MILAN, L’ANIMA ITALIANA PERDUTA

San Siro si staglia contro il cielo di Milano come un antico monumento alla gloria passata. È un tempio che ha visto sorgere e tramontare una serie interminabile di stelle. Un palcoscenico dove l’anima del calcio italiano ha danzato con ethos e pathos. Quella stessa anima sembra ora dissolversi come nebbia al sole del mattino. Il “Milan degli olandesi” vantava uno zoccolo duro italiano di inestimabile valore. La difesa era composta da colonne come Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta e Filippo Galli.

Altri elementi di spicco provenienti dal Belpaese erano Ancelotti, Donadoni, Evani, Colombo e Massaro. Quella rosa pullulava inoltre di utili gregari magistralmente gestiti da quel maestro che risponde al nome di Arrigo Sacchi.

Albertini e Simone sono stati poi elementi di spicco negli anni a venire. Da notare che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la Lombardia sfornava talenti in quantità industriale. La maggioranza dei calciatori citati è nata e cresciuta calcisticamente nella regione del Nord del nostro Paese.

Viaggiando con la macchina del tempo fino all’ultimo decennio, non può non venirci in mente il progetto giovani annunciato in pompa magna dai dirigenti che si sono avvicendati. E il Milan ha effettivamente provato a puntare su calciatori italiani, di cui diversi prodotti di un vivaio, quello rossonero, storicamente florido.

C’era una volta Sandro Tonali, il ragazzo prodigio che incarnava la promessa di un futuro radioso. Come un’onda che si ritira silenziosa dalla riva, Tonali è andato via, lasciando un vuoto difficile da colmare. Il tecnico Stefano Pioli ha optato per profili diversi, Reijnders e Loftus-Cheek, due stranieri, che hanno tra l’altro anche ben figurato. Sono rimaste vane le speranze del tifo Casciavit di poter annoverare tra i propri idoli una giovane colonna di fede rossonera.

Alessio Romagnoli, capitano mai entrato davvero nelle grazie della critica, era il pilastro su cui il Milan costruiva le sue speranze. Designato improvvidamente come un possibile erede dei mostri sacri del passato, il centrale laziale non ha mantenuto le eccessive attese riposte in lui. Nonostante sia nel pieno della maturità, il ragazzo ha perso anche il treno della Nazionale. Un’altra pedina persa è stata Gigio Donnarumma, il prodigio tra i pali, colui che a soli sedici anni aveva incantato il mondo con le sue parate da sogno. Anche lui ha cercato nuovi orizzonti. San Siro ha dovuto abituarsi a un nuovo guardiano, senza dimenticare le mani che un tempo proteggevano le sue mura. Maignan è un portiere fantastico, ha portato uno scudetto, non ha fatto rimpiangere il suo predecessore, ma anche in questo caso si tratta di un estremo difensore straniero. Se Tonali è stato l’agnello immolato sull’altare del bilancio, con Donnarumma non è stato trovato, illo tempore, l’accordo economico per un rinnovo. Arrivata al redde rationem, la società ha preferito non scendere a compromessi con il fu Raiola.

Davide Calabria, il terzino destro di mille battaglie, è ancora lì. Spesso sembra un sopravvissuto di un’epoca passata, un cavaliere solitario in un principato che ha perso i suoi principi. Il capitano rossonero non è riuscito ad emergere dalla dimensione di eterno giovane pedone. La storia pullula di pedoni che, passo dopo passo, a fari spenti, sono riusciti ad arrivare allo scacco matto. Non è il caso di Calabria, anche lui fuori dal giro della Nazionale azzurra e inviso a una discreta fetta della tifoseria. Le sue prestazioni altalenanti hanno fatto sì che la sua figura passasse in secondo piano. Un destino amaro per chi si aspettava ben altra carriera.

E poi c’è Matteo Gabbia, giovane promessa della difesa, che ha lottato per un posto tra i grandi ma non è riuscito a trovare la sua consacrazione. A quasi 25 anni, il difensore nativo di Busto Arsizio sta finalmente avendo una discreta continuità. Resta comunque un subalterno. A differenza dei piani iniziali di diversi anni fa, è utopistico pensare che “Matthew Cage”, come è stato ribattezzato, possa ergersi a caposaldo di uno zoccolo duro del Milan in fieri.

Nel mezzo di questo deserto di addii, la maglia rossonera sembra aver perso parte della sua essenza. L’anima italiana che ha cercato di costruire, quel filo rosso che legava il promettete presente al leggendario passato, si è spezzato. Non è solo una questione di talento, ma di identità, di quel sentimento viscerale che unisce i tifosi alla squadra. Il calcio è sempre più globalizzato.

Ciononostante, il Milan ha cercato di mantenere un cuore italiano, un’anima che parlasse la lingua delle sue radici. Le situazioni contingenti, quelle maledette, hanno spezzato ulteriori fili del progetto. Giovani talenti, che avrebbero potuto far rivivere i fasti passati, sono scivolati via per un mancato accordo economico, per contratti non rinnovati, per offerte irrinunciabili da parte di club stranieri con disponibilità pressoché illimitate.

E così, mentre le luci di San Siro continuano a brillare nel buio, c’è una malinconia che aleggia nell’aria. È il ricordo di un’anima che il Milan ha provato a costruire, ma che sembra sfuggita, come sabbia tra le dita. La vecchia anima italiana non è solo una questione di nomi, ma di spirito, di quella passione indomita che ha reso il Milan una leggenda ammirata a livello planetario. Ma la storia del Milan non è mai stata priva di ombre e luci. E se oggi l’anima italiana sembra perduta, in un futuro prossimo potrebbe rinascere. Perché il calcio, come la vita, è ciclico. E il Diavolo, anche quando sembra sconfitto, ha sempre un’ultima carta da giocare.

Questa carta risponde al nome di Francesco Camarda. Con la sua freschezza e il suo talento innato, il classe 2008 è chiamato a raccogliere il testimone e a riportare il Milan alla sua essenza italiana. La vecchia anima italiana, smarrita nei venti del cambiamento, può ancora essere riscoperta, grazie al talento e alla passione di un giovane eroe. Un ragazzino che, si spera, non sia la classica rondine che non fa primavera. E così, mentre le luci di San Siro illuminano la notte, il cuore dei tifosi rossoneri batte ancora, in attesa del prossimo capitolo della leggendaria storia del Milan. Che si torni a parlare italiano!

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

5 risposte

  1. Buongiorno, seguo il Milan dal 1968, in tutti questi anni la mia presenza a San Sieo è stata sempre assidua. Ho havuto anche la fortuna di entrare nel sett Giov dal 1990 al 2023 e di conseguenza ho visto crescere tanti bravi calciatori che per la maggior parte venivano a San Siro c fare i raccattapalle, ecco un elemento importante : manca il Milanismo che si costruiva anche nel fare i Raccattapalle. Sarà il primo anno che non seguirò più la squadra a San Siro, in alcuni ( non tutti) ho visto poco attaccamento alla maglia, che deve uscire dal campo sudata. Grazie dell attenzione. Vincenzo Romito

    1. Che emozione fare il raccatapalle in questo meraviglioso stadio . Sono del 57, l’ho fatto anch’io e si viveva davvero il milanismo in societa’ , il senso di appartenenza . Il presidente Buticchi veniva sempre nel nostro spogliatoio prima della partita dicendo ” se vinciamo e’ anche merito vostro ” Un articolo di ottimo livello e coinvolgente . Un caro saluto Vincenzo

  2. Io classe 1966 ho vissuto i fantastici 5, stadio e allenamenti a Milanello non solo quando era aperto al poco pubblico di allora, ma anche quando era chiuso riuscivo ad entrare, chiarisco…legalmente. Torniamo a oggi. Gabbia? Età e tempi diversi ma credetemi meglio di Billy ai primi anni. Se Gabbia, fosse già da un paio d’anni affiancato a Franco Baresi e si allenasse di continuo sempre con gli altri italiani di allora, probabilmente sarebbe tutto diverso. Ragionamento cmq molto complesso e lungo. Tonali: visto le vicende extracampo è andata di lusso ma l’errore rimane. Le squadre vincenti si costruiscono con il senso di appartenenza, se continui a spezzare quel filo, puoi comprare tutti i campioni che vuoi ma non hai capito il calcio italiano. La cosa preoccupante dell’attuale società è proprio questa, parere del tutto personale. Torniamo al titolo principale: finalmente si parla di 5 e non 4, scegliendo ogni volta uno fra Billy e Filippo, la forza è stata proprio quella di avere 5 giocatori intercambiabili, seppur con età diverse fra Billy e Filippo. Il primo, giovanissimo libero tradizionale poi subito indottrinato da Sacchi, il secondo (squalo bianco) con percorso più complicato, era abituato a braccare la preda ma appunto con l’arrivo dello spiritato di Fusignano, dovette sorbirsi gli estenuanti insegnamenti sui movimenti della linea a 4. Quei tempi non credo torneranno ma…Milan Futuro è appena iniziato. Dobbiamo credere, avere pazienza, difenderli, creare un filo conduttore con la prima squadra ma soprattutto avere in società chi traduda milanismo e non baseball.
    Saluti
    Massimiliano Cesarino

  3. Buongiorno,
    L’articolo di Vincenzo Di Maso è davvero illuminante. Analizza un lungo periodo storico e ci porta a riflettere su un tema di grande attualità. Personalmente, ho sempre considerato indispensabile nella costruzione di una squadra vincente l’idea di partire da un gruppo di italiani forti e con caratteristiche di leadership. Esattamente, come gli esempi storici del nostro caro Filippo e dei suoi compagni di viaggio. Anche per la proprietà vale la stessa cosa. Berlusconi, come Moratti per i cugini nerazzurri rappresentavano Milano e soprattutto un ambiente sociale e culturale.
    Ma tutto questo pregiudica la possibilità di tornare a vincere?
    Oggi l’identità con la storia della società e del territorio di appartenenza, per non dire della nazione si sta progressivamente perdendo. Tranne qualche eccezione il business comanda e sono le logiche a determinare le scelte. Dalle proprietà, spesso in mano a fondi arabi, cinesi o americani fino al colore delle magliette.
    Così l’anno scorso abbiamo visto giocare una squadra senza nessun giocatore italiano e con una divisa viola…ma inclusiva ci hanno detto.
    Ma a vedere quella partita c’erano più di
    70 000 persone!
    E negli ultimi anni questo Milan senza identità ha fatto i maggior incasso del campionato italiano. Senza vincere nulla.
    Cosa significa?
    Che il calcio è mosso dalla passione, prima ancora della razionalità e che è qualcosa di semplice, perché se poi vinci tutto passa in secondo piano. Pulisic e altri non hanno ancora imparato l’italiano. Ma perché dovrebbero? Se intorno a loro parlano tutti l’inglese e la loro permanenza in Italia sarà comunque limitata nel tempo?
    Ma se perdi tutto torna in discussione. E magari iniziamo a porci il problema di un presidente che viene da un mondo dove non sanno cos’è il calcio e appunto di una squadra di stranieri. La palla rotola e come un flipper è governata da impulsi in parte prevedibili ( il valore dei giocatori e del tecnico ecc) e in parte meno ( le relazioni tra il gruppo, gli infortuni).
    L’assenza di una lingua comune di per sé non pregiudica il risultato a meno che riguardi quella che si parla …con i piedi mentre ci muoviamo su un campo di gioco.
    Perché esiste la tattica e poi esiste quella comunicazione che è in grande parte istintiva. Quel “sentire” la dinamica del gioco prima ancora di vederlo.Questa è la lingua che tutti devono conoscere.
    Detto questo io che ho conosciuto quei ragazzi da Sacchi a Ancelotti mi ritengo uno sportivo fortunatissimo. Perché loro sembravano davvero molto più vicini ai miei sogni di ragazzo. Erano come me. E questa vicinanza oggi si è persa.
    Recentemente ho avuto il privilegio di conoscere e di diventare amico di Filippo Galli. Potrà succedere ancora nel calcio di oggi e del futuro?
    Un abbraccio a tutti i milanisti.

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