IL CALCIO È SEMPLICE. NE SIAMO SICURI?

Correva l’anno 1981 quando tra le hits estive, le cui note risuonavano dai juke box e allietavano le kermesse musicali di quel tempo, un posto di rilievo spettava a “Semplice”, brano interpretato da Gianni Togni, cantautore romano ancora inebriato dal successo ottenuto l’anno prima con “Luna”  che l’aveva fatto conoscere al grande pubblico.

Il brano, come evidenziato dal titolo, rappresenta un elogio della semplicità, ovvero un invito a godere delle cose per come sono, al non eccedere nel pessimismo, oltre che ad affrontare il futuro con la forza delle proprie convinzioni a prescindere dal valore materiale delle situazioni che ci circondano. Per farlo, recita il testo, basta porsi “fuori dal tempo come quando è mattina presto” e la giornata non è ancora entrata nel vivo con tutte le situazioni quotidiane che la contraddistinguono.

Pagato a Togni il tributo, dovuto ad un successo musicale ancora oggi ricordato per l’inserimento della rima ad inizio e non a fine verso, la citazione di cui sopra ci aiuta a sviluppare una serie di riflessioni relative al concetto di semplicità rapportato al gioco del calcio.

Un concetto abusato, inflazionato e banalizzato.

“Il calcio è semplice” è una delle affermazioni che siamo spesso soliti ascoltare durante le discussioni calcistiche.

Il tema non risiede tanto nel significato di detta affermazione bensì nel messaggio, ad essa sottinteso, che le si vuole affidare. Che altro non è se non un modo di ridurre (rectius, sminuire) chi si fa portatore di una visione poco propensa al pragmatismo ed alla mediocrità.

Affermare che il calcio è semplice è diventato un modo per controbattere, se non deridere, chi ritiene che il football sia un insieme di aspetti che danno vita ad una complessità in seno alla quale i singoli elementi non vanno analizzati separatamente ma in correlazione l’uno con l’altro. Ciò al fine di sviluppare un pensiero calcistico basato su idee e convinzioni forti ma non per questo meno predisposte al cambiamento e/o alla rimodulazione sulla base del “vissuto”.

Il primo quesito che dobbiamo porci è: “ma il calcio è davvero uno sport semplice”?

Riprendendo l’incipit della canzone la semplicità viene ricondotta ad una situazione in cui si è “fuori dal tempo” e ci si estranea dalla vita normale. Solo in quella situazione, secondo l’autore, possiamo assaporare il gusto della semplicità perché nel corso “normale” della giornata  ci diventa impossibile.

Quando parliamo di calcio, tuttavia,  non possiamo chiamarci fuori dal tempo in cui lo pratichiamo.

Non possiamo estraniarci dalla partita, dall’allenamento, dall’organizzazione della struttura societaria. Ci troviamo nel mezzo degli eventi con l’effetto di dover gestire tutte le situazioni seduta stante.

Cosa complessa già di per sé.

A questo dobbiamo aggiungere il numero di variabili in grado di condizionare lo svolgimento di un incontro di calcio.

Non si tratta di una gara sui 100 mt piani o sui 200 mt stile libero in cui possiamo pianificare con ragionevole probabilità una strategia predefinita.

Una partita di calcio soccombe, come detto, a numerose variabili: il terreno di gioco, la palla, gli avversari, le condizioni climatiche ed ambientali, i movimenti dei compagni di squadra, le decisioni arbitrali che possono portare ad una inferiorità o superiorità numerica, ecc.

Se all’insieme delle suddette varianti aggiungiamo che il football è uno sport a punteggio basso, da praticarsi all’interno di un terreno piuttosto ampio le cui dimensioni divergono da stadio a stadio, diviene agevole comprendere come si stia parlando di una delle discipline più complesse che alberghi nel panorama degli sport di squadra.

“Per chi crede ancora nelle parole e nel confronto, la cosa che allarma è la semplificazione”

(Dacia Maraini)

A scanso di equivoci, siamo assolutamente convinti che l’esercizio atto a semplificare alcuni passaggi per favorire la diffusione e la divulgazione di concetti a prima vista ostici sia circostanza apprezzabile e particolarmente utile.

Quando, diversamente, la “semplificazione” assume i connotati dell’approssimazione e del voler irridere chi si sforza di diffondere idee e rincorrere ideali quali l’estetica, la bellezza ed il proporre anziché il distruggere, allora, in questi casi, la semplificazione è quanto di più deleterio possa capitare. 

Perché diventa un mezzo atto a dividere il mondo in fazioni (astrattisti e pragmatici), a creare forzatamente categorie di amici e nemici, a portare in auge un populismo sulla scorta del “siamo gente semplice”, ad esaltare la retorica o peggio ancora il concetto secondo cui “si è sempre fatto così”.

Rimanendo entro i confini calcistici, uno dei punti di forza di coloro i quali esaltano la “semplicità”  risiede nell’affermazione secondo cui basta passare la palla ai più bravi e, poiché la differenza la fanno i calciatori, saranno loro a decidere le sorti dell’incontro.

Conta il risultato e il risultato lo determinano i calciatori è uno slogan assai abusato a cui spesso viene addizionata l’insofferenza verso coloro i quali sono inclini a concetti come la proposta di calcio, il possesso palla, il difendere alto, la  duttilità dei ruoli (o di funzioni) ed altro ancora.  

E’ capitato che famosi allenatori di club gloriosi, al termine di incontri che li hanno visti vittoriosi, abbiano fatto proprio  quello slogan polemizzando direttamente o indirettamente con chi vede il calcio sotto altra ottica.

La sensazione è che determinate prese di posizione (anche in seno ai canali comunicativi che nel calcio rivestono un’importanza massimale) scontino un eccesso di banalità.

Affermare che il calcio è semplice e che la differenza la fanno i calciatori, aggiungendo magari che l’importante è avere un portiere che para e un centravanti che segna, è un concetto poco credibile.

Ed infatti anche gli allenatori che apparentemente seguono questa linea di pensiero si avvalgono di staff con competenze professionali di altissimo livello.

Fosse così semplice, non ne sentirebbero la necessità.

Ma anche volendo seguire questa barbara linea guida, ci si imbatte inevitabilmente  nelle variabili suindicate.

Posso anche immaginarmi un calcio “semplice”,  in seno al quale passo la palla al più bravo e gli dico “segna”, ma se trovo un terreno di gioco pesante ed il passaggio cambia traiettoria? Se incontro un avversario più forte di me o, peggio ancora, che specula più di quanto stia facendo di mio? Se mi si infortuna il calciatore più talentuoso? Se mi trovo in condizioni di sofferenza?

Siamo davvero sicuri che il calcio sia semplice?

Davvero possiamo interpretare una disciplina soggetta a tante variabili come qualcosa di semplice?

La sensazione è che il ridurre tutto al concetto di semplicità, declinato come sopra, sia solo un modo per non accettare un confronto o un dibattito. Appare un tentativo atto a togliere credibilità al processo cognitivo e di formazione di chi studia il calcio e ne assorbe di giorno in giorno le evoluzioni e le innovazioni.

Con l’effetto di porre in cattiva luce questi ultimi, tacciati, di volta in volta, di voler insegnare il loro calcio, di scambiare il gioco con la scienza, di proporsi quali scienziati. Il tutto condito da elevate di dosi di sarcasmo che compaiono puntualmente ogni qualvolta la squadra allenata da un tecnico di   spiccate idee propositive perde una partita. 

E’ in casi come questi che il semplice si confonde con il banale.

E’ comodo apparire “semplici” quando questa condizione ci consente di non confrontarci con chi la pensa diversamente, quando le statistiche e i numeri si esibiscono solo in parte limitandoli alle situazioni in cui fa comodo. E quando il pregiudizio annulla, prima ancora del dibattito, ogni ipotesi di giudizio.

In realtà la formazione di un calciatore non ha nulla di semplice.

Il compito dei tecnici dei settori giovanili dovrebbe essere quello di innervare concetti di riferimento da intendersi non come precetti che diventano automatismi ma che fungano, viceversa, da linee guida.

Solo in tal modo potranno condurre i giovani calciatori alla scelta dell’opzione migliore ogni qualvolta, in partita, si troveranno nella situazione di dover decidere come muoversi e a quale gesto tecnico affidarsi.

Il tutto tenendo presente le variabili e e le circostanze testé elencate.

Come risulta agevole comprendere, non vi è nulla di semplice in tutto ciò.

Ecco perché talvolta diviene lecito chiedersi se il richiamo alla semplicità non sia altro che un modo per sviare un dibattito, e difendere il proprio orticello (o la propria comfort zone), per oggettiva carenza di competenza.

E ciò valga non solo per i tecnici.

Fateci caso:  i giornalisti più ostili al calcio propositivo e di possesso, sono quasi tutti di età medio-alta. Vi è da parte loro un chiaro ostracismo ad una maniera diversa di proporre calcio, non solo perché nostalgici ma anche per una mancanza di competenze in tal senso.


La competenza porta al giudizio, condivisibile o meno che sia, la mancanza di competenze usa come scudo il pregiudizio.

“Giocare un calcio semplice

 è la cosa più difficile”

(Johan Crujff)

Il fatto che il calcio sia complesso non preclude che un’idea di calcio (anche di assoluta modernità) possa trovare un’espressione semplice. Ma ad essere complesso sarà sempre e comunque il processo alla base dell’emanazione sul campo.

Nella summenzionata frase di Crujff è sotteso l’enorme carico di situazioni e circostanze che precedono e condizionano il prodotto calcistico che una compagine tende a porre sul terreno di gioco.

Un processo frutto di sperimentazioni, studi, valutazioni, cambiamenti e rimodulazioni che deve giocoforza risultare al passo con i tempi perché non è possibile fare calcio rimanendo “fuori dal tempo”.

Da ultimo non possiamo evitare un riferimento a chi, ancorato a principi anacronistici, ironizza sui cosidetti allenatori di pensiero le cui idee sarebbero “mera filosofia”.

A nostro avviso non esiste complimento migliore, non solo nel calcio, ma in qualunque ambito della vita. Avere una filosofia di riferimento significa porre il pensiero ed i ragionamenti alla base delle decisioni, significa agire seguendo dei criteri, significa la ricerca di uno o più ideali, significa caratterizzare la nostra opera.

Anche il riferimento all’estetica risulta spesso oggetto di ironie o, peggio ancora, di sarcasmo da parte dei “semplicisti”. Ribadito come l’estetica (così come altri concetti come il possesso palla) non sia esercizio di stile ma un mezzo per arrivare alla vittoria perché giocando un calcio propositivo si hanno più chances di ben figurare, le cose belle, o comunque affascinanti, non sono destinate ad una costruzione semplice.

La Cappella Sistina non è un’opera semplice. La Divina Commedia nemmeno.

Per quanto una pietanza semplice come una pasta in bianco possa sfamare gli appetiti, un piatto di spaghetti all’astice porta con sé un altro valore. Valore datogli dal processo con cui il piatto viene ideato, cucinato e servito, oltre che dagli ingredienti. Un processo complesso. Non semplice.

Affermare che le cose più belle siano quelle semplici è un luogo comune da sfatare.

Soprattutto nel calcio.

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

3 Responses

  1. Come al solito, Alessio offri grandi spunti di riflessione.

    Io credo che il calcio sia semplice , altrimenti non sarebbe forse lo sport più diffuso al mondo (nel senso di giocato anche solo per strada).

    Vincere al calcio, invece, come evidenzi tu è molto difficile e man mano che si sale di categoria o di campionato la difficoltà cresce in modo esponenziale.

    La stessa evoluzione tattica che si è registrata nel calcio evidenzia come lo stesso è diventato sempre più complesso.

    Basti pensare che negli anni cinquanta esisteva solo il mister oggi c’è uno staff sempre più composito tra tecnici calcistici specializzati per ruoli, per situazione di rimesse da fermi (punizioni e falli laterali e calci d’angolo). Ma ci sono anche staff di medicina e di allenamento fisico.

    Quindi, ad un certo livello, una società di calcio diventa molto ma molto complessa.

    Pur condividendo quanto tu scrivi, sono meno drastico sulle tattiche di gioco.

    Con questo voglio dire che le tattiche di gioco devono essere adeguate anche alle capacità dei calciatori disponibili. Convengo che nel calcio moderno non esistono tattiche semplicistiche. Anche quella dai la palla al più bravo non è semplicistica, ma prevede una serie di movimenti sempre più complessi.

    Finchè c’è una classifica che assegna uno scudetto, sette posti in Europa e tre retrocessioni, vincere è importante.

    Oggi la possibilità di poter vedere tutte le partite giocate dal prossimo avversario consente di analizzarne i punte di forza e di debolezza; questo permette, se viene trovato l’antidoto, di sterilizzare i punti di forza dell’avversario e sfondare nei punti di debolezza.

    Quindi, se si pensa ad un modo ideale di gioco da fare nel contesto odierno, convengo che possesso e pressing alto nel lungo tempo offre la possibilità di essere vincenti.

    Preciso, ancora, che anche se si vuole adottare un metodo basato sull’assetto difensivo nella propria tre quarti, non vuol dire assolutamente fare un calcio semplice, anzi! Vanno sterilizzare le fonti di gioco avversarie; raddoppiare sui calciatori più forti; , chiudere gli spazi in area per evitare che possano filtrare gli avversari e presidiare con calciatori forti di testa sui cross. Per poi essere capaci di fiondare in avanti una volta ottenuto il possesso palla.

    Quindi convengo che oggi il calcio professionistico è diventato molto ma molto complesso.

    Quanto alle scuole calcio, continuo a differenziare quelle volte a creare e sviluppare al massimo i ragazzi in addestramento, da quelle che, invece, non hanno questi obiettivi, ma quello di aiutare i ragazzi a godere della loro passione ed a vivere in simbiosi con altri ragazzi della stessa società e rispettare gli avversari e gli arbitri.

    In sintesi condivido con piccoli distinguo i concetti da te espressi.

    Un saluto.

  2. “Il calcio è semplice?”allegri ha un po’ ecceduto in questo…nel dire che si gioca in 11 chi tiene palla ha meno possibilità di prendere goal ecc ecc.. concetti banali…Detto questo pero’ non si può affermare neanche il contrario.. perché nel calcio non c’è nulla da inventare… il fulcro di questo gioco sono i FUORICLASSE il resto è contorno senza di esso diventa tutta aria fritta… si da troppa importanza agl allenatori e agli schemi, le idee sono importanti per rendere funzionali gli schemi ai giocatori… si parla tanto di bel gioco, ecc ..ma credo che la cosa che renda più importante un allenatore è la gestione dello spogliatoio..cosa assai più difficile che dare un gioco alla squadra…

    1. Gentile Stefano,
      Parto dalla Tua affermazione secondo cui il fulcro del calcio sono i “fuoriclasse e tutto il resto è aria fritta”, che sottende a priori che il 99 per cento delle squadre ed il 99 per cento dei tesserati sia aria fritta considerato come il calcio si giochi dalla seria A alla terza categoria e nei settori giovanili.
      Mi riallaccio alla tua affermazione sui fuoriclasse considerato come, spesso, in merito al Barcellona di Guardiola si faccia riferimento alla presenza di Messi, Iniesta e Xavi.
      Ebbene questi ultimi due, nel monento in cui Pep assunse la guida della squadra, avevano rispettivamente 150 e 200 partite da professionista. Eppure i livelli di gioco raggiunti con Guardiola non sono nemmeno paragonabili a quelli degli anni precedenti.
      Ci tengo a precisare che nell’articolo non vengono citati gli schemi. Vengono citate le idee ed il processo di formazione del calciatore che non puà essere semplice in considerazione di tutte le variabili che caratterizzano il football. E anche la stessa gestione dello spogliatoio, a cui fai riferimento, ne rappresenta un esempio.
      il titolare del blog è testimone diretto di una squadra che ha rivoluzionato il calcio italiano nonostante nel primo anno sotto la guida di Sacchi 8/11 fossero gli stessi dell’anno prima che, detto per inciso, non erano allenati da un pivello ed erano giunti sesti. Prima che mi si dica che era una squadra di campioni rilevo che in quella stagione di olandesi ne giocò solo uno e che le carriere di Colombo, Tassotti, Virdis, Galli, Evani sono ascese all’apice dopo l’incontro con il mister di Fusignano. Ed anche campioni come Baresi, Donadoni ed Ancelotti, già noti, dopo l’incontro fatidico ebbero un notevole incremento prestazionale.
      Ergo, anche seguendo la linea secondo cui contano i giocatori (che non è la mia) non posso non farti notare come questi ultimi vadano posti nella condizione di determinare nonchè, possibilmente, di migliorare se stessi e la suqadra.
      Ed il processo in tal senso è tutto fuorchè semplice.
      Se hai tempo e voglia di sfogliare a ritroso le pagine di questo blog, troverai 5 articoli dedicati ai grandi numero 10 della storia e potrai sbizzarirti coi fuoriclasse. Ti accorgerai come, dall’88 in poi, molti di loro abbiano raggiunto l’apice in carriera sotto la guida di Wenger, Van Gaal, Sacchi, Eriksson ed altri grandi organizzatori di gioco.
      Grazie per l’occasione di confronto.
      Un caro saluto.
      Alessio

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