Belgrado, nove novembre 1988: Stella Rossa e Milan si contendono l’accesso ai quarti di finale della Coppa dei Campioni. I padroni di casa conducono per una rete a zero. Grazie al Genio. Nebbia, partita sospesa. Il giorno successivo si ricomincia, da zero, senza nebbia: uno a uno firmato da Van Basten e Stojkovic ( senza Virdis ed Ancelotti, squalificati causa espulsione ed ammonizione) e passaggio del turno per gli uomini di Arrigo Sacchi dopo i calci di rigore. Sliding door.
Nel 1989, a distanza di vent’anni dall’ultimo titolo, il Milan torna a vincere la Coppa dei Campioni. L’epopea rossonera ha dunque inizio in quel di Barcellona: in un “Camp Nou” interamente cromaticamente contraddistinto dai colori sociali meneghini, la Steaua Bucarest, che tre anni prima era stata capace di conquistare la più importante manifestazione continentale, è annientata con un secco e perentorio 4-0 ulteriormente nobilitato dalle doppiette di Gullit e Van Basten (capocannoniere della competizione dall’alto delle sue dieci marcature).
Arrigo Sacchi suggella così lo scudetto conquistato la stagione precedente e, grazie a nuove e rivoluzionarie concezioni, ridisegna il modo di sciorinare calcio. Una vera e propria linea di demarcazione col football precedente che aveva sì conosciuto filosofie straordinarie (su tutte l’interpretazione carioca e la coralità dell’espressione olandese) ma mai si era imbattuto in dinamiche cosi innovative e concetti che abbracciavano linee, armonia, reparti all’unisono, copertura del campo specifica e correlata funzionalmente a precisi movimenti.
Fra tutte la ricerca sistematica del fuorigioco che ha comportato sostanzialmente la scomparsa del libero vecchio stampo, il cui compito di regista difensivo e a volte propulsivo, nonché le letture da ultimo uomo, guardaspalle dei marcatori, si trasformano in un gioco di linea di reparto col resto dei componenti della difesa.
C’è un prima e un dopo Sacchi: il calcio moderno è figlio dell’allenatore di Fusignano. Conseguentemente al brillante successo ottenuto in terra catalana, iI Milan, vent’anni dopo il primo trionfo, ritorna sul tetto del mondo battendo, in una finale più complicata del previsto, l’Atletico Nacional di Medellin (prima squadra colombiana a vincere la Coppa Libertadores) grazie ad una punizione del subentrato Evani ad un minuto dallo scadere dei tempi supplementari.
I rossoneri, senza Gullit ed ingabbiati dal tecnico avversario Maturana (il personaggio principale dei sudamericani oltre all’estroso portiere Higuita, famoso per il suo “scorpione”), completano, anche se faticando più di quanto immaginato alla vigilia, il trittico di titoli internazionali successivi alla conquista della Coppa dei Campioni.
Consapevole della propria forza e della propria supremazia (esclusivamente contrastata in ambito nazionale dal Napoli di Diego e dall’Inter del Trap), II Milan bissa il successo dell’anno precedente e conquista la Coppa dei Campioni del 1990, ciliegina sulla torta di un’annata straordinaria per le compagini italiane capaci di trionfare in tutte le competizioni continentali, proprio alla vigilia dei mondiali casalinghi, nel massimo splendore del calcio italico, faro d’Europa per quasi tre decadi. Or dunque, l’impresa solo sfiorata nel 1989 conosce l’apice al “Prater” di Vienna, con i rossoneri che, grazie ad una rete di Rijkaard, hanno ragione del Benfica ventisette anni dopo il primo storico successo proprio contro i lusitani in quel di Wembley.
Corollario del trionfo in terra d’Austria è ovviamente la possibilità di difendere il titolo mondiale in terra di Giappone: una doppietta di Rijkaard ed un gol di Stroppa, attuale tecnico della Cremonese, regalano al Milan la terza e ultima Coppa Intercontinentale della sua storia, completando, come l’anno precedente, il tris di successi internazionali che hanno avvio dalla conquista della Coppa dei Campioni. I paraguayani dell’Olimpia Asuncion sono dunque costretti ad inchinarsi dinanzi agli uomini di Sacchi: il tecnico di Fusignano è l’unico ad aver vinto Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale per due anni consecutivi.
Un dominio costretto ad interrompersi l’anno successivo, a causa dei fatti di Marsiglia, (che altresì costerà l’esclusione dalle competizioni europee per la stagione 1991-92), con la Stella Rossa che, dopo aver avuto la meglio sull’Olympique in quel di Bari, si laurea campione del mondo battendo per 3-0 i cileni del Colo Colo in quel di Tokyo. È il primo titolo non solo per il club di Belgrado, bensì per una compagine dell’Europa orientale (l’impresa infatti non riuscì alla Steaua Bucarest che nel 1986 fu piegata dal River Plate). La gara avrebbe potuto essere influenzata dall’espulsione di Savicevic, avvenuta attorno alla fine del primo tempo sul risultato di 1-0, ma Jugovic, autore della prima marcatura, siglò ad inizio ripresa anche la seconda rete prima del definitivo sigillo di Pancev, conducendo i biancorossi ad un successo netto ed inequivocabile.
Nel 1992 una doppietta di Rai, fratello di Socrates e campione del mondo con il Brasile nel 1994, consente al San Paolo di Telè Santana di aggiudicarsi, per la prima volta nella storia, la Coppa Intercontinentale. II Barcellona (reduce dal primo successo in Coppa dei Campioni ai danni della Sampdoria), nonostante l’iniziale vantaggio di Hristo Stoichkov, non riesce nell’impresa di laurearsi campione del mondo per club: la storia narrerà che ciò per i blaugrana accadrà soltanto quando tale manifestazione cambierà formato e denominazione, accogliendo i campioni continentali della totalità delle federazioni e divenendo, dunque, un mondiale per club.
Riconquistata la possibilità di disputare l’ormai neonata Champions League in virtù del primo successo in campionato targato Fabio Capello, il Milan torna in finale proprio al cospetto del Marsiglia ma lontano dagli incerti impianti d’illuminazione del Velodrome: a far da cornice all’atto conclusivo è lo stadio olimpico di Monaco di Baviera. Ad avere la meglio son però i francesi grazie ad una rete di Boli: nonostante lo storico successo (il primo e fino a due settimane or sono unico per il movimento gallico), i transalpini saranno esclusi dal torneo l’anno successivo (nonché dal poter disputare la Supercoppa Europea e l’Intercontinentale, sostituiti dal Milan) a causa dell’accusa di frode e corruzione sportiva nel tentativo di combinare la gara col Valenciennes, precedente alla finale e decisiva per l’assegnazione del titolo di campione di Francia.
Tocca dunque ai rossoneri rappresentare il Vecchio Continente nella finale di Coppa Intercontinentale del 1993: è il San Paolo, però, ad aggiudicarsi per il secondo anno consecutivo il titolo. Il Milan è battuto per tre reti a due, grazie al goal dell’ex torinista Muller sul finire dell’incontro. A proposito di vecchie conoscenze della Serie A, Toninho Cerezo, autore del momentaneo 2-1, è eletto miglior giocatore della partita.
La gloria tornerà a bussare nella stagione 1993-94 nel modo più roboante: a distanza di quattro anni dall’ultimo trionfo (durante i quali, però, come narrato, succede di tutto, dall’esclusione per un anno dalle coppe all’avvicendamento Sacchi-Capello, passando per la finale persa l’anno precedente) il Milan si laurea per la quinta volta campione d’Europa annichilendo il favorito (per lo più soprattutto a livello autoreferenziale) Barcellona di Cruijff. Nell’atto conclusivo di Atene, senza Costacurta e Baresi squalificati e magistralmente sostituiti da Filippo Galli (centrale con Maldini) e Panucci (dirottato a sinistra in virtù dello spostamento di Paolo al centro della retroguardia), i rossoneri, grazie ad una maiuscola prova collettiva e, in alcuni elementi, colossale a livello individuale, disintegrano i supponenti blaugrana, alla vigilia certi di bissare, contro un’altra italiana, il titolo conquistato due anni prima. Gli spauracchi Romario e Stoichkov, annullati dalla difesa meneghina, assisteranno inermi all’opera di distruzione firmata dalla doppietta di Massaro, da un gol antologico del “genio” Savicevic e, quale chiosa, dalla marcatura di un gigantesco Marcel Desailly.
Tokyo e il mondo, però, non si consegnano nuovamente ai rossoneri: dopo la sconfitta dell’anno precedente contro il San Paolo il Milan capitola anche in questa edizione della Coppa Intercontinentale. A trionfare sono gli argentini del Velez Sarsfield, guidati da Carlos Bianchi, fra i cui pali si affaccia alla ribalta mondiale José Luis Chilavert, dopo Rogerio Ceni il portiere con più reti all’attivo nella storia (ben 54 con i club e 8 con la nazionale paraguaiana).
Tornando alla partita, sfortunata la prestazione di Alessandro Costacurta che causa il rigore del primo gol del Velez (siglato da Trotta) e regala ad Asad, dopo un corto retropassaggio verso Sebastiano Rossi, la rete del raddoppio. La possibilità di riconquistare il Sol Levante dopo i successi del 1989 e del 1990 può essere data solo dalla riconquista dell’Europa: nel 1995, per la quinta volta in sette stagioni, il Milan torna in finale sul terreno amico del “Prater” per affrontare il giovanissimo Ajax di Van Gaal. Dopo aver battuto per due volte il Milan nella fase a gironi inaugurale (la prima in assoluto nella storia della Coppa dei Campioni), gli olandesi sconfiggono i rossoneri anche nell’atto conclusivo di Vienna conquistando, dopo il trittico degli anni settanta, la quarta Champions League della storia. La rete di Kluivert allo scadere premia una compagine scintillante costituita da giovanissime promosse, molte delle quali neppure ventenni (come lo stesso Kluivert), che sarebbero andate incontro ad una carriera straordinaria, Seedorf e Davids su tutte.
Una vera e propria rivincita della finale del 1969. Sono dunque i lancieri a volare verso il Giappone: l’Ajax, per la seconda volta nella sua storia, in quel di Tokyo, si laurea campione del mondo battendo il Gremio dopo i calci di rigore. I lancieri, secondo club europeo dopo la Juventus a conquistare, grazie alla Coppa UEFA del 1992, la totalità delle competizioni continentali ed intercontinentali, agguantano il decimo, e ad oggi ultimo, titolo internazionale.

BIO: ANDREA FIORE
Teoreta, assertore della speculazione del pensiero quale sublimazione qualitativa e approdo eminentemente più aulico della rivelazione dell’essenza di sé e dello scibile, oltre qualsivoglia conoscenza, competenza ed erudizione quali esclusive basi preliminari della più pura attuazione di riflessione ed indagine. Calciofilo, per trasposizione critico analitico di ogni sfaccettatura dell’universo calcistico, dall’ambito tecnico-tattico all’apparato storico, dalla valutazione individuale e collettiva ai sapori geografici e culturali di una passione unica. La bellezza suprema del calcio è anche il suo aspetto più controverso: è per antonomasia di tutti e tutti pensano di poterne disquisire.