LA LEGA SAUDITA PROFESSIONISTICA : UNA VISIONE DIFFERENTE.

In un momento in cui, anche in seno a questo blog, vengono esposte considerazioni di vario genere in merito alla migrazione di calciatori verso la Lega Saudita Professionistica (Roshi Saudi League), ci sia permessa una visione da un angolatura diversa, da non intendersi per forza in antitesi al pensiero dei più, supportata tuttavia da alcune considerazioni storico-economico-sportive.

Nel momento in cui il campionato saudita ha iniziato a fare incetta di celebri calciatori, a suon di ingaggi a peso d’oro, si è scatenato un movimento di opinione contro la Lega Araba, rea delle peggiori mostruosità economiche a discapito dello spirito e dei “veri” valori del calcio.

Alcuni elementi che tendono in queste ore a far gridare allo scandalo potrebbero risultare meno convincenti, quando non meri messaggi demagogici, se rapportati ai vari momenti del calcio che fu.

Proviamo ad analizzarli.

a) ECCESSO DI FORZA ECONOMICA

La considerazione secondo cui la Lega Araba starebbe scippando i big all’Europa calcistica, a mezzo di operazioni di dubbia moralità, favorendone la migrazione in medio-oriente per meri interessi economici, merita una serie di riflessioni che traggono origine dal ventennio 1980-1999 quando il campionato italiano la faceva da padrone.

All’epoca era normale che i grandi calciatori di ogni latitudine ambissero (e venissero) a giocare in Italia. Se consideriamo i calciatori di movimento schierati nella finale di Italia 90 scesero in campo 12 giocatori su 20 del campionato italiano, che sarebbero stati 13 se solo Caniggia non fosse stato squalificato.

A latere di questo dato, è lecito (e forse eticamente doveroso) chiedersi se gli appassionati italiani abbiano mai urlato allo scandalo per il fatto che i migliori calciatori argentini, brasiliani, olandesi, tedeschi lasciassero i loro contesti per l’Italia. Non si ricordano campagne di stampa o movimenti di opinione contro la migrazione dei migliori calciatori verso lo stivale a difesa della qualità tecnica del campionato d’origine.

E non è forse vero che i fenomeni di tutto il mondo venivano a giocare da noi perché attratti dagli ingaggi più elevati rispetto a quelli percepiti da altre parti?

Il meccanismo che oggi spinge i calciatori in Arabia Saudita è il medesimo, ovvero la capacità di spesa del paese che li ospita quanto ad ingaggi ed a benefit che vanno a percepire.

Sarebbe magnifico poter immaginare che negli anni 80 e 90 i campioni approdassero nel bel paese per le bellezze paesaggistiche, artistiche, culturali ed enogastronomiche ma la realtà ci dice altro.

Ci dice che, all’epoca, le nostre società offrivano di più. Esattamente come accade oggi in Arabia Saudita.

Successivamente al periodo d’oro del campionato italiano meccanismi simili si sono succeduti nella Liga e nella Premier League, arrivata nell’ultimo decennio ad un livello irraggiungibile per gli altri anche in virtù delle risorse provenienti dalla vendita dei diritti tv, dimostrando una volta di più che è l’aspetto economico a far risultare più o meno attrattivo un torneo per chi vi partecipa.

Né possono essere tralasciate le realtà russe, statunitensi e cinesi le quali, anche se in riferimento a calciatori meno celebri e/o a fine carriera, hanno fatto incetta di nomi provenienti dai maggiori campionati.

La circostanza secondo cui sia il denaro a rendere importante una lega piuttosto che un’altra non deve essere vista come qualcosa di sbagliato in seno ad un contesto professionistico. Rientra nella logica degli eventi come ci insegnano le realtà del basket, dell’hockey o del baseball USA, in seno alle quali i compensi in stile Arabia rappresentano la normalità dei guadagni dei protagonisti.

b) MORALITA’  o IPOCRISIA?

Alle considerazioni di cui sopra non è raro sentir rispondere eccependo l’immoralità delle somme che le società saudite sono disposte a pagare.

Il ragionamento che i detrattori del mercato arabo pongono in essere è il seguente: “vero è che i professionisti sono liberi di aderire alle proposte che gli arrivano dall’Arabia ma non è accettabile che queste eccedano determinati limiti economici”.

Deve esserci, a loro avviso, un limite agli stipendi pena una mancanza di moralità che cozzerebbe, come detto, con i veri valori dello sport.

Quali siano detti valori non è facile comprenderlo se non all’interno del mondo dilettantistico.

In ambito professionistico, volenti o no, il dibattito si sposta giocoforza sull’importanza del denaro.

A mero titolo esemplificativo, i 150 milioni di Euro che Cristiano Ronaldo percepisce per le sue prestazioni da tesserato dell’Al Nassr rappresentano, secondo questo punto di vista, qualcosa di eretico oltre che un elemento che tende a drogare il mercato ponendo in grossa difficoltà il calcio del vecchio continente.

In alcuni casi si è arrivati addirittura a chiedere un intervento della FIFA, non è dato sapere in base a quali poteri o criteri, tale da porre fine alla diaspora verso il Medio Oriente.

Non è accettabile, si continua a tuonare, che per giocare a calcio si percepiscano certe somme.

Pur nel rispetto delle altrui opinioni, la domanda che segue sorge spontanea: se parliamo di moralità, e deduciamo che la somma di 150 milioni di Euro sia “moralmente inaccettabile”, dobbiamo dedurre che i 30 milioni che lo stesso Ronaldo percepiva in Italia fossero, viceversa, “moralmente accettabili”?

Qual’è il limite (in milioni di Euro o di Dollari annui) entro cui far ricadere un’offerta moralmente accettabile?

L’esperienza ci insegna a credere nell’etica personale diffidando, tuttavia, dall’accoppiata  retorica- moralismo.

E’ naturale che in quanto appassionati di calcio appartenenti ad un paese storicamente importante questa situazione dia fastidio.

Se, tuttavia, allarghiamo il raggio sino a comprendere la maggior parte degli appassionati presenti in tutto il mondo, ci accorgiamo che per loro non fa differenza.

Da decenni i supporter sudamericani vedono i loro beniamini andarsene in giovane età.

Per non parlare delle promesse balcaniche che, talvolta, vengono cedute all’estero prima ancora di diventare maggiorenni.

Italia, Inghilterra o Arabia non fa differenza nel momento in cui il club non è in grado di trattenere un proprio tesserato.

E’ molto più nobile, da un punto di vista intellettuale, ammettere che la causa del fastidio risiede nella perdita di interesse del calcio di casa nostra e non nelle questione etiche.

Se così fosse, avremmo manifestato in favore di tutti quei campionati che trent’anni fa fornivano i loro campioni alla serie A, aumentandone l’interesse.

Il meccanismo di base è il medesimo. 

Trent’anni fa ne traevamo i frutti, oggi siamo destinati a subirne gli effetti.

Ciò che prima era fonte di godimento, oggi viene visto come stortura.

Tutti coloro che si lamentano, per certi versi a ragione, del calcio-business o dei troppi interessi che muovono intorno allo sport, dovrebbero per coerenza interessarsi allo sport dilettantistico.
Ma quando la passione la fa da padrone, anche se involontariamente, diventiamo complici del sistema e delle sue criticità.

 c) IL CAMPIONATO SAUDITA NON E COMPETIVO NE’ STORICAMENTE IMPORTANTE.

Accantonate le disquisizioni di natura etica, è doveroso considerare un’ulteriore obiezione mossa da coloro i quali rifuggono dal pensiero testé proposto, ovvero che il sistema saudita sia il medesimo con cui, prima dell’Arabia, altri contesti attraevano i campioni.

Si tende a pensare che l’accettazione delle suddette offerte sottenda uno svilimento sportivo e professionale in quanto la Lega Saudita non può considerarsi un campionato evoluto dal punto di vista calcistico, né può vantare uno storico importante da renderla calcisticamente prestigiosa.

Ma cos’è che rende un campionato evoluto? Quand’è che possiamo parlare di livello elevato di un torneo?

 A nostro avviso sono i protagonisti (calciatori, allenatori) a dare lustro al campionato di riferimento.

Al momento della riapertura delle frontiere in Italia, nel 1980, la qualità della serie A non era di primo livello. Lo è diventata grazie a campioni eccezionali i quali, complice il limite del numero di stranieri per squadra, hanno migliorato i compagni e le compagini di appartenenza.

Senza considerare l’evoluzione degli allenatori e di alcuni (purtroppo non tutti) tra i dirigenti.
E poi, via via, gli sponsor, gli investimenti, l’interesse del pubblico, l’importanza della Lega e della Federazione.
Tutto è andato in divenire.

All’esito delle esperienze degli USA sul finire degli anni 70 e della Cina di qualche anno fa, verrebbe da pensare sia molto complesso far evolvere seriamente un campionato estraneo a quelli  storicamente noti.

La questione saudita, tuttavia, potrebbe offrire un esito differente.

In primo luogo perché, a differenza degli Usa di fine anni 70 e della Cina di qualche anno fa, a sbarcare in Arabia Saudita sono le stelle assolute.

Se inizialmente si era pensato ad un approdo di CR7 alla ricerca di un prepensionamento dorato, i nomi che lo hanno seguito a suon di milioni, ci raccontano di calciatori di prim’ordine ancora nel pieno dell’attività.

In secondo battuta perchè la Lega Araba, a differenza di quella cinese, sembra godere di una totale autonomia che non dovrebbe vederla dipendere dalle istituzioni politico-governative che la sostengono per un piano quantomeno decennale.

Da ultimo, ma non per importanza, la possibilità di competere in competizioni importanti quali il campionato del mondo per club e, come sembra palesarsi, la possibilità di entrare nella futura Champions League europea grazie ad alcune wild card concesse dell’UEFA.

Ebbene si! Pare proprio che il governo del calcio europeo, a parole disgustato dal sistema saudita, stia pensando di coinvolgerne i club assaporando la possibilità di incrementare introiti derivanti da diritti Tv e sponsorizzazioni.

Se così fosse, in un’epoca in cui tutto è reso più veloce e fagocitato, non ci sarebbe da sorprendersi se entro pochi anni la Lega Saudita prendesse il posto della Premier League.

Non siamo particolarmente convinti che la mancanza di uno storico importante possa fungere da deterrente alla crescita esponenziale di un movimento. 

Prendiamo il caso di Neymar che sin da bambino ha visto i suoi beniamini brasiliani emigrare nei campionati europei. Siamo sicuri che faccia differenza per lui giocare al caldo dell’Arabia anziché a Parigi, per di più con ingaggio faraonico?

Da appassionati italiani ed europei vogliamo sperare che la Lega Araba sconti nel tempo le medesime problematiche patite negli Usa e in Cina in modo tale da mantenere in auge la qualità dei “nostri campionati” ma, anche in virtù del programma atto ad ottenere l’organizzazione del Coppa del Mondo, non è illogico ritenere che il contesto saudita possa tra qualche anno ergersi a padrone del calcio internazionale.

Sarà in tal senso dirimente il coinvolgimento del pubblico.

Qualsiasi evento sportivo, anche il più elevato dal punto di visto tecnico, basa la propria importanza sull’interesse che è in grado di suscitare. Nel caso dell’Arabia Saudita sarà fondamentale comprendere se detto interesse si trasformerà in passione o sarà solo un innamoramento passeggero destinato a spegnarsi non appena i ricchi fruitori si saranno stancati del giocattolo.

d) CRITICITA’ SOCIALI: SCARSA TUTELA DEI DIRITTI CIVILI

Un aspetto da molti toccato nella speranza di boicottare la Roshi Saudi League è quello inerente alla mancata tutela di alcuni tra i diritti civili che stanno alla base della convivenza tra gli esseri umani.

Senza redigere elenchi atti a delineare le mancanze da questo punto di vista, è innegabile che il contesto saudita sia tra i più arretrati a livello internazionale, in ciò scontando, tra le altre, un’arretratezza non solo culturale ma anche temporale nella formazione delle menti (ricordiamoci sempre che Maometto è venuto al mondo 700 anni dopo Cristo e ricordiamoci a che punto di tolleranza eravamo noi 700 anni fa).

Da questo punto di vista è agevole far notare che anche in Europa ci sono paesi non propriamente all’avanguardia ma non per questo si è polemizzato quando calciatori ed allenatori (gli ultimi due CT della nazionale italiana ad esempio) hanno allenato nel campionato russo o quando un altro allenatore di casa nostra ha assunto la guida dell’Ungheria.

Senza considerare allenatori, non solo di calcio, andati a svolgere la loro professione con pieno merito in Iran e tornati arricchiti non solo professionalmente ma anche dall’esperienza di vita in un paese criticato ma per alcuni aspetti unico.

Pensare che gli imbarazzi per la situazione relativa ai diritti civili possano fungere da deterrente è esercizio tanto velleitario quanto inconferente.

Seguendo questo pensiero non si sarebbero dovuti organizzare i mondiali in Argentina nel 1978, in Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022 oltre a qualche recente edizione delle Olimpiadi

Ma sarebbe stato giusto privare quei popoli di questi eventi per responsabilità dei loro governanti?

Non è forse vero che lo sport dovrebbe abbattere questa tipologia di barriera anziché erigerle?

Alessio Rui e Filippo Galli

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

4 Responses

  1. Un articolo davvero illuminante e controcorrente che può aiutarci a guardare alle ultime evoluzioni del mondo calcistico in modo più oggettivo e se za preconcetti. Concordo pienamente, anche se tristemente con la disamina di Alessio e Filippo. Ci porta a fare una riflessione onesta sulla ipocrisia del nostro risentimento verso questa la nuova Lega Araba e in genere della nostra reazione alla predominanza decontinuo dall’aspetto economico su tutto ciò che riguarda il calcio.
    Quindi, nulla da eccepire. Lasciatemi però manifestare un dispiacere molto personale, magari solo una banale nostalgia verso un calcio che a me sembra aver perso specie nei suoi protagonisti principali, i calciatori, una perdita di valori piuttosto profonda.
    Ma è tutto il mondo che va in questa direzione e lo sport fa parte del mondo. Inutile lamentarsi se poi….ho rinnovato i miei abbonamenti anche quest’anno. Quando voglio tornare al mio calcio vado in qualche parco e mi guardo i miei calciatori che giocano ancora mettendo le borse come pali della porta. E la traversa…. quella resta immaginaria.

  2. Davvero un ottima riflessione che ho letto con piacere e condivido il pensiero di Alessio.
    E mi ispira a pensare che se questa migrazione di top player continuasse di questo passo, generando conseguenti “posti liberi” nei nostri campionati europei, sarebbe cosa ben positiva per dare spazio a nuovi talenti da far emergere.

    1. Condivido, Federico, il tuo auspicio anche se negli anni del boom del campionato italiano hanno esordito calciatori eccezionali a riprova che il sistema favoriva la qualità.
      Oggi il fatto di non avere più tanti big, anziché lavorare su un’identità di club, porta i nostri dirigenti a far incetta di giocatori che vengono proposti da osservatori senza una logica di programmazione o a puntare su stelle sul viale del tramonto.
      Un caro saluto

  3. Ovunque nel mondo del lavoro a parità di ruolo vado dove mi pagano di piu’……..etica o no il calcio non fa eccezione!!!
    È vero ai tempi venivano tutti in Italia non perché era il campionato più bello ma perché era dove guadagnavi di più. …
    TUTTORA I CLUB NE STANNO PORTANDO LE CONSEGUENZE BUTTANDO LA POLVERE SOTTO IL TAPPETO …..
    Il calcio è show e business….
    VEDIAMO DOVE CI PORTERÀ LA NUOVA EL DORADO

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