BUON COMPLEANNO “BECCA” – EVARISTO BECCALOSSI: MOLTO PIÙ DI UN NUMERO 10

Evaristo Beccalossi, rappresenta un punto di svolta nella storia del nostro football perché è con lui che nel panorama italiano prende piede la figura del n. 10 “fantasista”.

A cavallo degli anni 80, infatti, il calcio di casa nostra è ancora intento a declinare l’estro sui binari dell’ala tornante secondo un trend inaugurato da Meroni.

Da lì a poco Domenghini aggiungerà capacità aerobica alla funzione del “7” prima che Causio innesti eleganza nella ricerca del dribbling e che Bruno Conti, anticipato in questo da Claudio Sala, ne ampli il raggio d’azione, coinvolgendo entrambi i lati del fronte offensivo, lasciando a Roberto Donadoni l’evolversi del ruolo sino a diventare un vero e proprio fantasista a tutto campo.

Il numero 10, viceversa, rappresenta in quegli anni un’altra tipologia di calciatore. E’ identificato nella mezzala di regia (“interno sinistro” secondo tradizionale dicitura) ovvero l’elemento di comprovata tecnica che “porta linfa” alla manovra, facendo leva su trame disegnate da lucidità di pensiero, tecnica e visione di gioco.

Ritiratosi Rivera, è Giancarlo Antognoni la figura di riferimento del ruolo. Rispetto all’illustre predecessore, abile nella giocata sul breve, sul medio e sul lungo, il capitano viola si muove maggiormente sul campo. L’elegante falcata e la spiccata visione di gioco lo rendono un vero e proprio regista avanzato con facoltà di mandare in goal in compagni. Il dribbling, tuttavia, lo usa di rado e quasi sempre per accompagnare la corsa. Chi verrà dopo di lui, si chiami Dossena, Di Gennaro o Giannini, arretrerà nel corso degli anni il raggio d’azione sino al confinamento in altre zone del campo nel momento in cui il football di casa nostra verrà rivoluzionato da Sacchi e dai suoi discepoli.

Evaristo Beccalossi, all’interno di questo excursus, ha anticipato in Italia la visione del numero 10 quale simbolo della fantasia nel calcio.

La sua non era una regia razionale.

Era una conduzione della manovra d’attacco legata alla giocata dall’alto coefficiente di rischio.

Con il suo atteggiamento ribaldo, ha fatto innamorare migliaia di appassionati per quell’attesa che si creava ogni qualvolta era in procinto di ricevere palla.

Non sapevi mai cosa aspettarti da lui.

Poteva estrarre un coniglio dal cilindro da un momento all’altro.

Di sicuro la continuità non era il suo forte ma di classe ne aveva da vendere.

Cresciuto calcisticamente nel Brescia, scelse il calcio al posto dell’amatissimo ciclismo per la voglia di cimentarsi in uno sport di squadra il che sembra stridere con la sua fama di calciatore anarchico.
Approdato all’Internazionale nel 1978, ne diventerà uno dei simboli e dei beniamini con un un impatto, verso contemporanei e posteri, superiore anche alla quantità di perle calcistiche offerte sul campo.

La conquista di uno scudetto (1979-80) e di una Coppa Italia (1981-82) sono i titoli che esporrà in bacheca ai quali andrà addizionata un’ulteriore Coppa Italia, conquistata vestendo la maglia blucerchiata nel momento in cui la compagine genovese otterrà il primo di una lunga serie di successi.

Le vittorie, tuttavia, non disegnano in maniera completa la carriera di un giocatore destinato a dividere, sin tanto che è stato in campo, e capace di piacere a tutti una volta ritiratosi.

Sin all’esordio in nerazzurro si capisce non sarà un giocatore come gli altri.

Aggregato durante una tournee di fine stagione in Cina, debutta a Pechino il 10 giugno 1978 prendendo il posto di Sandro Mazzola, ritiratosi un anno prima e tornato in campo per esibire una stella agli occhi degli appassionati cinesi.

Da lì in poi succederà al “baffo”, con il quale i rapporti per un periodo non saranno buoni, anche nel cuore dei tifosi.

Nonostante sia fresca vincitrice della Coppa Italia, la compagine nerazzurra, complice l’infortunio di Facchetti, non vede nessuno tra i propri calciatori convocati per il mondiale del 1978 ad eccezione di Ivano Bordon, imbarcatosi per l’Argentina in qualità di terzo portiere.

Segno, questo, della transizione che il club presieduto da Ivanoe Fraizzoli sta scontando.

I tifosi della Beneamata non vedono l’ora di innamorarsi di qualche “nuova stella” dopo l’abbandono di molti eroi del passato.

Al già presente Alessandro Altobelli, centravanti, abile tecnicamente, dall’elevato fiuto del goal, deve essere addizionato un calciatore in grado di innestarlo negli spazi stretti.
Uno che sappia giocare il filtrante.

La scelta di Beccalossi si rivelerà azzeccata.


Nessuno, meglio di lui, riuscirà ad intendersi con “Spillo” in una condivisione di intenti calcistici che li terrà in auge per sei stagioni.

Stagioni caratterizzate, tuttavia, da un’importante differenza: il compagno di squadra sarà protagonista in azzurro nonostante l’agguerrita concorrenza rappresentata da Bettega, Rossi, Pruzzo, Giordano, Graziani, Pulici, Virdis e Serena.

Evaristo in nazionale maggiore non ci arriverà mai; vittima di un carattere particolare, portato ad eccedere dialetticamente e poco propenso alla disciplina al punto che lui stesso si definirà “ingestibile”.
Tecnicamente parlando, si tratta di un autentico cavallo di razza.

Abituato a controllare la palla lasciandola “scoperta” senza mai guardarla, caracolla a testa alta con  busto eretto dando indicazioni ai compagni di squadra.

Destro naturale, diventerà mancino per lo smisurato amore nutrito nei confronti di Omar Sivori risultando, per l’effetto, in grado di giocare con ambo i piedi.

217 presenze e 37 reti in sei anni sono numeri importanti che, tuttavia, non illustrano pienamente la popolarità di cui ha goduto e gode tra i supporters nerazzurri.


Campione di Italia nel 1980, al termine della nefasta stagione del calcioscommesse, è protagonista assoluto alla Scala del calcio.

L’intesa con Altobelli è di quelle che si è soliti definire ad occhi chiusi.

Beccalossi legge in anticipo i movimenti del “suo” centravanti.

Quando può cerca di servirlo nei piedi. Quando non è possibile, lo coglie con parabole da artista che consentono al compagno di trovarsi in posizione perfetta per violare le reti avversarie.

Che si trovi di fronte la difesa schierata o che armi il contrattacco, Evaristo raramente sbaglia i tempi della giocata.

Chiedere a Carlo Muraro che spesso e volentieri si vede lanciato a rete dai suoi traccianti.

L’annata migliore è il 1981-82 quando gli riesce pure di risultare “continuo”, ovvero elevarsi sopra se stesso, con un rendimento eccellente anche in zona goal. E’ la stagione che porta al mondiale spagnolo durante la quale il titolare della maglia azzurra, Giancarlo Antognoni, è fermo ai box per oltre quattro mesi a seguito del durissimo scontro con il portiere genoano Martina.

La strada per l’approdo in azzurro sembra spianata ma il C.T. Bearzot non ci sente.

Beccalossi reagisce da far suo, esondando dal punto di vista dialettico, e la porta della nazionale si chiude per sempre.

La vittoria mondiale spegnerà ogni vis polemica del fantasista anarchico che, supportato dalla pungente lingua dell’avv. Prisco, non vedeva l’ora che gli azzurri uscissero male dalla competizione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

Niente azzurro, quindi, ma molto nerazzurro al punto da diventare un giocatore iconico.

Refrattario per sua ammissione alla disciplina, affermava scherzando (ma nemmeno troppo) che si prestava ad un solo allenamento settimanale, di mercoledì, per poi marcar visita negli altri giorni interessato com’era ad altri contesti tra cui i locali di Milano, la vita sociale anche se non eccessivamente trasgressiva, e qualche sigaretta di troppo.

La passione per l’automobilismo lo portò ad inventarsi un dolore per lasciare un ritiro prima di una gara e recarsi a Monza. Quella del ciclismo lo fece salire sull’ammiraglia del ciclista Roberto Visentini durante alcune tappe del Giro d’Italia.

La consacrazione agli occhi dei tifosi ha una data: 28 ottobre 1979, giorno in cui decide il derby di  con una doppietta da sogno.

Non vi sarà circostanza in cui i fans nerazzurri si lascino andare contro un calciatore tanto capace quanto discontinuo che, di suo, può portarli all’esaltazione o alla disperazione calcistica.

Nemmeno dopo aver fallito due rigori in pochi minuti durante un match di Coppa Uefa contro lo Slovan Bratislava sentirà mancare l’affetto nei suoi confronti.

Per un altro sarebbero stati fischi e critiche, per lui applausi ed incoraggiamenti anche dopo quella disavventura.

Raccontava di essere timido e di portare i capelli a metà tra Branduardi e Cocciante perché non gli si notassero le espressioni facciali ma se c’era una cosa che davvero lo interessava erano le emozioni; quelle che offriva alla platea e quelle che provava da uomo sensibile e senza filtri.

Avere Evaristo Beccalossi come beniamino non significava solo riconoscergli i meriti sportivi.
Si trattava di una corrente di vita, un assorbimento totale della propria inclinazione calcistica verso un modo di intendere il football che portava a difenderlo anche in situazioni indifendibili e ad esaltarlo, sempre e comunque, oltre ogni ragionevole dubbio.

 
Non si poteva apprezzare il Beccalossi calciatore dall’alto di una valutazione razionale.
Lo si doveva amare…altrimenti meglio lasciar perdere.

Ne sa qualcosa una giovane ragazza di nome Anna Ceci, passata alla storia per aver pesantemente insultato con epiteti quali “scemo” e “scimmione” il CT Enzo Bearzot, in partenza per il mondiale di Spagna, reo di non aver convocato il fantasista nerazzurro. La reazione del Commissario Tecnico si materializzò in uno schiaffo che la giovane, pur riappacificatasi con lui, inizialmente si portò appresso come una medaglia.

Beccalossi ha segnato anche un modo diverso del pubblico milanese, quando a Milano di milanesi ce ne stavano ancora parecchi, di approcciarsi alla vita.

Superati gli anni della ricostruzione, dell’industrializzazione, della lotta ideologica e del piombo delle armi, l’aspetto edonistico cominciava a far breccia e, con esso, una voglia di leggerezza che le generazioni precedenti non avevano potuto cogliere.

Si cominciava a guardare all’espressione come sviluppo della personalità dell’individuo a prescindere dalle tradizioni, dall’indottrinamento e dai conformismi.

La parabola di Beccalossi sale all’apice in un periodo in cui, prima ancora che al fine ed allo scopo,  si dà importanza al gesto in sé.

Ed in questo il 10 nerazzurro era insuperabile.

Riusciva a rendere “eventi” anche i momenti in cui si prendeva delle pause ed usciva dal gioco.

La stagione 1982-83 vede l’Inter acquistare il tedesco Hansi Muller, anch’egli mezzala dai tempi compassati e dall’apprezzata visione di gioco, che non legherà mai con il nostro sul campo.

I due finiranno per pestarsi i piedi data la tendenza da parte di entrambi a costruire il gioco.

La loro contemporanea presenza priverà inoltre il centrocampo del dinamismo che, grazie a Giuseppe Baresi, Oriali, Pasinato e Marini, garantiva a Beccalossi l’immunità dalla fase difensiva.

Con Muller, tuttavia, legherà molto fuori dal campo al punto che nascerà una bella amicizia segno che le incomprensioni sul terreno verde non devono per forza rovinare i rapporti nella vita.

Il passaggio alla Sampdoria, voluto dal suo ex allenatore Bersellini e scambiato con Brady, avrebbe dovuto rappresentare l’inizio di un’altra brillante avventura, in seno ad un contesto alternativo ispirato dalla gioventù di Vialli, Mancini ed altri protagonisti che cominciavano a farsi spazio e che da lì a poco avrebbero fatto incetta di successi importanti.

La stagione, in realtà, vedrà Beccalossi alle prese con diversi problemi fisici, presente in campionato in sole 9 occasioni, ma comunque in grado di portare il suo contributo in occasione della vittoria in Coppa Italia, primo successo del periodo d’oro doriano.

Monza, Brescia, Barletta, Pordenone e Breno saranno le ultime tappe della carriera di un calciatore davvero iconico al punto di vedersi dedicare un brano musicale dal cantautore Mauro Minelli e un pezzo dal comico Paolo Rossi, suo fan incallito.

Ma se, come anticipato, in campo tendeva a risultare divisivo agli occhi degli appassionati di fede non interista, appese le scarpette al chiodo risulterà particolarmente apprezzato per la sua simpatia, la sua genuinità e anche per una dose di sfacciataggine (mai arroganza) che gli costerà qualche figuraccia in tema di previsioni e pronostici sui cui sarà il primo a sorridere e a fare autoironia

Rimarrà a Milano anche nel dopo carriera, lavorando per 15 anni alla Sony.

L’amore per il capoluogo lombardo lo porterà sino a candidarsi alle elezioni amministrative.

Sarà, come detto, uno degli opinionisti più simpatici ed empatici, alternando i commenti calcistici a battute ed aneddoti in cui l’aspetto umano emergerà di continuo.

Trattandosi di persona incapace di portare rancore, dopo quasi quarant’anni ha fatto pace con l’azzurro  alternandosi tra il ruolo di team manager dell’under 20 e dell’under 19. 

Nel dispensare consigli alle giovani promesse, ha sicuramente raccomandato loro di non imitarlo nei comportamenti indisciplinati ma siamo certi che li avrà spinti ad approcciare la professione di calciatore gustando e vivendo tutte le emozioni che un pallone sa regalare.

Forza Becca, non mollare, siamo tutti, ma davvero tutti, con te!!!

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

3 risposte

  1. Premetto che vivendo mille miglia lontano da Milano, rarissimamente ho potuto vedere giocare Beccalossi (parlo di TV), quindi, a parte” tutto il calcio minuto per minuto” e “la domenica sportiva”, conoscevo Beccalossi per come la stampa lo descriveva.
    Sono sincero: mi piaceva, anche se solo per istinto. Ma mi ha sempre lasciato dentro il pensiero che non fosse mai “esploso” per il potenziale che aveva.
    Quanto alle ali, io credo sia inimmaginabile pensare di fare a meno di un’ala autentica, ancor meglio se sa tornare.

    Sono stato un fan (al cubo) di Garrincha (ha fatto due mondiali strepitosi nel 1958 e 1962), e poi della trafila italiana da te elencata. Manca Moriero che ho avuto il piacere di vedere debuttare in Coppa Italia a Lecce (ero in vacanza ad Otranto) contro la Juventus, facendo impazzire tutta la loro difesa (credo avesse tra i 17 e 18 anni).

    1. Hai ragione.
      Manca Moriero…
      Forse perché, a Lecce, Cagliari e Roma era impiegato nel 532 e quindi meno “tornante di fantasia” e forse un po’ meno qualitativo dei citati.
      Comunque hai ragione

  2. Buongiorno, sono simpatizzante rossonero, ma Beccalossi aveva una classe straordinaria e sarebbe stato bello averlo nel dopo Rivera. Evaristo non ha dato al calcio per quanto avrebbe potuto: spesso pigro e svogliato, la sua carriera è durata poco per colpa sua(o almeno questa è la mia impressione). A me però è piaciuto tanto tanto. Come personaggio televisivo è sempre stato molto simpatico e “terrestre”: non si è mai atteggiato a super esperto, ma ha sempre dato l’idea di uno col quale se lo incontri per strada si ferma chiaccherare e non ti snobba solamente perché “è stato Beccalossi”.

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