“Ma come si gioca a calcio in America?”. Dopo 8 anni, la domanda rimane invariata. La curiosità degli amici, degli appassionati e dei colleghi, che si chiedono come ci si approcci al nostro meraviglioso sport oltre oceano, è sempre la stessa. Ed è proprio in questo contesto che mi sono immerso, affrontando salite e ricadute, vivendo il calcio negli Stati Uniti d’America.
“Il calcio è un viaggio che ti porta a scoprire non solo il gioco, ma anche te stesso e il mondo che ti circonda.”
(Diego Simeone)
Gli inizi del mio viaggio sono stati tutt’altro che facili. Un inglese incerto, una nuova cultura e gli ostacoli quotidiani mi facevano sentire solo. La nuova avventura mi offriva opportunità, ma allo stesso tempo mi privava dell’affetto degli amici, del calore delle festività in famiglia e dei luoghi che custodivano i ricordi più cari dell’infanzia. In tutto questo, però, il calcio è stato sempre presente. Dalla sveglia alle 3 di notte per seguire la Serie A, alla tranquillità che provavo ogni volta che calpestavo il rettangolo verde, nonostante tutto.
La passione per questo sport mi spingeva comunque a essere entusiasta di allenare bambini tra i 6 e gli 8 anni, poco dopo aver ottenuto il mio primo patentino con la federazione statunitense. Inizialmente avevo incarichi modesti, sparsi tra scuole, società e centri di allenamento. Tuttavia, questo percorso è stato accompagnato da solitudine, pochi amici e il frigo spesso vuoto. Nonostante ciò, ho continuato ad andare avanti. Molti mi dicevano che avrei guadagnato molto di più lavorando in altri settori in America, grazie alla mia laurea. Alcuni mi dissero persino che stavo sprecando i miei talenti allenando bambini sul campo da calcio.
Lo studio, l’approfondimento e la passione hanno gradualmente aperto davanti a me una strada più chiara. Tra decine di libri letti, ore di volontariato per osservare altri allenatori e l’impegno con le mie squadre, ho trascorso nottate intere a seguire webinar su metodologia, allenamento e sviluppo dei talenti. Ho sempre cercato di migliorarmi, viaggiando, prendendo appunti e frequentando corsi.
Le opportunità, infine, sono arrivate. Oggi, oltre a lavorare sul campo, collaboro con un gruppo per sviluppare metodologie di allenamento e migliorare gli allenatori dello staff tecnico di un’accademia. Seguendo con attenzione il calcio giovanile negli Stati Uniti, ho avuto modo di lavorare nel campionato universitario e, attualmente, sono selezionatore per il programma olimpico. Confrontarmi con un’altra cultura mi ha reso un allenatore e un professionista più forte e consapevole del mio credo.
Qui, le idee calcistiche sono spesso diverse, talvolta antiquate o riduzioniste, in molti contesti. Non mi sono mai fatto intimidire dal dibattito, e nonostante la mia giovane età, ho sempre espresso le mie opinioni. A volte mi sono sentito solo, sperando di incontrare professionisti pronti a condividere un pensiero simile al mio. La battaglia continua. Cerco sempre di portare un calcio che accolga la complessità, lavorando in un contesto globale e con un approccio sistemico. Tuttavia, in una cultura calcistica giovane come quella degli Stati Uniti, è difficile proporre un tipo di formazione calcistica che sia al passo con i tempi.
Durante questi anni, le conoscenze di Filippo Galli, Caterina Gozzoli, Domenico Gualtieri, Edgardo Zanoli e Alessandro Formisano mi hanno fatto sentire meno solo. Sebbene non abbia avuto il piacere di incontrarli di persona, i loro scritti, libri, lezioni e conferenze mi hanno arricchito e mi hanno reso un professionista migliore. Mi hanno anche dato la forza di continuare a credere nelle mie idee, nonostante le difficoltà. Come loro, ci sono molti altri da cui ho imparato.
Allenare all’estero è sicuramente formativo. In America, e in particolare a Washington D.C., ci si confronta quotidianamente con contesti calcistici multiculturali. Si lavora con colleghi europei, sudamericani, asiatici e africani. Insomma, ho incontrato allenatori provenienti da ogni angolo del mondo. Questo è uno dei vantaggi di un’esperienza simile: l’incontro con diverse prospettive. Certo, l’espansione del movimento calcistico in America può esporre un professionista a molte opportunità, ma il percorso è difficile. Nonostante tutto, mi ha permesso di seguire i miei obiettivi. Sono lontano dalla mia Italia, è vero, e a questo non esiste rimedio. Ma sono grato di vivere il mio sogno.
Per tutti noi italiani sparsi nel mondo, il calcio rimane sempre un’ancora. Grazie alla passione per il mio lavoro, questo sport mi ha regalato connessioni umane incredibili lungo il mio viaggio. Qui negli Stati Uniti, il calcio mi ha fatto incontrare, per esempio, tre colleghi che sono poi diventati amici fraterni, e che desidero ringraziare: Victor (portoghese), Gonzalo (peruviano) e Christian (ecuadoriano).
In qualunque parte del mondo noi siamo, il calcio unisce.
Guardando indietro, vedo un viaggio che mi ha cambiato profondamente. Ho attraversato oceani, superato barriere culturali, e affrontato sfide che non avrei mai immaginato. Ma il calcio, con il suo linguaggio universale, mi ha sempre ricordato che la vera vittoria non sta nel vincere, ma nel crescere ogni giorno, nel non arrendersi mai e nel costruire legami che vanno oltre il campo. E mentre continuo a insegnare ai miei ragazzi come calciare un pallone, imparo ogni giorno qualcosa in più sulla vita, su me stesso, e su quanto sia bello inseguire un sogno, anche a migliaia di chilometri da casa.
“Lo sport è un linguaggio universale che collega le persone. Non importa da dove vieni, ma dove vuoi arrivare.”
Jürgen Klopp
BIO: Emanuele Cocuzza
Nato a Firenze e con origini romane, Emanuele è cresciuto a stretto contatto con il calcio, giocando nei cortili di paese, nei campetti dell’oratorio e rincorrendo il pallone per lunghe ore in spiaggia, durante l’estate. Nonostante gli studi universitari in Relazioni Internazionali, la sua passione per il calcio lo ha spinto ad esplorare il mondo dello sport a livello professionistico.
Attualmente, Emanuele ricopre il ruolo di Assistente Responsabile dello Staff Tecnico della Juventus Academy a Washington DC, dove lavora con squadre del settore giovanile e forma gruppi di allenatori. Parallelamente, è Selezionatore ed Allenatore per il programma olimpico e le selezioni regionali del Maryland, contribuendo alla crescita di atleti a livello nazionale e internazionale.
La sua esperienza si estende anche al campionato universitario statunitense, dove ha lavorato come Assistente e Analista Tattico. Inoltre, Emanuele ha collaborato con una squadra della USL Championship, la seconda divisione (Serie B) del calcio statunitense, dove ha potuto osservare e comprendere le dinamiche di un calcio più competitivo a livello professionistico.
7 risposte
Caro Ema,
I know you since you were born, as my friendship to your parents began years before you came to this world. As I know your kindness and your values perfectly, I’m sure you’ll achieve what you’re looking for. Congratulations, and best wishes. Whoever decide to hire you as a football trainer will prove your skills and your great passion. All the best.
Gracias, Antonio!
Bellissimo articolo!
🙂
Grande Ema!!!Numero uno!!!
Bravissimo Emanuele ! I tanti sacrifici e lo studio, hanno temprato e costruito l’ uomo, il campione ed il gran allenatore che è in Te ❣️ Siamo felici per i tuoi risultati e determinazione, nel portare avanti i tuoi sogni e la passione per il calcio. Complimenti❣️
Bravo Emanuele, ti sei sempre contraddistinto dal baseball, al calcio allo studio.