GIORNATA DELLA MEMORIA: DA SAN SIRO A MAUTHAUSEN.

Storie di calciatori deportati in campo di concentramento.

Oggi è la Giornata della Memoria, un’occasione per ricordare alcuni calciatori deportati in campo di concentramento, vittime della follia nazista. 

La prima storia è quella Ferdinando Valletti, calciatore rossonero. Per parlare di lui bisogna fare un salto nel tempo fino al primo marzo del 1944 quando – sotto l’occupazione nazista – iniziarono gli scioperi nelle principali fabbriche milanesi. Fu una protesta contro gli abusi di potere su operai e macchinari da parte dei tedeschi, contro la guerra e le continue deportazioni di ebrei e dissidenti politici.

Valletti (a dx) e Bonomi con la fascia di capitano.

La delazione e le SS

Valletti, calciatore che ha giocato come difensore nel Milan per un paio di stagioni, lavorava nella fabbrica dell’Alfa Romeo. Aderì allo sciopero e per questo motivo, a seguito di una delazione, venne arrestato dai fascisti, consegnato alle SS e incarcerato a San Vittore.

Fu l’inizio di un incubo: il suo nome è tra coloro che furono costretti a partire dal famigerato Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, per poi finire in campo di sterminio. La prima destinazione fu Mauthausen e la successiva Gusen II, dove lavorò in condizioni estreme per scavare gallerie.

Molti morivano, sopraffatti dal carico di lavoro, dalla denutrizione e dalle violenze. Per Valletti arrivò però, inaspettato, un giorno che determinò le sorti della sua vita. Un nazista chiese se qualcuno sapesse giocare a calcio. Può sembrare incredibile, ma è vero: in campo di concentramento i nazisti giocavano a pallone tra loro per sconfiggere la noia. E in quel momento avevano bisogno di un giocatore per sostituire un infortunato.

Una partita per la vita

Valletti, si può immaginare con quale terribile stato d’animo, si fece avanti e disse di avere giocato in Serie A, nel Milan. Probabilmente venne anche deriso, ma lo misero alla prova.

Magrissimo, a piedi nudi, giocò con il massimo impegno, consapevole dell’importanza di quella partita per la sua stessa vita. Dimostrò la sua bravura e da quel momento non lavorò più nella “squadra cemento”, ma venne trasferito nella più confortevole cucina, dove iniziò anche a portare via di nascosto avanzi di cibo per i compagni di baracca. Una storia che ricorda un po’ quella di Primo Levi, che sopravvisse perché i nazisti avevano bisogno di un chimico come lui.

Nonostante la sua generosità, quando il campo fu liberato il 5 maggio 1945, nella sua baracca erano sopravvissuti solo in cinque, tra cui lui.

Tornò a Milano, dove gli venne riconosciuta la qualifica di Partigiano combattente. Per molti anni, però – come è spesso avvenuto ai deportati – preferì non parlare di quei mesi così drammatici. Più tardi confessò anche di essersi sentito in colpa per essere riuscito a farcela solo per la sua abilità con il pallone, mentre altri meno fortunati di lui erano morti.

Il nipote di Matteotti

Tra coloro che non sono più ritornati si può ricordare un altro calciatore rossonero, Guglielmo Steiner, nipote di Giacomo Matteotti, che giocò tra gli Allievi del Milan.

Ho avuto l’opportunità di conoscere il figlio, Marco Steiner, in occasione della presentazione del libro “Un calcio alla guerra” che ho scritto con Mauro Raimondi (Milieu Edizioni, 2021). Mi raccontò di come il padre odiasse le armi, ma decise di entrare nella Resistenza per dare comunque un supporto alla lotta di Liberazione anche senza sparare.

Marco Steiner, a destra, figlio di Mino Steiner

Una volta scoperto, venne deportato prima a Mauthausen e poi nel sottocampo di Ebensee, dove morì il 28 febbraio 1945.

A lui è dedicata una delle pietre d’inciampo che a Milano ricordano coloro che furono deportati nei campi di sterminio, dove persero la vita.

Pietra d’inciampo dedicata a Mino Steiner.

Un calciatore contro la dittatura

Un altro calciatore, Vittorio Staccione, che ha indossato le maglie di Torino, Cremonese, Fiorentina e Cosenza, conobbe proprio Valletti a Mauthausen. Due destini incrociati, ma con un finale diverso.

Vittorio Staccione

“Mio zio – ha dichiarato il nipote Federico Molinario – era una persona buona, riservata, dava poca confidenza. Fin da ragazzino aveva iniziato a frequentare i circoli socialisti torinesi, per quello è sempre stato inviso al fascismo. Spesso veniva aggredito dagli squadristi e, ogni volta che tentava di difendersi, veniva arrestato con l’accusa di resistenza. Ma non era un violento”.

Davide Grassi con Federico Molinario, nipote di Vittorio Staccione.

Il 12 marzo 1944 Staccione venne arrestato e consegnato alle SS. “Il commissario di polizia cercò di salvarlo – ha raccontato Federico Molinario – Gli spiegò che doveva andare a lavorare in Germania, dove faceva molto freddo e gli disse di andare a casa e mettere in valigia abiti pesanti: gli stava offrendo la possibilità di fuggire, ma lui non lo fece. Tornò, con la valigia, consegnandosi ai tedeschi, e qualche giorno dopo fu caricato su un treno destinazione Mauthausen”. Lì, purtroppo, terminò la sua vita.

Raccontare per ricordare

Per tornare a Valletti, negli ultimi anni della sua vita decise di raccontare la sua terribile esperienza per farla conoscere ai giovani.

Ne ho parlato con la figlia Manuela Valletti. Nel libro “L’attimo vincente” (Edizioni della Sera, 2027) ha dichiarato: “Quando raggiunse gli anni della pensione mio padre decise che era venuto il momento di parlare ai ragazzi delle superiori della sua esperienza, si mise in contatto con l’Aned (l’Associazione nazionale ex deportati campi nazisti) e diede la sua disponibilità. Naturalmente venne chiamato molte volte e instaurò sempre con i giovani un rapporto straordinario. Raccontava la sua storia senza retorica e poi apriva con i ragazzi un dibattito, un botta e risposta che piaceva molto. E voglio dire a chi leggerà la sua straordinaria storia che ogni abilità va coltivata perché è un dono prezioso che, a volte, può anche salvarci la vita”.

Ferdinando Valletti morì nel 2007, malato di Alzheimer.

BIO Davide Grassi: giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, tra cui il Corriere della Sera, e con magazine di calcio e radio. Ha scritto e curato diversi libri soprattutto di letteratura sportiva, ma anche di storia della Seconda guerra mondiale e musica. Con il suo primo libro, nel 2002 ha vinto il premio “Giornalista pubblicista dell’anno” e nel 2021 ha ricevuto il Premio letterario “Franco Loi”. Ha pubblicato molti libri sulla storia del Milan, è vicepresidente dell’Associazione Milanisti 1899 ed è stato tra i fondatori di Radio Rossonera. Il suo sito è www.davideg.it

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