sport
    7. **Personaggi senza scrupoli**: procuratori, dirigenti e talvolta anche allenatori
    privilegiano il guadagno personale a scapito della crescita dei giovani, contribuendo a
    creare un ambiente percepito come ostile e manipolato
    8. **Eccessiva commercializzazione**: il calcio moderno appare spesso più come un
    prodotto da vendere che come un gioco da vivere. Bambini e famiglie sono immersi in un
    contesto dominato da sponsor, merchandising e spettacolarizzazione, che allontana dal
    senso genuino del giocare.
    Come rimediare: strategie pedagogiche
    Per restituire attrattiva al calcio è necessario un cambio di paradigma educativo. Ecco
    alcune prospettive concrete:
    **Valorizzare il gioco autentico**: proporre allenamenti basati su partite, situazioni di
    gioco e attività creative che stimolino immaginazione e divertimento.
    +*Ridurre l’enfasi sul risultato* *: dare più spazio al piacere di giocare, alla scoperta
    personale e alla crescita collettiva piuttosto che alla vittoria precoce.
    **Coinvolgere i genitori**: educare le famiglie a un approccio più sereno e formativo,
    dove il sostegno prevale sulla pressione.
    +*Creare spazi di gioco libero**: restituire ai bambini contesti spontanei C e TenO meno regolati,
    dove possano inventare regole, ruoli e modalità di gioco.n
    **Ripulire l’immagine del calcio**: promuovere etica, trasparenza e responsabilità
    all’interno delle società sportive per restituire fiducia e credibilità al movimento
    Conclusione
    1l futuro del calcio non dipende solo dalle strutture o dai campioni che lo rappresentano, ma
    dalla capacità di renderlo di nuovo un’esperienza significativa per i bambini. Restituire al
    gioco la sua dimensione educativa, creativa e gioiosa, ma anche etica e trasparente, è la
    strada maestra per far sì che il calcio torni ad essere non solo sport, ma scuola di vita.

  5. Assolutamente d’accordo, un pallone, due colori di casacche e si imparano tutte le situazioni di gioco. Dare delle linee guida sì ma imporre esercizi uguali per tutti toglie all’allenatore fantasia e spirito di osservazione.

  6. Questa è proprio l’essenza del calcio sudamericano: la strada.
    Dove non ci sono arbitri, né regole rigide, né “robot”, né coni. Solo due porte improvvisate, un pallone e ragazzi di tutte le età che giocano insieme.
    Il trofeo? Una soda, un succo, o semplicemente la gioia di vincere.
    È lì che la passione si vive a fior di pelle, senza bisogno di telecamere.

  7. La federazione vince sempre il primo premio per essere in controtendenza e in opposizione alla ricerca scientifica. Inoltre infiocchetta il pacchetto spacciandolo come proposte innovative. Non si tiene conto delle nuove generazioni non si tiene conto dello sforzo che tutte le discipline stanno mettando in campo per meticciarsi e produrre risultati utili ed efficaci, si cancellano con un colpo di spugna tutti i progressi in campo neuroscientifico e neuropedagogico. Condivido quindi ogni parola dell’articolo e aggiungo una amara considerazione sullo spreco delle risorse che verranno impiegate in un ulteriore flop dopo quelle spese per i centri federali che almeno avevano il vantaggio di partire da una felice intuizione. La catastrofe in campo europeo e mondiale del calcio italiano si deve anche all’imperizia di questi signori che da almeno 20 anni circolano per i noti centri di potere e di formazione. Invece di fare fagotto e sgomberare a testa china, continuano a rimanere ed illudere con le loro insensate proposte.

  8. Ti ricordo come uno dei difensori più forti che ha avuto il calcio italiano e tuttora hai idee molto chiare di come dovrebbe essere insegnato a giocare a “pallone” come si dice dalle mie parti. Purtroppo c’è chi si è creato un lavoro con i protocolli, aggiornamenti e sistemi di allenamento pagati profumatamente anche se chi li propone conosce il calcio scritto nei i libri solamente. Per onestà esiste anche chi scrive cose sensate ma si contano sulle dita di una mano.

    Un caro saluto
    Giovanni Guerrini

  9. In poche parole è stato espresso un concetto tipico del nostro sistema calcio: tornare indietro perchè non vogliamo andare avanti.
    Numerose ricerche e metodologie provate in altre realtà vanno nella direzione opposta a quello che è presentato come “protocollo”.
    Addestrare è più facile che mettere il gioco la dove deve stare.

  10. La scelta nel gioco del calcio è la cosa più importante, non ci sono dubbi, e questa si apprende indubbiamente in situazione. Ma ritengo che con le giuste percentuali sia necessario riproporre concetti come ball mastery, dominio della palla e lavoro analitico. Come possono i nostri ragazzi uscire tecnicamente con qualità ed efficacia dalle situazioni di gioco se non conoscono le gestualità per fare un cambio di senso, direzione o come risolvere con finte e dribbling un duello frontale o dorsale. Didattiche analitiche basate sul Coerver Coaching sono da riproporre. Credo che l’uno accompagni l’altro con le giuste proporzioni, 80 situazione e 20 analitico per dare due numeri. Chiediamoci come mai i nostri giocatori sono scolastici, privi di coraggio e qualità. Va bene lavorare per principi ma mettiamoci anche l’analitico e soprattutto duelli in tutte le modalità e da tutte le posizioni come situazioni semplici. Ritengo il progetto under 14 una presa di coscienza di questa evidenza e onestamente la vedo positivamente.

  11. Bravissimo Filippo(mi permetto di darti del tu)e tutti quelli che hanno risposto. Già la terminologia trasuda dittatorialità; ma soprattutto, davvero nel 2025, quasi ’26, c’è ancora qualcuno che pensa di poter “insegnare” il gesto tecnico a dei bambini? No, perché allora non mi spiego come mai, tutti i bambini delle varie scuole calcio non eseguano i vari gesti tecnici tutti in modo uniforme. Né mi capacito di come i professionisti calcino; conducano; trasmettano; ricevano tutti in modo diverso, l’uno dall’altro. E soprattutto: ci può essere qualcosa di più brutto; triste e scritto peggio di un eserciziario comune? Francamente e lo dico col massimo rispetto per le persone, che mi sembrano di valore tutto sommato; non mi riesco a spiegare come possano ancora esserci gli stessi individui da decenni, nei ruoli chiave federali. Eppure si vede che stiamo tirando fuori sempre meno giocatori di interesse internazionale. Gli altri paesi: dal Giappone alla Norvegia; dal Belgio alla Svezia; dall’Olanda alla Spagna; per arrivare perfino a Grecia e Turchia, che pure non davano tanto spazio ai giovani, fino a qualche anno fa; sfornano talenti senza soluzione di continuità. Noi qui sappiamo solo trovare giustificazioni e scuse al nostro immobilismo/retromarcismo. Dai troppi stranieri(come se negli altri paesi non ci fossero)alla pirateria… patetici. Il calcio dovrebbe essere spontaneità; freschezza; il contrario dell’omologazione bieca e retriva e della monotonia. Spiace dirlo; ma se si continuerà con queste iniziative, il futuro sarà sempre peggiore. Un abbraccio

  12. L’INVOLUTION PROGRAM e le sue conseguenze future
    Nei precedenti articoli abbiamo analizzato e criticato l’“Involution Program” dal punto di vista culturale, metodologico e didattico. Ora vogliamo spingere lo sguardo in avanti, per comprendere quali saranno le ripercussioni concrete che questo modello produrrà nel prossimo futuro.
    Il futuro mercato dei maestri di tecnica e dell’1×1
    La prima e più evidente conseguenza di questa iniziativa sarà la crescita a dismisura del mercato dei cosiddetti ‘maestri di tecnica’ e degli specialisti dell’1×1. Con l’“Involution Program” essi hanno trovato una sponda ideale per consolidare e ampliare la loro influenza: genitori e società, convinti che lo sviluppo del giocatore passi soprattutto dall’isolamento tecnico, investiranno sempre più in figure professionali che promettono miglioramenti immediati e visibili sul piano del gesto motorio.
    Questa dinamica rischia di trasformarsi in una vera e propria economia parallela al calcio giovanile, in cui proliferano corsi, lezioni individuali e pacchetti di allenamento incentrati sulla tecnica pura e sull’1×1, sganciati dalla realtà autentica del gioco. Il rischio è duplice: da un lato si impoverisce la formazione complessiva del giovane calciatore, dall’altro si consolida un modello di business che alimenta le stesse distorsioni culturali e metodologiche che l’“Involution Program” porta con sé.
    In prospettiva, assisteremo probabilmente a una vera esplosione di questo mercato, dove il singolo gesto, l’abilità isolata, il dribbling ripetuto diventano prodotti commerciali da vendere e comprare, più che strumenti per crescere nel gioco. Una deriva che rischia di spostare definitivamente l’attenzione dall’educazione calcistica integrale al consumo di tecnica individuale.
    Il futuro che si intravede, dunque, non è quello di un calcio giovanile più ricco, autentico e formativo, ma quello di un sistema sempre più polarizzato e guidato da logiche di mercato. Un terreno fertile per i maestri di tecnica e dell’1×1, ma arido per la crescita del giocatore nella sua interezza.

  13. Penso che il punto di partenza per migliorare il settore giovanile e dare una scossa al movimento calcio, debba partire dal “convincere” gli allenatori/istruttori che certe esercitazioni e certi modi di vedere il calcio debbano essere fatti sin da piccoli.
    Quindi secondo me l’errore dei CFT è quello di istruire i giocatori e non istruire tutti gli allenatori.
    Un allenatore puó avere un impatto positivo su più giocatori.
    Dovrebbero esserci dipendenti della federazioni che vanno nelle società dilettantistiche a spiegare come vedere il calcio, come fare le esercitazioni ecc.

  14. bisognerebbe avere l’umilità di prendere il modello delle accademie calcistiche spagnole, viste da fuori la grande differenza è nella preparazione a tuttotondo dei mister, oltre a metodologie che sembrano trasmettere molto meglio il cosa, il come e il quando. il risultato degli ultimi 20 anni parla molto chiaro sulla loro superiore capacità di far crescere i giovani calciatori

  15. il tornare dietro, nella vita, non sempre è negativo, dipende se ritorni negli stessi errori o ritorni nelle situazioni positive.
    Si parla da anni del gioco di strada che oramai non c’è piú, lo ha dichiarato anche il CT Gattuso, ma le soluzioni sono due, come ho espresso piú volte sia nei corsi a Coverciano, sia negli incontri annuali di noi Responsabili di Settore Giovanile:
    1 ) o si asfalta tutto il Centro Tecnico e tutti gli impianti sportivi italiani e si gioca come un tempo
    2) o si trae positivtá da quello che abbiamo e si creano esercitazioni, giochi che ci portano in quei spazi ed in quei modi.

    Sintesi :
    1) iniziamo a fare le partitine da 3vs3 a 11vs11 TOGLIENDO LE CASACCHE, sviluppo cognitivo, relazioni visive,
    visione periferiche, NEL CALCIO DI STRADA NON ESISTEVANO COLORI IDENTIFICATIVI

    2) iniziamo a fare le partitine da 3vs3
    a 11vs11 anche con ragazzi di etá diversa, NEL CALCIO DI STRADA NON ESISTEVANO SQUADRE DIVISE PER ETÁ

    3) iniziamo a proibire di dire : Uomo o Solo, un calciatore che non sa se è libero o marcato, non può stare in un campo di calcio.

    Ce ne sarebbero tante di riproduzioni del calcio di strada, se facessimo viaggiare la fantasia.
    Ma purtoppo molto spesso, seguiamo le mode, vogliamo imitare le altre Nazioni, ma noi siamo Italiani, popolo calcisticamente e fisicamente variegato, da Trieste a Palermo, le tradizioni, la cultura, le idee, i dialetti, ecc ecc ecc.

    Un caro saluto Maestro Filippo, concordo in pieno su tutto quello che hai riportato nell’articolo.
    P

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *