Lo so, i tempi passano…ma rimango un romantico del calcio.
Ricordo le domeniche d’inverno con il cielo basso e il fiato che diventava nuvola. Bastava il rumore del pallone alla radio, la voce roca di Sandro Ciotti o quella inconfondibile di Enrico Ameri, per capire che era ora di calcio vero. Alle 14:30 – o, d’estate, alle 15 – scendevano in campo tutte le squadre, insieme, in uno stesso respiro nazionale. Nessun anticipo, nessun posticipo, nessun algoritmo televisivo a decidere l’orario del cuore.
C’era la schedina, quella magica griglia che profumava d’inchiostro e speranza. “1 X 2”, tre segni per sognare. Si compilava il sabato sera al bar o sul tavolo della cucina, tra i commenti di chi “questa settimana è la volta buona”. Non c’era bisogno di app o notifiche: il sogno viaggiava piegato nel portafoglio, fino alla domenica sera, quando si aspettava il verdetto con il batticuore.
E poi c’erano i treni speciali, quelli dei tifosi. Carrozze piene di sciarpe, panini e tamburi, con l’odore di birra e fumo (a volte non lecito) che si mescolava alle canzoni da curva. Si partiva presto, con la sciarpa al collo e un biglietto piegato in tasca, e si tornava tardi, spesso con la voce roca e il cuore gonfio.
Per chi viveva vicino allo stadio, il rituale era sempre quello: dopo la partita si correva a casa per “Novantesimo Minuto”. Quella sigla inconfondibile, le voci di Paolo Valenti, Luigi Necco, Tonino Carino, ecc…e le immagini che arrivavano a volte sembravano persino diverse da come le avevi viste allo stadio. In curva, spesso, il gol lo capivi solo dal boato, non dalla vista.
E il lunedì le polemiche, a volte organizzate, del “processo del lunedì” dove le varie parti si infervorano sulle immagini della moviola.
Le mie emozioni erano autentiche quando alla Scala del calcio il Milan scendeva in campo rigorosamente con la maglia a strisce verticali rosso e nere (ma valeva per tutte le squadre italiane avere la prima divisa, così come i loghi, che identificavano la storia del club), quella che faceva battere il cuore solo a guardarla sotto le luci di San Siro. Quelle maglie avevano un’anima: i colori erano vivi, intensi, autentici. Oggi, lo so, gli sponsor dettano legge, e le maglie cambiano come mode stagionali — ma quei colori moderni, lucidi, quasi fluorescenti, mi ricordano più le carte delle caramelle che la storia gloriosa di un club. Erano tempi in cui anche un dettaglio – il colletto bianco, il numero cucito a mano, il tessuto spesso – raccontava la dignità di un simbolo.
E in TV non si vedeva tutto, si vedeva solo la sintesi di un tempo di una partita di serie A, qualche frammento, e poi via con le pagelle, i commenti e tanta fantasia.
C’erano le tre coppe europee vere, non i tornei ibridi di oggi: la Coppa dei Campioni, la Coppa delle Coppe e la Coppa UEFA. Tutte a eliminazione diretta, dai sessantaquattresimi, senza seconde possibilità, senza gironi infiniti. Bastava una serata storta e salutavi l’Europa. Ogni gol valeva doppio, ogni ritorno era un’impresa o una condanna. Le notti di Coppa erano fredde e infinite, con le radioline accese e la speranza che l’Italia portasse avanti almeno una bandiera.
E oggi? Oggi resta la passione, certo, ma manca quella magia che nasceva dall’attesa. Oggi vediamo tutto, troppo, subito, in diretta, con mille telecamere e il VAR a sezionare ogni respiro. Ma in quell’urlo strozzato in gola, in quell’attimo di esitazione per capire se il gol è buono o no, io ho perso l’emozione, ho perso la spontaneità di un abbraccio, la verità di un errore, la poesia di un istante imperfetto.
Ricordo “La Domenica Sportiva” quando ti portava davvero dentro lo spogliatoio, tra le maglie sudate e i sorrisi veri. O quando la Nazionale giocava e l’Italia si fermava, le piazze vuote e i bar pieni, con il tricolore alle finestre e la radiolina accesa sul tavolo.
Oggi il calcio è cambiato, lo so. È più veloce, più tecnologico, più globale e per molti, fuori dal campo, più spettacolare con luci e suoni che una volta vedevi solo in discoteca, ma dentro di me resta quel ragazzo che si emozionava per un gol visto dietro una bandiera, che sognava il tredici alla schedina, che contava le ore per vedere la sintesi della sua squadra.
Eppure, nonostante tutto, continuo ad amare questo gioco. Con le sue imperfezioni, i suoi cambiamenti, le sue nuove regole e le sue vecchie emozioni che resistono. Perché il calcio, anche se è diventato diverso, resta sempre un battito del cuore. Magari oggi è più veloce, più lucido, più lontano da quell’odore di erba bagnata e panini allo stadio, ma basta il rumore di un pallone che rimbalza o un coro che si alza per riportarmi lì, tra la folla, con gli occhi di un bambino e l’anima di chi non ha mai smesso di crederci.
Lo so… sto invecchiando.

BIO: Franco Morabito
Nato a Milano nel 1970, vive in provincia di Milano e, oltre ad essere milanista da sempre, è amante della lettura, dei viaggi e dello sport in generale e del calcio in particolare.
‘’Ogni libro che leggo, ogni luogo che visito e ogni sfida sportiva che affronto mi regalano nuove emozioni, che cerco di trasformare in storie da condividere con chi ama lasciarsi trasportare dalla fantasia e dall’avventura’’.
E’ l’autore del romanzo ‘’Il sogno di Moleque’’ e lavora come impiegato in una struttura ospedaliera di Milano.










5 risposte
E oggi? Oggi ci sono i toni alti, la violenza verbale e anche un pizzico di maleducazione. Mi sono piaciute le parole di Chivu ieri che ha parlato di un Paese calcistico che sa solo lamentarsi. Ricordo le domeniche passate con mio padre ad ascoltare la radio o a vedere il noto programma regionale della Puglia Forcing che in tempo reale ti dava i risultati di tutte le serie. Le voci di Ameri, Ciotti prima e poi di Cucchi erano familiari ed avevano le stessa sacralità dei sacerdoti delle chiese che celebravamo le loro messe. Era un rito che purtroppo non vedremo più. La settimana scorsa su Radio Deejay Fabio Caressa invocava ad un ritorno delle partite alla domenica, in un blocco di almeno quattro partite. Il bello era la contemporaneità, oggi si parla di slot televisivi da riempire…
Se tu stessi invecchiando carissimo Franco io essendo un tifoso rossonero classe 48 dovrei semplicemente sprofondare nella notte di un calcio che fu…e, ahimè, non tornerà mai più!
Non hai scritto un articolo, hai consegnato un tema in classe con la brutta scritta su decine di schedine del Totocalcio dall’inconfondibile odore come hai deliziosamente descritto e proseguendo con la fedele descrizione dell’atmosfera irripetibile degli adrenalinici pomeriggi domenicali vissuti con il transistor all’orecchio seguiti all’ora del the dalla visione in b/n di 90°Minuto. Grazie per questo delizioso compito in classe.
Personalmente soffro di una inguaribile nostalgia di quel periodo che va dagli anni 60 ai 90 quando nel mondo imperava l’analogico in luogo del molto più performante ma freddo digitale. Però curo quella mia morbosa nostalgia ascoltando sempre la cronaca delle partite con la mia vecchia ma efficiente radio Grundig…cosa che, specie quando vince il Milan, mi fa ringiovanire!
Buona serata e alla prossima!
Un caro abbraccio.
Massimo 48
Caro Massimo grazie per il commento, c’è una canzone che recita “nostalgia, nostalgia canaglia” beh diciamo che con il passare degli anni questa nostalgia viene sempre più a galla. Tieniti stretta la tua radiolina grundig e andiamo avanti a testa alta.
Un abbraccio
Franco
Buonasera Franco,condivido tutti questi ricordi; aggiungo solamente i risultati in sovrimpressione durante domenica in.
Bel ricordo. Manco quegli autunni e inverni, da un punto di vista atmosferico, esistono più. Pensa che io ho pure fatto in tempo a vedere la Coppa delle Fiere, l’antesignana della Coppa UEFA. Vedevo le partite sulla TSI1, che a Milano si chiamava semplicemente “la Svizzera”.