HA VINTO LUIS ENRIQUE…EVVIVA LUIS ENRIQUE

L’epilogo della Champions League 2024-25, con la roboante vittoria del Paris Saint Germain, ha stimolato molti commenti riferiti alla figura del tecnico dei transalpini, Luis Enrique, spagnolo originario delle Asturie, e persona anomala per i canoni storicamente in uso nella narrazione calcistica.

Distintosi sin da calciatore per essere stato simbolo prima del Real e poi del Barcellona, con annessa antipatia dei tifosi blancos a seguito del passaggio in azulgrana, è soggetto che non si adagia ai cliché dell’ordinaria comunicazione.

In occasione del quarto di finale del campionato del mondo 1994 tra Italia-Spagna viene proditoriamente colpito al volto da Tassotti e le 8 giornate di squalifica (comminate a seguito di prova TV) nei confronti dell’azzurro non consoleranno né lui né la nazionale spagnola del fatto che l’arbitro nulla vide e, se avesse visto, non avrebbe potuto non accordare il penalty in favore delle furie rosse e decretare l’espulsione del terzino italiano con i supplementari alle porte.

Le urla del giovane Luis Enrique, con il volto tumefatto ed insanguinato, rimarranno impresse negli appassionati che ne seguiranno le gesta da calciatore, spesso adorato dai propri tifosi ed inviso a quelli avversari.

Diventato allenatore fa parlare di sé dentro e fuori dal campo anche a seguito di dolorose vicende personali.

Divulga concetti autorevoli in materia di formazione, metodologia, attenzione all’unicità di relazione con i calciatori, specificando come il suo intento sia di fornire loro conoscenze tali da porli nella condizione di opzionare, di volta in volta, la scelta migliore in ossequio ad un processo secondo cui creatività e talento sono liberi di interagire all’interno di un contesto delineato ma non rigido, definito ma rimodulabile nel tempo. Concetti appresi dal guru Van Gaal, suo omonimo Louis anche se scritto in modo diverso, esplicati nel pezzo pubblicato in questo blog a firma di Andrea Rurali lo scorso 30 aprile.

Si prende i complimenti quando, nel 2015, alla guida del Barcellona conquista la Champions League.

Due anni prima in Italia era stato massacrato per i risultati negativi alla guida della Roma con qualche calciatore ammutinatosi. Nonostante ciò, Daniele De Rossi lo eleva ad uno dei migliori tecnici avuti in carriera. Per la stampa italiana, sempre celere nel giudicare gli allenatori stranieri, le parole di De Rossi non contano. Contano i risultati e Luis Enrique ha fallito.

Dalle 23.00 di sabato 31 maggio 2025 è tutto un elogio all’uomo, al tecnico, alla persona, al personaggio  al punto che chi, come lo scrivente, lo apprezza da sempre prova un malcelato fastidio nel percepire come un risultato, per quanto importante, possa indirizzare non tanto un’opinione ma un completo giudizio a fronte di decenni di carriera.

Andiamo con ordine.

L’esaltazione della performance dei parigini in finale (assolutamente dovuta, ci mancherebbe!) ondeggia tra i complimenti per il gioco spumeggiante, il possesso creativo, i principi di gioco, la modernità del football espresso, l’aver soffocato gli avversari con la pressione alta e alcune “trovate tattiche” tra cui il non consegnare punti di riferimento all’avversario e il prevedere interscambi di posizione.

Complimenti, questi, usciti dalla bocca e dalla penna di “autorevoli” opinionisti che tuttavia nel loro passato non sempre sono sembrati attenti alle succitate caratteristiche.

Luis Enrique ha sempre professato determinati concetti. Sempre.

Eppure i giudizi a volte sono stati critici, quando non tendenti al sarcasmo, come all’esito del mondiale 2022 quando la Spagna venne eliminata ai rigori dal Marocco e le peculiarità oggi evidenziate erano comunque riconoscibili.

Il possesso palla, ad esempio, fu del 77% in una gara giocata in un unica metà campo in cui i marocchini non batterono nemmeno un corner in 120 minuti. I commenti, tuttavia, esondarono nel senso che “il possesso non conta”.

La mancanza di riferimenti offensivi era riscontrabile anche allora eppure si scrisse che senza centravanti non si può far strada.

Della pressione alta, oggi esaltata, si dedusse che bastava stare in 11 nella propria area a difendere come fecero i nordafricani, evitando di costruire da dietro, per disinnescarla.

Quanto alla modernità che oggi si evidenzia, solo due anni fa veniva fatta passare per uno specchietto per allodole.

Ricercare la coerenza nel calcio è di sicuro esercizio inutile, come normale sia in un contesto in cui le emozioni hanno un impatto dirimente, ma se Luis Enrique è tanto bravo (e per chi scrive lo è) lo è a prescindere dal risultato di una gara.

IL PSG ha superato il Liverpool agli ottavi di finale ai rigori e , se all’andata ha scontato una ampia dose di malasorte oltre ad una prestazione mostruosa di Allison, al ritorno è stato lo splendido Donnarumma a traghettare i parigini verso i quarti di finale.

Se i tiri dagli 11 metri avessero premiato il Reds, il nostro Luis sarebbe stato apprezzato?
O si sarebbe fatto ricorso alla parola fallimento come se l’esito di un rigore potesse invalidare il lavoro di un tecnico?

E ancora, in riferimento alla prestazione della compagine francese in finale si sono legittimamente scomodati giudizi di assoluta ammirazione con sequenziale merito per il tecnico che, giova ribadirlo, è lo stesso che qualche settimana prima in casa dell’Aston Villa patì con la sua squadra una “bambola” non dissimile da quella rifilata all’Inter.

Il calcio, lo ribadiamo spesso, sottostà al verificarsi di numerose variabili.

Il PSG sarebbe potuto uscire sia negli ottavi che nei quarti ma il valore dell’allenatore è lo stesso.

Ascoltare ex assi del pallone, in taluni casi anche campioni del mondo, o allenatori dal palmares importante affermare che chi stava al Paris Saint Germain negli anni precedenti ha fallito significa togliere valore a tutti gli elogi mossi al tecnico spagnolo.

Eh si perché, se si ritene fallimentare l’esperienza di Pochettino, eliminato dal miglior City di sempre dopo aver fatto fuori Barca e Bayern, o quella di Tuchel, sconfitto in finale a 4 minuti dalla fine, vien da pensare si sarebbe detto lo stesso in caso di eliminazione dei parigini contro Liverpool o Villa.

Con tanti saluti al lavoro di Lusi Enrique, alla capacità relazionale, al nuovo calcio proposto, alla modernità ecc…

E allo stesso modo avremmo dovuto pensare che dal 2015 al 2025, ovvero nel decennio scandito dalle due vittorie continentali, lo stesso Luis abbia fallito non avendo collezionato titoli.

Siamo totalmente del parere opposto.

Evviva Luis, sempre e comunque…

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

Una risposta

  1. Evviva Luis sempre e comunque. E comunque (gioco di parole) la sua statura umana e tecnica era evidente già nell’esperienza romana dov’è io l’ho conosciuto e apprezzato da subito. Ma in Italia dove siamo trent’anni indietro rispetto al processo evolutivo avvenuto nel calcio con la “rivoluzione” sistemica, dove si spara a zero su ciò che non si conosce con una presunzione che ha pochi eguali e ci si rifiuta di aggiornarsi per lo stesso motivo, mi sembra che lo scenario che lei ha descritto sia perfetto. Tutti a salire sul carro del vincente di turno senza averne la consapevolezza reale di ciò che propone e rappresenta.

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