L’intervista ad Alessandro Nunziante, portiere classe 2007 dell’Udinese, esprime un punto di vista riguardante la mancanza di coraggio nel calcio professionistico italiano. Secondo l’estremo difensore titolare l’anno scorso a Benevento, la fiducia sembrerebbe mancare nei confronti dei giovani talenti come lui, che spesso restano a guardare mentre davanti a loro scendono in campo calciatori esperti ma in evidente difficoltà fisica, oppure stranieri scelti per il loro “fascino esotico” o chissà quale manovra di direttori influenti.
La verità a mio parere, è da trovare nel mezzo.
Il caso di Nunziante è sicuramente emblematico, trattandosi di un 2007 che l’anno scorso da titolare in Serie C si è guadagnato la chiamata di una squadra di Serie A, l’Udinese, e che oggi brilla con la Nazionale. Eppure, in bianconero non ha ancora trovato spazio, nemmeno quando la squalifica di Okoye avrebbe potuto concedergli un’occasione. Qualcuno per contro osserva che settimana scorsa nel match di Champions fra Barcellona e PSG, in campo si muovevano tre diciottenni, due diciannovenni e un diciassettenne.
Le parole di Nunziante pesano in quest’ottica come un macigno perché non sono soltanto lo sfogo di un osservatore esterno, ma la voce diretta di chi vivrebbe sulla propria pelle questo gap di fiducia, fondamentale invece per lo sviluppo dei giovani talenti italiani.
Ma si tratta soltanto di un problema cultural-strutturale?
Voglio muovermi controcorrente citando la storia di Riccardo Calafiori che ci parla di perseveranza nell’andare oltre il limite ideologico – geografico e “scommettere” sul proprio successo, passando anche attraverso esperienze all’estero.
Trovandomi coinvolto in prima persona con diversi coetanei di Nunziante, con prospetti anche più giovani, o talenti più “datati”, mi piace utilizzare la metafora del pannello solare che crea energia trasformando la luce del sole in Watt. Ecco, con i miei atleti condivido un messaggio basato su un sistema di credenze che sappia resistere ad uno status quo che dal momento in cui lo vediamo come sfavorevole, allora lo sarà.
Parti dal tuo talento, costruisci intorno ad esso la credenza che se credi nel percorso le opportunità arriveranno, lasciati guidare da una visione di medio – lungo periodo. Visualizza il futuro che desideri e da esso ricava l’energia utile ad allenarti al massimo del tuo potenziale, come se fosse luce solare. La fiducia autoalimentata è il tuo accompagnamento, la tua password per accedere al cloud del tuo potenziale.
Se perseveri abbastanza riuscirai, puoi imparare tutto ciò di cui hai bisogno, compreso il valore della pazienza che alleni in ogni segmento a te sfavorevole.
C’è un unica controindicazione in questa modalità operativa ed è il fatto che se non ci credi tu per primo, chi mai potrà farlo al tuo posto?!

Bio: Francesco Borrelli è un Mental Coach certificato Acsi – CONI. Oltre alla Laurea in legge presso l’Università degli Studi di Genova, si è formato in PNL attraverso corsi e Master conseguiti nell’ambito di aziende private di cui ha fatto parte. Negli anni ha coltivato la sua passione per lo sport scrivendo per testate giornalistiche liguri, oltre a svolgere il proprio lavoro di consulente d’azienda in ambito bancario. L’attività di Mental Coach lo porta da diverse stagioni ad accompagnare sportivi impegnati a preparare Olimpiadi e Mondiali, oltre a calciatori di tutte le età, agevolandone i rispettivi percorsi e seguendone tutta la trafila giovanile fino all’approdo in prima squadra. Il suo sogno è condividere come Coach il suo ufficio a fianco alla “palestra delle leggende” di Milanello con Ibra.
Contacts: fraborrelli40@gmail.com / IG. fraborre24_ / https://www.facebook.com/healthybrainnutrition / 0039 328 6212598










2 risposte
Non condivido quanto suggerito da Francesco in quanto per molti giovani, passato l’anno giusto, il sogno svanisce. Alessandro, protagonista intervistato, a 19 anni è in un club di serie a; deve tenere duro e aspettare la sua occasione. Andare all’estero comporta anche la volontà di una serie di personaggi che gravitano attorno al giocatore e delle decisioni che prendono con poca possibilità, da parte del diretto interessato, di intervenire per cambiarne la direzione.
Parlando poi di proteggere il talento, come proteggiamo il talento di centinaia di ragazzini che, nonostante grandi doti naturali, vengono oggi valutati dalle squadre “serie” in base all’altezza dei genitori? Mi piacerebbe conoscere una società che investe sul talento e non sulla statistica.
Giusto dire che bisogna crederci fino in fondo, e che il primo a crederci deve essere il ragazzo con talento.
Però ci vorrebbe un cambio di passo anche nel modo di cercare il talento, di riconoscerlo e farlo crescere. Magari cominciando da allenatori che insegnino a calciare e a trattare la palla, piuttosto che correre e fare contrasti