In principio era una “commissione tecnica”: ne facevano parte dirigenti, allenatori, preparatori atletici, arbitri e qualche volta persino i giornalisti sportivi. Si convocavano i giocatori, ma bisognava provvedere anche a trovare il campo, l’abbigliamento di gioco e preparare la squadra a una partita da organizzare.
Salvo qualche eccezione, inaugurata dal leggendario Vittorio Pozzo negli anni ’30, le commissioni si occuparono della Nazionale fino agli inizi degli anni Sessanta: prima con Gipo Viani, ma solo per 2 mesi, poi con Giovanni Ferrari e via via con Fabbri, Herrera, Valcareggi. Con quest’ultimo si aprì la corrente di pensiero secondo cui il “Commissario Tecnico” doveva avere un’estrazione federale, aver allenato cioè le Nazionali giovanili (all’epoca la Under 23) o essere stato il vice del C.T. in carica e comunque non di provenienza dai club.
In realtà questo filone si interruppe subito dopo con l’incarico assegnato a Fulvio Bernardini nel 1974 dopo il disastro dei Mondiali in Germania (Italia eliminata nel girone con Haiti, Polonia e Argentina). Bernardini detto “Fuffo” venne affiancato un anno dopo da Enzo Bearzot, che dopo un’anomia carriera sulle panchine di 2 soli club, Torino e Prato, aveva guidato per 6 anni la Under 23. Dopo 9 anni e un Mondiale dal 1977 al 1986, anche il successore di Bearzot arrivava da Coverciano: Azeglio Vicini aveva guidato un solo anno la squadra della sua città, Brescia, poi era approdato alla Under 23 e quindi all’Under 21 con una finale europea persa ai rigori contro la Spagna in ben 11 anni di guida.
Dopo il quinquennio di Sacchi dal 1991 al 1996, tornò ad essere CT un uomo della Federazione, Cesare Maldini, che aveva sì allenato Milan, Foggia, Ternana e Parma, però era approdato a Coverciano nel 1980: fece per 6 anni il vice di Bearzot, poi guidò l’Under 21 e infine l’Olimpica prima di occuparsi della Nazionale maggiore dal 1996 allo sfortunato Europeo del 1998, dopo di che fu sostituito da Dino Zoff. L’ex portiere della Juventus scese da cavallo dopo 2 soli anni, nell’estate del 2000, dimettendosi dopo le dure critiche ricevute da Silvio Berlusconi. Negli ultimi 24 anni i CT azzurri sono stati 9: Trapattoni, Lippi (2 volte), Donadoni, Prandelli, Conte, Ventura, Di Biagio (un mese), Mancini e Spalletti.
Le differenze di mansioni tra un allenatore e un commissario tecnico, detto anche selezionatore (non a caso), rappresentano un solco notevole nella professione. Il primo può essere manager solo in un contesto profondamente diverso da quello che conosciamo, per esempio nel calcio britannico: è qui che si sono formati i Ferguson e i Wenger, per citarne due tra i più longevi e carismatici, capaci di occuparsi di conduzione tecnica, mercato e anche alcuni aspetti societari. Il secondo è di fatto manager di sé stesso poiché sceglie i giocatori in prima persona e con loro dovrà compiere un percorso legato inesorabilmente ai risultati, per certi versi ancor più spiccatamente che non in un club, nonostante ovviamente la permanenza sulla panchina di una società sia estremamente più labile che non su quella della Nazionale.
Non è una contraddizione. La Federazione non può permettersi esoneri onerosi, spesso è “costretta” a proseguire con lo stesso tecnico (di recente il caso Ventura fu il più eclatante), ma aprire un ciclo è comunque complicato in entrambe le dimensioni. La frenesia con cui dirigenti, tifosi e soprattutto media giudicano tranchant il lavoro di queste figure, è inesorabile per quanto ondivaga. Luciano Spalletti, dopo un pessimo Europeo, ha disputato un’eccellente Nations League salvo franare sull’ultimo dosso a San Siro con la Francia. Si è riaperta la botola delle critiche sperticate, nonostante i giocatori quelli sono e quelli restano. Le difficoltà generazionali nel reperire talenti è ormai atavica da qualche anno: ci vorrebbero tempo e pazienza, ma come sappiamo questi due fattori non albergano nel pianeta calcio.
L’Italia battuta in finale dal Brasile nel 1970 in Messico fu accolta al rientro da fischi e pomodori scagliati contro la squadra, quella di Bearzot disputò 2 Mondiali strepitosi in Argentina nel 1978 (4° posto) e vinse quello di Spagna nel 1982, prima di crollare nel 1986 in Messico per “eccesso di gratitudine”. Chi non ha amato Sacchi non gli ha nemmeno riconosciuto il merito di un’insperata finale persa ai rigori col Brasile, a Usa ’94. Mancini ha distrutto il capolavoro europeo del 2021 non qualificandosi ai Mondiali. Ora tocca a Lucianone, ma la musica non cambia nemmeno quando cambia la storia.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
Una risposta
L’idea dell’estrazione federale come l’hai chiamata era comunque molto buona ed ha portato dei frutti, l’Italia di Vicini per esempio non ha mai vinto niente, ma era perfetta. Sacchi avrebbe avuto senso se avesse avuto il comando assoluto di un progetto, come si tentò di fare nel 2010, messo invece solo a fare il CT, non ha potuto fare altro che chiamare i suoi blocchi (Parma / Milan) per ovviare alle difficoltà di tempo, del resto anche Lobanovsky fece la stessa cosa.