Nel gioco del calcio, e non solo, si diventa ciò che si guarda. I bambini lo sanno benissimo: prima di correre, camminano imitando; prima di parlare, ripetono i suoni. L’essere umano è un animale mimetico, e il calcio – linguaggio del corpo e del gruppo – lo rende visibile più di ogni altra cosa.
Ma se è vero che i bambini imitano, i calciatori non smettono mai di farlo. Anche in Serie A. Anche in Nazionale. E la domanda, oggi, è questa: chi stanno imitando i nostri migliori giocatori?
Il talento come osmosi
L’osmosi, in chimica, è il passaggio di sostanze tra due corpi attraverso una membrana. Nel calcio, è il trasferimento invisibile di forma mentale e visione di gioco da un fuoriclasse agli altri. Non si insegna, non si codifica: si assorbe, stando a fianco di chi è superiore, e si trasforma in crescita, per osmosi.
È sempre stato così. Kakà ha ereditato lo spogliatoio da Rui Costa, imparandone i tempi e l’eleganza. Zola è cresciuto alle spalle di Maradona. Costacurta ha imparato con Baresi e Galli. Del Piero ha seguito Roberto Baggio. Oggi un Camavinga ha il privilegio di allenarsi con Modric e, sulla carta, raccoglierne il testimone.
I difensori di oggi? In passato, Bastoni avrebbe giocato accanto a Maldini, a Baresi, o anche a Cannavaro. E la sua crescita sarebbe stata geometrica, silenziosa, naturale. Ma qual è la situazione attuale nel Belpaese?
Il vuoto del leader
L’Italia è piena di ottimi giocatori: Barella, Bastoni, Tonali, sono calciatori di livello, competitivi. Ma mancano i maestri. Manca il punto di riferimento silenzioso e luminoso da cui prendere esempio, assorbire il ritmo, vedere cosa vuol dire davvero vincere con stile.
In passato, anche una generazione “normale” veniva sollevata dalla presenza di un fuoriclasse. Pensiamo alla Juventus di Del Piero, al Milan di Kakà, all’Inter di Ibrahimović: intorno al campione, crescevano i comprimari, come rami attorno a una pianta madre. In Nazionale, invece, l’assenza di un fuoriclasse complica tutto: nessuno che dica, senza parole, come si fa. Nessuno da imitare. Non dico un Pirlo, ma nemmeno un De Rossi o un Chiellini.
L’imitazione come forma di crescita
Il filosofo René Girard parlava di desiderio mimetico: non desideriamo le cose in sé, ma perché le desiderano gli altri.
Nel calcio, accade lo stesso: si sogna di diventare come un role model, e si cresce guardandolo da vicino. Tuttavia, senza l’esempio, il desiderio cade nel vuoto. E quando la leadership viene appaltata e delegata a schemi, a staff psicologici, o a dinamiche orizzontali, si perde la forza della trasmissione silenziosa.
L’Italia calcistica oggi
L’Italia calcistica si trova in un momento di transizione culturale. Non basta produrre buoni giocatori: serve qualcuno che li ispiri, che faccia da punto di orientamento. Non si tratta di carisma da copertina, ma di autorevolezza interna: quella che ti fa venire voglia di restare un’ora in più all’allenamento, perché sai che il tuo compagno lo sta facendo.
Chi sta insegnando a Scamacca a segnare nei momenti che contano? Chi sta mostrando a Tonali cosa vuol dire gestire un centrocampo in una semifinale mondiale? Già, il Mondiale, competizione a cui rischiamo di mancare per la terza voltadi fila. Chi sta dando a Donnarumma il senso profondo di una maglia che fu di Buffon, Zoff e Albertosi?
Finché l’Italia non avrà un fuoriclasse – non solo tecnico, ma anche imitabile, assorbibile – i nostri migliori giocatori continueranno a correre senza una direzione precisa. Il talento c’è, ma manca la sorgente da cui trarre ispirazione. A prescindere dal talento, nel calcio non si diventa fuoriclasse da soli. Si diventa grandi guardando da vicino chi è più grande di noi. È osmosi. È esempio. È calcio.

VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.










Una risposta
Buongiorno Vincenzo, mi dispiace aver letto solo oggi questo ottimo articolo. Sono d’accordo su tutto. È vero, mancano gli esempi: pur avendo buoni calciatori (e quelli citati ne sono un esempio), mancano i punti di riferimento, sia tecnico che (mi permetto), morale.
Barella per esempio, è bravo, ma non è un esempio, forse perché (e mi scuso se mi ripeto), lui stesso non è un esempio.: infatti, più il tempo passa e più perde tempo a protestare con l’arbitro ed in questi casi, il mio pensiero va sempre a Gaetano Scirea…