LA STORIA DEL TITOLO MONDIALE PER CLUB: 1^ PARTE – DAL 1960 AL 1988

Il Mondiale per club, per la prima volta nella storia, acquisisce temporalità, modalità, sfumature e contorni inevitabilmente accostabili alla rassegna iridata riguardante le selezioni nazionali: una novità assoluta che suggerisce di riecheggiare il percorso cronologico della manifestazione volta a sancire il titolo intercontinentale, un’idea che affonda le radici nel 1960 con la finalità di porre a confronto i detentori della Coppa dei Campioni e della Coppa Libertadores.

Le prime compagini a contendersi il titolo di migliore squadra del pianeta furono il Real Madrid ed il Penarol, con gli spagnoli a spuntarla nel doppio confronto in virtù dell’inequivocabile 5-1 ottenuto fra le mura amiche a fronte dello 0-0 sancito nella gara disputatasi nell’emisfero australe, naturalmente in quel di Montevideo.

Gli uruguaiani ebbero modo nella stagione successiva di riscattare la sconfitta dell’edizione inaugurale: contro il Benfica occorse la terza partita, come da regolamento vigente all’epoca (altresì non suscettibile del computo totale delle marcature messe a segno: il Benfica s’impose infatti all’andata per 1-0 ed il Penarol replicò siglando 5 reti senza subirne alcuna), per condurre la squadra sudamericana sul tetto del mondo, grazie al decisivo 2-1 del “Centenario”.

La prima doppietta nella competizione fu firmata dal Santos di Pelé che consecutivamente precluse nuovamente al Benfica e poi al Milan di issare i propri, rispettivi, vessilli sulla cima più elevata del football. Ad imitare i bianconeri brasiliani fu l’Inter di Herrera, capace di trionfare per due stagioni consecutive liquidando in entrambe le circostanze l’ Independiente.

Fu solo alla nona edizione, nel 1968, che UEFA e CONMEBOL decisero saggiamente di tener conto della differenza reti complessiva eventualmente maturata nella disputa dei due incontri: per l’Estudiantes, però, non fu necessario usufruire della nuova direttiva contro il Manchester United di George Best e Bobby Charlton che, dopo la sconfitta dell’andata in terra d’Argentina, non seppe andare oltre l’1-1 casalingo nel match di ritorno. La vera nota dolente, nel corso dei primi due decenni della manifestazione, fu incontrovertibilmente rappresentata dalle “calde” atmosfere che il pubblico sudamericano riservò agli ospiti europei cui seguivano sovente comportamenti ed atteggiamenti sul terreno di gioco non particolarmente riconducibili a ciò che successivamente venne raggruppato nell’epiteto “fair play”.

Lo stesso United fu vittima di pesanti intimidazioni dentro e fuori il perimetro agonistico, a suo modo “assaporate” già dal Milan pochi anni prima. Inclinazioni che trovarono la loro becera sublimazione nell’edizione che sancì il primo trionfo rossonero, nel 1969: dopo il 3-0 di San Siro firmato da una doppietta di Sormani e dalla rete di Combin, Rivera e compagni vissero nello stadio de “La Bombonera” atti inqualificabili culminati con il pestaggio perpetrato dai sudamericani principalmente ai danni del connazionale Combin, reo soprattutto di aver preferito la nazionale francese alla “seleccion” e accusato inoltre di aver disertato il servizio militare.

L’Estudiantes non mutò colpevolmente direzione morale nell’edizione successiva che sancì, assieme al trionfo del Feyenoord di Ernst Happel (uno dei migliori tecnici della storia), la decisione, da parte dei club europei, di prendere seriamente in considerazione l’opzione di disertare la manifestazione: così avvenne per l’Ajax, per tre anni consecutivi campione d’Europa, che scelse di essere presente esclusivamente nel 1972 (allorquando ebbe la meglio sull’Independiente), lasciando l’ “incombenza” di rappresentare il Vecchio Continente ai greci del Panathinaikos nel ’71 e alla Juventus due anni più tardi. La partita dei bianconeri contro l’Independiente si disputò eccezionalmente in gara unica all’Olimpico di Roma: la compagine sabauda, per larghi tratti dominatrice, capitolò a dieci minuti dalla fine dopo aver fallito un calcio di rigore con Cuccureddu.

A sottrarre lo scettro iridato ai detentori argentini fu nel 1974 l’Atletico Madrid, presentatosi in sostituzione dell’abdicante Bayern Monaco: gli spagnoli conservano dunque in bacheca il titolo mondiale senza essere mai stati, a tutt’oggi, campioni continentali. I bavaresi conquistarono il primo titolo nel 1976, dopo la mancata disputa dell’edizione del 1975: a capitolare al cospetto di Beckenbauer e compagni fu il Cruzeiro.

Nel 1977 è la volta del Boca Juniors: la mitica squadra di Buenos Aires si laurea per la prima volta campione del mondo annichilendo in terra tedesca i vicecampioni d’Europa del Borussia M’gladbach, chiamati a sostituire il Liverpool rifiutatosi di partecipare. Una consuetudine, ormai, quella delle squadre europee, che si ripete nel 1979, con gli svedesi del Malmö presenti in qualità di vice-campioni d’Europa alle spalle del Nottingham Forest: il titolo va per la prima volta ai paraguaiani dell’Olimpia di Asuncion.

Nel 1980 Nacional di Montevideo e Nottingham Forest danno vita ad una gara “unica”, non già per la qualità delle formazioni in campo, tantomeno per lo spettacolo offerto, quanto perché protagoniste di un evento epocale: per la prima volta la finale di Coppa Intercontinentale si disputa infatti in un unico atto e la sede prescelta per la realizzazione dell’idea è Tokyo. Un’epopea che durerà molti anni e che vedrà gli appassionati dell’intero mondo calcistico puntare occhi e orecchie verso il Sol Levante, con levataccia annessa per gli occidentali che iconicamente mai dimenticheranno il suono della mitica trombetta durante i novanta minuti dell’incontro.

Per la cronaca, ad aggiudicarsi il trofeo nel nuovo formato è il Nacional, grazie ad una rete di Victorino. Nel 1981 II Flamengo, trascinato da uno straordinario Zico (autore di tre assist), demolisce il Liverpool e si laurea campione del mondo per la prima (e ad oggi unica) volta nella sua storia. L’anno seguente è il Penarol di Bagnulo a smorzare i sogni di gloria dell’Aston Villa: la squadra di Montevideo impedisce agli inglesi di salire sul tetto del mondo e sancisce la supremazia delle squadre sudamericane nella competizione. Per gli uruguaiani è il terzo trionfo dopo quelli del 1961 e del 1966.

Il Sud America continua a fare la voce grossa e fa sua anche la coppa Intercontinentale del 1983: il Gremio spegne ai supplementari i sogni di gloria di un Amburgo che, dopo aver sorprendentemente avuto ragione della Juventus nell’atto conclusivo della Coppa dei Campioni, chiude il suo ciclo non issandosi sulla cima del mondo. Il Liverpool cade anche nel 1984 al cospetto dell’Independiente: toccò alla Juventus, nel 1985, riportare a distanza di nove anni il trofeo in Europa in virtù del successo ottenuto contro l’Argentinos Juniors dopo i calci di rigore, al termine di una partita eccezionale che è all’unanimità riconosciuta come la migliore della manifestazione, contemplando la totalità delle edizioni, ed in generale una delle più avvincenti partite della storia del calcio.

Una vittoria che consentì alla Juventus di divenire  il primo club al mondo ad aver conquistato almeno una volta tutti i trofei ufficiali in ambito internazionale. Gaetano Scirea e Antonio Cabrini divennero i primi calciatori a vincere tutte le competizioni UEFA per club all’epoca vigenti (Sergio Brio e Stefano Tacconi li raggiungeranno in questo speciale primato dopo la vittoria in Coppa UEFA del 1990, primato che annovera anche la presenza degli olandesi Blind e Muhren); inoltre, Giovanni Trapattoni divenne il primo tecnico (e rimane tuttora l’unico) a fare altrettanto. L’incontro passerà alla storia anche per l’elegante reazione di Michel Platini, adagiatosi sull’erba di Tokyo successivamente all’annullamento di uno dei gol stilisticamente più belli della sua carriera.

Nel 1986 è la volta del River Plate che, regolata la Steaua di Bucarest, colloca in bacheca quello che sará l’unico titolo mondiale della sua storia. Nel 1987, grazie ad un gol dell’algerino Madjer (miglior giocatore dell’incontro) durante i tempi supplementari, il Porto, in una Tokyo innevata, batte per due reti ad una il Penarol di Oscar Tabarez.

La Coppa Intercontinentale torna in Sud America l’anno seguente: dopo una lotteria di rigori quasi infinita (i tempi regolamentari si erano conclusi sul 2-2), con errore decisivo di Van Aerle, il Nacional di Montevideo ha ragione del PSV.

BIO: ANDREA FIORE

Teoreta, assertore della speculazione del pensiero quale sublimazione qualitativa e approdo eminentemente più aulico della rivelazione dell’essenza di sé e dello scibile, oltre qualsivoglia conoscenza, competenza ed erudizione quali esclusive basi preliminari della più pura attuazione di riflessione ed indagine. Calciofilo, per trasposizione critico analitico di ogni sfaccettatura dell’universo calcistico, dall’ambito  tecnico-tattico all’apparato storico, dalla valutazione individuale e collettiva ai sapori geografici e culturali di una passione unica. La bellezza suprema del calcio è anche il suo aspetto più controverso: è per antonomasia di tutti e tutti pensano di poterne disquisire.

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