REAL MADRID, IL CALCIO È SINFONIA, NON ASSOLO

La storia del Real Madrid recente si snoda come un’epopea cavalleresca. Una saga nobiliare, sospinta da una memoria antica e da un destino regale. Tuttavia, anche i grandi imperi inciampano. Perché il Real non è solo una squadra ma un concetto platonico. E come tutte le idee troppo alte, rischia talvolta di svanire nella rarefazione dell’estetica, dimenticando la rude necessità della struttura.

Correva l’anno 1997-98, e il Real Madrid – con Jupp Heynckes alla guida e un manipolo di fedeli iberici al servizio del genio – alzava al cielo la Champions League dopo una lunga astinenza. Era un Real concreto, magari non spettacolare, ma terribilmente efficace. Morientes in avanti, il giovane Raúl, i vari Hierro e Sanchís a dare ordine e senso d’appartenenza. Zoccolo duro spagnolo, dirà qualcuno. Zoccolo cervelluto, aggiungeremmo.

Quella vittoria non fu casuale. Non fu neppure un’eccezione. Con Vicente del Bosque, tecnico rude nella parola ma raffinato nella visione, il Real ripeté l’impresa due volte: nel 2000 e nel 2002. La seconda rimarrà nella storia per la meraviglia di Zidane, un sinistro al volo che parve la pennellata di un Tintoretto, contro un più che onorevole Leverkusen. Ma se Zizou mise la firma, a dare struttura furono i comprimari: Helguera, Salgado, Guti, e un certo Claude Makelele. Il francese, non ancora star, fu la diga silenziosa, il vero mediano del popolo.

Poi si completò l’evoluzione cosmica di Florentino Pérez, quella dei Galácticos. E qui la parabola si impennò e si schiantò. Ronaldo il Fenomeno, Figo, Beckham, persino Owen: la fiera delle vanità. L’estetica sopra l’equilibrio. La potenza di fuoco sopra la trincea. E in mezzo a tutto questo, la partenza del piccolo grande Makelele.

“Non capisco perché dovremmo piangere per uno che passa sempre la palla di lato” disse qualcuno dalle stanze alte del club. Da lì, l’implosione. Con Ronaldo – fenomenale sì, ma anarchico come un futurista in una scuola militare – il Real non vinse alcuna Champions. Il centrocampo era un campo minato. Le trame, una sinfonia stonata. E i successi rimasero miraggi. Paradossale, ma illuminante: con Morientes si vinceva. Con Ronaldo, no. Non per demerito del brasiliano, ma per assenza di coerenza collettiva. Il calcio è sinfonia, non assolo.

A risollevare le sorti del Real fu proprio Zidane, stavolta in panchina. Tre Champions consecutive, tra il 2016 e il 2018, con una squadra compatta, equilibrata, esperta. Ramos a guidare, Modrić a pensare, Casemiro a distruggere e costruire. Cristiano Ronaldo, sì, ma dentro un sistema. Un insieme armonico. Zidane, che da giocatore incarnava l’eleganza, da allenatore impose la concretezza. Fu l’ennesima dimostrazione che la bellezza, nel calcio, fiorisce meglio se ha le radici ben piantate.

Poi, Carlo Ancelotti. Il più latino tra gli allenatori prodotti dalla scuola italica. Il più empatico tra i vincenti. Con lui, le Merengues hanno continuato a vincere: altre Champions, altra gloria. Ma anche qui, la chiave fu l’equilibrio. Camavinga e Tchouaméni come nuovi frangiflutti, Kroos e Modrić ancora come saggi orchestrali. E in attacco Benzema, a legare come un vecchio centravanti di manovra. Vinicius e Rodrygo a esplodere in spazi costruiti da un sistema collaudato. L’inserimento di Bellingham a rendere stellare quella squadra. Almeno al primo anno di militanza del centrocampista inglese con la maglia merengue.

Poi, la tentazione. Il sogno proibito. L’arrivo di Kylian Mbappé, a lungo corteggiato, infine vestito di blanco. Un colpo mediatico, tecnico, commerciale. Ma anche, paradossalmente, o forse no, il germe del caos. Ancelotti, pragmatico ma anche accomodante, si è ritrovato a gestire un attacco formato da quattro solisti: Bellingham, Rodrygo, Vinicius, Mbappé. Una sorta di orgia tattica. Bellingham è un centrocampista d’assalto, non un regista. Vinicius vive sull’isolamento a sinistra. Rodrygo cerca l’identità. Mbappé pretende centralità.

La naturale conseguenza non poteva che essere una squadra sfilacciata, con meno filtro in mezzo, più spazi concessi, meno certezze. La nuova formula della Champions, con il super girone, ha subito punito: qualificazione ai playoff ottenuta, sì, ma al prezzo di prestazioni opache. E negli scontri diretti, la disfatta: 3-0 dall’Arsenal nell’andata dei quarti. Un tracollo. Le voci su Ancelotti in bilico.

Il calcio è fatto di paradossi. E quello del Real Madrid 2025 è degno dei migliori. Come Ronaldo vent’anni fa, anche Mbappé rischia di essere troppo. Troppo ingombrante. Troppo “tutto”, in una squadra che ha sempre vinto quando era “tutti”. Nessuno nega il talento. Mbappé è un marziano. Ma nel calcio non basta il migliore per vincere. Serve l’amalgama, la connessione, la disciplina del collettivo. E il Real, ad oggi, sembra aver perso il filo di quella trama che l’aveva riportato sul tetto d’Europa.

Dopo anni di dominio europeo fondato sull’equilibrio e la compattezza, la squadra più titolata del mondo sembra essersi persa nel labirinto delle sue stesse ambizioni. L’arrivo di Mbappé, per quanto atteso e celebrato, ha scombinato gerarchie, ruoli e certezze tattiche. Il talento è fuori discussione, ma la sensazione – sempre più evidente – è che questa squadra abbia smarrito l’alchimia che l’ha resa imbattibile. Troppe stelle, troppe individualità, e un sistema che fatica a contenerle tutte.

Il 3-0 contro l’Arsenal è più di una sconfitta: è un campanello d’allarme. Certo, con quei fuoriclasse in campo e le rimonte che hanno scritto la leggenda della Champions, una porticina, anche socchiusa, al Real va sempre lasciata. Ora Ancelotti, uno che di equilibri se ne intende, dovrà scegliere se continuare a far convivere tutti i big o se avere il coraggio di rimettere ordine, anche a costo di sacrifici pesanti. Perché al Real si può perdonare tutto, tranne una cosa: perdere il controllo. E, come insegna la storia del club madrileno, l’allenatore che non vince riceve quasi sempre il benservito.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *