“IL PALLONE È MIO E FACCIAMO COME VOGLIO IO!”

Quando Di Canio si prese un rigore che non gli spettava.

“Sei scarso, vai in porta!”

“Chi fa l’ultimo goal vince”

“Adesso sto io in attacco!”

Esistono delle dinamiche primordiali nel calcio a cui, chi ha partecipato visceralmente alle sue manifestazioni, sarà eternamente assoggettato e da cui non potrà mai completamente emanciparsi.

Quando da bambini aspettavamo febbrilmente che fosse il nostro turno ad essere scelti mentre si facevano le squadre, vivevamo molto di più di un semplice rimando della nostra abilità, venivamo riconosciuti nel nostro grado di affidabilità o di affinità con una delle due entità di massimo potere sociale in quel momento, il capitano.

Scalare quella ideale gerarchia, di cui il grado di soggettività rappresentava ovviamente l’aspetto più importante, poteva voler dire aver già vinto la partita prima di giocarla.

Ma come possono essere queste iniziazioni più potenti di tutto ciò che impariamo nel corso della vita?

Come facciamo a rimanere per sempre connessi con un mondo così distante?

La risposta la troviamo nell’immagine che ritrae Paolo Di Canio e Frank Lampard mentre discutono per definire chi avrebbe dovuto calciare un rigore nella partita di campionato tra la loro squadra, il West Ham, e il Bradford.

E’ il 14 febbraio del 2000 e i due calciatori stanno vivendo due fasi opposte della loro carriera, Di Canio aveva dieci anni in più del ventiduenne Lampard e continuava a esibire il suo talento, cosa che gli stava riuscendo con continuità soprattutto da quando era arrivato in Gran Bretagna, mentre il secondo si stava rivelando come uno dei talenti migliori del calcio inglese.

La conferma del fatto che non sia possibile sradicare certi funzionamenti da una persona che li abbia introiettati così profondamente e in una fase di vita in cui si è così ricettivi, sta proprio nel comportamento di Paolo Di Canio, giocatore dalla grande esperienza che, in quell’attimo, si dimenticò di tutta la sua storia davanti alla possibilità di segnare un goal in una partita che sembrava stregata, ritornando così ad essere il bambino che non accetta una frustrazione più grande della sua volontà di non perdere.

Frank era il rigorista designato ma Paolo voleva tirare quel rigore!

Quel diritto derivava dalla sua certezza che l’arbitro gli avesse negato più volte dei rigori, secondo lui (e non solo) ingiustamente, e dal fatto che la sua squadra stesse perdendo 2-4 in casa davanti a quei tifosi che, adorandolo, riuscivano spesso a spingerlo oltre i limiti psicofisici.

Era diventato qualcosa di esclusivo, personale, un giocatore che stava facendo una guerra contro ciò che il destino sembra avergli riservato, uno scontro così rabbioso da esondare e risvegliare tutta la squadra.

Alcuni giocatori sentono nascere la propria motivazione in maniera intrinseca, attingono da dentro loro stessi a ciò che serve per ottenere la miglior performance, non hanno bisogno delle partite importanti per attivarsi, giocano in allenamento come se fossero in partita.

Altri giocatori invece la sentono alimentata dal contesto, hanno bisogno di scariche dall’esterno, motivazioni estrinseche, come un traguardo, un avversario, una conferma, questo tipo di atleti è, perciò, più spesso soggetto a cali o a oscillazioni di motivazione.

Di Canio quel pomeriggio non discusse con Lampard per calciare il rigore, gli strappò direttamente il pallone dalle mani e lo incastonò sotto il suo braccio con una determinazione così feroce da rendere Lampard praticamente trasparente, spettrale.

Ciò che avvenne in quella partita è sbagliato e disfunzionale rispetto alle regole di un gruppo, di una squadra, entità che rappresenta una modalità speciale di gruppo.

Una squadra è un gruppo con un codice comunicativo esclusivo, con dei segni distintivi, con dei ruoli e delle regole ben definiti e con delle relazioni strutturate tra i suoi membri.

In quel momento Di Canio ha infranto una di queste regole, una gerarchia che poneva Lampard nel ruolo di rigorista e che lui ha riscritto facendo leva sulla sua leadership caratteriale.

Per Lampard sarebbe stato molto difficile o, addirittura, contro producente continuar ad opporsi, visto il suo status di “rookie” che lo portava a dover essere molto cauto rispetto agli equilibri dello spogliatoio.

In quest’ottica potremmo anche interpretare la resistenza del giovane Frank, che alcuni sentirono troppo flebile, come sostanzialmente intelligente e indicativa di una sua capacità di leggere le situazioni già da veterano.

Il fatto che il rigore sia stato poi trasformato ci permette invece di leggere quell’episodio in una maniera più caleidoscopica, offrendoci anche la possibilità di evidenziare la capacità di Di Canio di mantenere la calma in un momento di grande frustrazione, trasformando così quella carica agonistica in fermezza assoluta.

Il rischio potenziale era tutto dalla parte del giocatore italiano che, in quel preciso momento, avrebbe potuto trasformarsi nel vecchio giocatore straniero che intimorisce il giovane talento di casa, pronto così a diventare nuovamente il più facile dei capri espiatori in caso di errore.

Ho scritto “nuovamente” perché nei suoi anni britannici Di Canio visse una storia altalenante, con grandi picchi tecnici ed emotivi ma anche con tonfi comportamentali nelle paludi di in una sua personalissima battaglia contro lo stile arbitrale inglese, culminata con la spinta all’arbitro Allcock che gli costò 11 giornate di squalifica.

Per rendere il momento ancor più sbilanciato a sfavore di Paolo ci si mise il suo ultimo precedente, un rigore calciato e sbagliato contro l’Aston Villa, e una piccola zuffa che si scatenò vicino a lui poco prima della sua esecuzione.

E per questo che in una situazione come quella appena descritta è fondamentale che la nostra parte bambina riprenda il controllo, permettendoci di perseguire famelicamente un obbiettivo pur avendo tutto contro, per restare equilibratamente irrazionali.

Il modo in cui lui si prese quel pallone, con prepotenza e arroganza, lasciava anche intravedere un retrogusto di determinazione, di sicurezza, quasi a volerci convincere con quel gesto così clamoroso che sapesse il fatto suo, che tutto sarebbe finito nel migliore dei modi se lo avessimo lasciato fare.

In effetti non ci fu una sommossa collettiva, la sua squadra e il suo allenatore non furono così critici nei confronti di Di Canio in quel momento, quasi a tollerare un gesto sbagliato che, fatto dalla persona giusta e in quel frangente specifico, avrebbe anche potuto funzionare.

Possiamo dire che Paolo sia stato egoista?

Che abbia pensato più a sé stesso che alla squadra?

Dopo aver trasformato il rigore con un forte tiro rasoterra, non angolatissimo ma talmente forte da anticipare nettamente il tuffo del portiere, prese il pallone dalla rete, lo rimise sotto il suo braccio e corse verso il centro del campo per riprendere velocemente il gioco.

Non appena incrociò Lampard cominciò ad agitargli davanti l’indice, rinforzato nel suo ammutinamento dalla realizzazione del rigore e ormai in una dimensione di onnipotenza tale che gli permetteva paradossalmente di redarguire il compagno per lesa maestà.

Nella sua testa poteva essere solo lui stesso lo strumento di quella rimonta, la rabbia che solo lui stava provando in quel momento lo portò ad auto incoronarsi come imperatore di quella riscossa

La partita finirà 5-4 per il West Ham e il suo diario di bordo vedrà per sempre in quell’episodio la scintilla che permise agli hammers una rimonta che forse sarebbe stata difficile da immaginare.

In un altro multiverso determinato da regole comportamentali più sfumate potremmo anche rischiare di vedere Frank Lampard che, anticipando l’indice accusatorio di Di Canio, lo ringrazia per aver calciato quel rigore al posto suo e Paolo, con un sorriso degno del miglior Rugantino, che gli risponde:

“ tranquillo pischè, ce dovevo pensà io!”.

BIO: Davide Bellini

  • Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
  • Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.

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