VOLETE CHE LA NAZIONALE TORNI AI MONDIALI? STATE ZITTI E APRITE UN (BUON) LIBRO

Gli amici di “Calcio da dietro” mi hanno inviato questo articolo di giacomo Peron che pubblico in toto nell’imminente vigilia di Italia – Moldova:

Voglio sinceramente bene a Max Allegri e il suo libro mi è pure piaciuto, però è ora che superiamo il concetto di “il calcio è semplice” e ci rendiamo conto della complessità di questo sport. Si gioca in tempi e spazi ristretti e le scelte di gioco, così come le esecuzioni motorie e tecniche, non possono essere gestite “pensando”. Sono letteralmente decenni che le neuroscienze ci dicono che non esistono due gesti motori uguali e che pertanto non ha senso allenarsi nella ripetizione del gesto slegata dalla complessità del gioco.

“Eh ma io ho imparato a giocare perché il grande Mister del Passato mi faceva fare il muretto otto ore al giorno”.

No, tu non lo sai come hai imparato a giocare quarant’anni fa, perché sei la somma di centinaia di migliaia di esperienze motorie che hanno avuto effetti non linearmente riconducibili a delle cause specifiche, per cui stai zitto e rifletti sul fatto che la tua esperienza personale non dà alcuna informazione sul generale.

Questo per dire che, dove hanno recepito le informazioni che la teoria dell’apprendimento, le neuroscienze, le scienze motorie (e mettiamoci pure dentro la filosofia ecologica di Edgar Morin), e hanno adattato i loro metodi di allenamento di conseguenza, adesso ci sono giocatori efficaci dal punto di vista tecnico. La Norvegia ha sempre avuto degli armadi a quattro ante in campo, ma adesso quegli armadi sanno pure mettere giù un pallone e giocare a ritmi che nel nostro gerontocratico paese riteniamo quasi delle offese personali.

I nostri hanno fisicamente sbattuto su gente come Sørloth per tutta la partita, perché è normale, è nel DNA del paese, che i norvegesi siano mediamente più grossi di noi. Il problema è che noi NON abbiamo altre armi da contrapporre. Abbiamo affrontato una squadra con dei talenti fisici pazzeschi, ma se questi giocano contro la Spagna state sicuri che è tutt’altra partita, perché, pur se affetti anche loro dalla genetica “piccolezza” mediterranea, quelli lì la gente capace di giocare a mille all’ora ce l’hanno.

Noi stavamo fermi col pallone fra i piedi ad aspettare che qualcuno facesse mezzo passo da una parte o dall’altra come al campetto con gli amici. A ripensare all’arroganza idiota di voler controllare una partita del genere aspettandoli e palleggiando mi viene voglia di rovesciare qualcosa. Li abbiamo fatti lanciare indisturbati portandoci i duelli con Haaland e Sørloth al limite dell’area. Abbiamo lasciato i loro terzini liberi di salire quanto volevano perché non c’era un giocatore nella loro zona che potesse attaccarli, minacciarli e tenerli bassi. E al 70esimo, quando lo abbiamo messo, gli abbiamo fatto fare il quinto di centrocampo.

Ovviamente ce l’ho, ce l’abbiamo, tutti con Spalletti, che in un momento difficile per essere un CT, ha commesso la madre di tutti gli errori: voler avere ragione per forza – e di conseguenza ha commesso una lunga serie di errori derivati, di comunicazione, di scelte, di gestione e di lettura delle partite. Però io stasera sono arrabbiato con tutti, e sarebbe un errore focalizzarsi su Spalletti (o sui giocatori), così adesso li sostituiamo per incazzarci con qualcun altro.

No ragazzi, io ce l’ho con tutti, perché dobbiamo risalire alle radici dei problemi per estirparli e, per una cosa complessa come il gioco del calcio, questo significa allargare il discorso.

Perché abbiamo una squadra così più scarsa di un paese come la Norvegia?

“Sarà mica sempre colpa dell’allenatore…”

Cominciamo da un discorso che già volevo fare oggi pomeriggio mentre sentivo un podcast in cui si commentavano i vari cambi di allenatori in Serie A.

Nel nostro calcio le decisioni le prendono persone vecchie. Lo vedo quotidianamente lavorando nel dilettantismo. Il potere nelle società è affidato a gente che è stata sorpassata dalla storia, che si trova lì perché 20 anni fa ha vinto un campionato, perché conosce il presidente o perché porta i giocatori.

Più conosci nicchie di potere in questo paese, più ci trovi sempre lo stesso tipo di persona e lo stesso tipo di dinamiche. Si soffoca la realtà delle cose sotto il peso della narrazione, che è finalizzata a mantenere il potere nelle mani di chi lo detiene.

Ma non basta, perché personalmente mi sono reso conto che, se si vuole fare qualcosa, si DEVE creare una narrazione, si DEVE scegliere avendo in mente chi è il tuo pubblico, perché arrivare in un ambiente e dire “Si fa in un questo modo e non in quest’altro” solleva inevitabilmente il clamore del dissenso popolare.

La competenza in Italia non è moralmente accettata, piuttosto deve prostrarsi mille volte dietro condizionali e periodi ipotetici, deve suggerire senza dire, deve selezionare fra le mille cose che si potrebbero dire e fare quelle due o tre che possano essere accettate e procedere un passo alla volta.

Intervistando anni fa Filippo Galli, che col suo gruppo di lavoro una scossa ha sempre provato a darla, a un certo punto se ne uscito con questa frase (parola più, parola meno):

“La resistenza al cambiamento non va combattuta, va accettata e compresa, perché quando uno accetta il cambiamento senza dire niente ti mollerà alla prima difficoltà”. Bellissimo e giustissimo. Anche noi nella nostra piccola società quando abbiamo cominciato ad apportare dei cambiamenti abbiamo dovuto sederci intorno a un tavolo con i genitori e spiegare cosa come perché stessimo facendo, prima che ci lasciassero lavorare in pace. Per la cronaca, quattro mesi dopo erano tutti entusiasti.

Però capiamo le implicazioni. La mia competenza è di tipo tecnico-metodologico. Perché per poter lavorare sereno con un minimo di credibilità verso i ragazzi, cui sto offrendo il miglior servizio che posso, devo anche avere la capacità di mordermi ottocento volte la lingua e portare pazienza mentre cerco di ridurre i concetti e le esperienze su cui baso il mio modo di lavorare a un discorso che sia comprensibile e che non dia l’impressione che io sia un “professorino” che vuole fare la lezione?

E in quanti ambiti una persona competente deve passare attraverso questo tritacarne folle prima che il pubblico capisca che in quanto pubblico deve sospendere l’incredulità e restarsene seduto in platea invece di alzarsi in piedi ad urlare?

Perché in questo paese bellissimo nessuno ha l’umiltà di apprezzare che uno che ne sa di più di qualcosa ti stia comunicando quello che sa?

Ce l’ho con voi che ve ne state scomodi (comodi no, altrimenti sareste felici e pacifici) nello status quo in cerca di qualcuno di debole quanto voi per attaccare briga, sicuri che tanto fa tutto schifo, che tutto può essere rovesciato e sminuito, che infelicità e rabbia siano un vanto e la speranza che qualcosa si possa fare una stupidaggine.

L’Italia vuole il controllo, che una volta per noi era “intanto ci difendiamo”. Poi abbiamo voluto fare i belli e, da Prandelli in poi, ci siamo difesi col possesso palla. Le nazionali che vincono, ma ancor prima, i calciatori che vincono, oggi, sono quelli che vanno così forte che il “controllo” se lo lasciano dietro. E qua io sono il primo sappiate, perché quando vado in campo con la mia squadra vorrei dentro di me che il pallone ce lo avessimo sempre noi, perché prendere mi gol fa male fisicamente. Eppure, bisogna rendersi conto che chi gioca per “controllare” non riesce più a farlo, ultimo nella lista pure Guardiola.

Questo è, secondo me, un nostro tratto distintivo come popolo, cioè la necessità esistenziale di avere in qualche modo il “culo parato”.

Fateci caso, ma tutte le professioni in cui qualcuno deve fare qualcosa sono in “crisi di vocazioni”, perché chi fa prima o poi sbaglia e, se sbaglia, c’è qualcuno pronto a sbranarselo. Arbitri, medici, artigiani, politici…

Senza un secondo fine provare a fare qualcosa semplicemente non vale più la pena.

Negli aggiornamenti che la UEFA chiede di sostenere ogni anno agli allenatori patentati la FIGC propone lavori in campo che avrei potuto vedere 15/20 anni fa, forse di più. Devo pagare 62 euro e stare cinque ore davanti a un pc per veder fare pallamano e 11vs0? Ma siamo seri! Si può imparare da tutto, certo, ma le informazioni per lavorare meglio su un campo di calcio ci sono, dappertutto, anche in italiano, e quando uno ci entra un attimo dentro, si rende conto che è palese funzioni così e che tutto si può ritrovare nella propria esperienza di gioco.

Se l’AGGIORNAMENTO di un mister in Italia è fare l’11 contro zero ci meritiamo di essere maltrattati dalla Norvegia, perché è tutto il nostro sistema culturale che ci spinge a fare le cose solo per tirare avanti, tanto un riconoscimento non arriverà mai, né per noi, né in termini di cambiamento concreto. Io posso pure lavorare bene per due ore sul campo, ma se poi il ragazzo monta in macchina col papà che gli dice che il mister è uno che non capisce niente con quale credibilità posso incidere su di lui? Se la domenica appena la palla è vicina alla nostra area sento un coro di “NOOOO!” dalla tribuna sto facendo calcio o sto predicando nel deserto in attesa di morire di sete?

Se le dirigenze non sanno valutare la qualità del lavoro in campo perché non hanno i giusti riferimenti culturali e scientifici per farlo, su cosa si possono basare? Sulle classifiche, sul numero di genitori che rompono le scatole in un’annata? Per carità, i risultati possono pure essere uno dei parametri di valutazione dell’operato di un tecnico, anche nel settore giovanile, ma se uno guarda le partite si rende conto che è tutto troppo casuale per morirci dietro. Se Arnautovic segna e l’Inter vince contro la Lazio e di conseguenza lo scudetto, come lo valutiamo Simone Inzaghi? Ecco, figuratevi se parliamo di ragazzi o, peggio, bambini, che basta un rimbalzo in più e andiamo tutti in crisi, ma come si fa a guardare le classifiche e restare seri mentre si esprimono giudizi?

Invece, siamo lasciati in balia dell’incompetenza e del caso, per cui gli allenatori bravi alla fine sono quelli che riescono a farsi dare le squadre più forti, vincere un campionato e vivere di rendita per vent’anni.

Vogliamo avere di nuovo una nazionale forte? Allora c’è chi deve stare zitto e studiare e chi deve avere lo spazio di parlare e decidere, a tutti i livelli. Il calcio è un fenomeno culturale anche perché il modo in cui si sviluppa in un determinato luogo è strettamente legato a come è fatto quel luogo. Attualmente l’Italia come paese mi sembra rispecchiarsi fedelmente nel calcio italiano: un luogo dove il futuro non è pensabile, schiacciato dalle voci di quelli più furbi degli altri, che piuttosto che imbarcarsi su una scialuppa aspettano soddisfatti di affondare con la nave.

Volete che la Nazionale torni ai Mondiali? Chiudete la bocca e aprite un (buon) libro, perché la cultura plasma la persona e le persone creano la società, le società creano le squadre di calcio. Troppo ampio come discorso? Accontentatevi, perché le risposte semplici e strette ci hanno portato qua dove siamo adesso e siamo tutti incazzati neri.

Per cui sì, colpa di Spalletti. Mandiamolo via e prendiamo Ranieri. Bisogna buttare su la palla e tornare a fare il “muretto”. In Italia non si insegna più a marcare. I bambini devono fare tanta tecnica. Una volta qui era tutta campagna.

BIO: GIACOMO PERON

Allenatore UEFA B e Dottore di Ricerca in Materials Science, in quest’ordine. Diciassettenne anni da persona sana di mente, poi quindici (and counting) da allenatore di settore giovanile. Per me il calcio è stato il mezzo attraverso cui conoscere me stesso e il mondo.
Attualmente coordino l’attività di base dell’Arcella Padova, dove ho il piacere di lavorare con tanti colleghi competenti e disponibili al confronto per costruire il miglior ambiente possibile in una comunità unica per tanti motivi. Il mio obbiettivo è “cambiare il modo di fare calcio in Italia”, perché se punti alle stelle niente niente almeno alla Luna ci arrivi.

2 risposte

  1. Pasolini diceva che non bisogna comunicare sottintendendo che lo spettatore, il lettore o l’ascoltatore siano “distratti” e che dunque possano non comprendere ciò che viene espresso in maniera competente e brillante. Ne andrebbe della qualità. Di pensiero, di creazione, di esecuzione e di trasmissione. È vero:chi sa (e soprattutto, oltre alla competenza e alla conoscenza, è provvisto di una qualità di pensiero tale da poter “sentenziare” qualcosa di unico )in questo Paese è purtroppo semplicemente un “presuntuoso” e mai una risorsa di cui usufruire. Un tipico esempio dell’effetto Dunning-Kruger.

  2. Buongiorno Giacomo e buongiorno a tutti. Grazie per questo articolo, molto interessante e(per me) valido. Non si insegna più a marcare e si insegna poco la tecnica.
    Certamente, il problema è presente da almeno 15 anni, mascherato da una casuale vittoria agli europei.
    Mancano i campioni, perché abbiamo troppi “campioni”; manca l’umiltà da parte di tutti. Se devo pensare agli ultimi giocatori “irrinunciabili” che abbiamo avuto (per intenderci a livello di Messi e CR7), dico Roberto Baggio e Franco Baresi, cioè quei giocatori di cui non puoi proprio farne a meno. Poi abbiamo avuto grandi giocatori come Maldini, Totti e Del Piero, ma con tutto il rispetto non erano dello stesso livello. Ecco, nella mia ignoranza, oltre a non produrre i più forti giocatori del mondo, li produciamo poveri di tecnica e ricchi di presunzione. Poi, pagherà pure Spalletti, che non è per nulla modesto, ma la qualità del minestrone, dipende dalla verdura a disposizione.

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