MILAN – BOLOGNA 3-1: TRE PUNTI PER LA FINALE DI COPPA

Spero che i lettori del blog di Filippo Galli siano indulgenti e mi perdonino, se ogni volta divago. È solo che penso al calcio, in quanto fenomeno umano, come qualcosa di complesso, fatto di dinamiche che trovano il loro culmine in campo, ma non si esauriscono nella mera analisi tattica della singola partita – in questo caso Milan-Bologna – o di un insieme di esse. Piccola particolarità: i rossoneri, in onore della festa della mamma, hanno giocato con il cognome materno, stampato sulla maglia.

Lo farò anche questa volta, provando però a non dilungarmi troppo, prima di arrivare al punto della competizione in essere e delle sue eventuali implicazioni, per i rossoneri, nell’immediato futuro. Magari non serve, magari invece può essere uno spunto di riflessione, diciamo, laterale (e il pensiero obliquo è tanto importante per la creatività) per chi avrà la pazienza di leggerci.

Qualche tempo fa, sulla versione online della nota rivista “Focus”, venne pubblicato un articolo che equiparava il “funzionamento” di una squadra di calcio all’albatros che va in cerca di cibo. Una simile analogia meritava almeno un approfondimento; farlo è specioso fino a un certo punto, dato che il successo di alcune squadre (forse di tutte) si può spiegare anche guardando al gruppo come a una sorta di “cervello collettivo”. Penso, tanto per citare un caso recente, alla prestazione dell’Inter contro il Barcellona, al netto dei numerosi errori di lettura del tecnico blaugrana. Ha vinto la supremazia tattica, quella atletica, o piuttosto il talento in senso stretto? Difficile affermarlo, di fronte a fenomeni come Lamine Yamal, Pedri, Raphinha, senza naturalmente nulla togliere a nessun altro. Direi piuttosto che abbia vinto la caparbietà e la capacità di lavorare al meglio delle proprie – non trascurabili – possibilità e come una cosa sola.

In buona sostanza, è un excursus che vale la pena di tentare perché il Milan, in perenne crisi identitaria, al di là della vittoria qui o lì, della buona performance del singolo o del reparto, possa ambire a essere – è chiedere troppo, lo so – quello che è stato all’epoca di Sacchi, non solo una squadra assai vincente, ma una squadra che lavorava insieme e per l’insieme. Si tratta di analisi/strategie funzionali che prescindono, in certa misura, dai bilanci, dunque non dovrebbero disturbare.

“Focus”, nell’articolo, fa riferimento a uno studio, condotto dai ricercatori dell’Istituto di Scienza e Tecnologia di Okinawa (OIST) e pubblicato a dicembre del 2024 sulla rivista “Complexity” – mai nome fu più adatto – dal titolo Football as Foraging? Movements by Individual Players and Whole Teams Exhibit Lévy Walk Dynamics. In estrema sintesi e accettando un notevole grado di semplificazione, è utile familiarizzare con il concetto di “passeggiata di Lévy” (Lévy Walk). La passeggiata di Lévy prende il nome dal matematico francese Paul Lévy e descrive un particolare tipo di movimento casuale; immagina un percorso dove piccoli spostamenti frequenti si alternano a balzi occasionali molto più lunghi. È come quando cammini in un museo – fai tanti passetti brevi guardando le opere, poi ogni tanto attraversi rapidamente un’intera sala per raggiungere un’altra sezione.

A differenza del moto browniano classico, dove gli spostamenti tendono a essere più uniformi, il Lévy Walk presenta questa sua propria distribuzione disomogenea che non ha dunque una scala caratteristica definita (cioè non segue una distribuzione gaussiana). Ciò permette esplorazioni efficienti su distanze molto variabili.

In sintesi, attraverso il tracciamento di precisione dei movimenti durante una partita della J-League (il campionato giapponese), i ricercatori hanno identificato come i calciatori adottino spontaneamente passeggiate di Lévy quando cercano di intercettare il pallone, ovvero nella fase di non possesso – una strategia di ricerca efficace già osservata in molte specie animali. Il comportamento cambia in modo significativo quando la squadra entra in possesso della palla, poiché in quel momento subentrano diverse necessità tattiche. Si passa infatti da un obiettivo di ricerca a uno di utilizzo strategico; la passeggiata di Lévy è perfetta per trovare oggetti la cui posizione è imprevedibile (come il pallone durante le fasi di transizione), mentre una volta che la palla è in controllo, i movimenti seguono logiche di gioco strutturate e rispondono a vincoli spaziali definiti, tra le altre cose, dal posizionamento degli altri giocatori in campo.

Rilevante è la scoperta che anche il cosiddetto “centroide” della squadra, ovvero il punto medio tra tutti i giocatori, segue lo stesso pattern. Questo evidenzia, in modo più specifico, come le squadre di calcio manifestino proprietà di coordinamento globale simili a quelle verificate nei gruppi di predatori in natura.

Insomma, i sistemi complessi, composti da agenti intelligenti, tendono spontaneamente verso strutture ottimali di organizzazione collettiva che rispecchiano il funzionamento delle reti neurali, incarnando in questo senso una buona approssimazione del concetto di “cervello collettivo”, cui prima si accennava, sul terreno di gioco.

D’altra parte, l’evoluzione del gioco, sotto la spinta di allenatori come Guardiola (ed epigoni), Klopp, Xavi, De Zerbi ecc., ha portato alla ribalta una nuova grammatica tattica fondata sulla fluidità, sull’occupazione razionale del campo, e sulla creazione di superiorità dinamiche. Si parla di “posizioni” più che di “ruoli”, di “zone d’influenza” più che di “schemi fissi”. In questo contesto, il movimento diventa un vero e proprio linguaggio (condiviso) e ogni spostamento va ad alterare microequilibri e può aprire uno spiraglio decisivo.

Milan e Bologna: “Vincenzo, forse oggi noi inauguriamo una bella amicizia” (liberamente tratto da “Casablanca”!)

Veniamo al concreto e cerchiamo magari di farci un’idea sull’utilità della lunga – anche se avevo detto che sarei stata breve! – disamina anticipatoria: si può fare in modo che questo cervello collettivo naturale, e osservabile, diventi ancora più utile agli scopi prefissati?

Guardiamo quindi a cosa è successo nella gara contro il Bologna di Vincenzo Italiano, uno dei nomi che, nelle scorse settimane, è girato nientemeno che per la panchina del Milan (la brutta abitudine del casting hollywoodiano non si perde, ahinoi). La convergenza temporale è interessante ed è come se si creasse una piccola matrioska al cui interno stanno due partite: quella di campionato e quella, di pochi giorni successiva, di Coppa Italia. Tuttavia credo sia sbagliato pronosticare l’esito della seconda a partire dalla prima, al netto dei possibili turnover. Le finali, si è soliti ripeterlo, sono partite a sé. Inoltre ciascuna presenta sfide di diversa rilevanza: il Bologna concorre per un posto in Champions o Europa League, il Milan per ridefinire assetti che, come ogni anno, ormai, appaiono a dir poco volatili: Conceição potrebbe essere confermato in panchina (e accetterebbe, nel caso)? Avremo un DS o continueremo a percorrere la china discendente del “poche decisioni, ma confuse” con l’evidenza di due cordate – Elliott/Furlani e Cardinale/Ibrahimovic – che non sempre riescono a trovare la quadra?

Il Bologna si presenta di base con un impianto tattico che ritengo più assimilabile (o comunque che tende) a un 1-4-3-3, secondo una struttura che potremmo definire “a scalare con propulsione esterna”: il mediano, con compiti di impostazione, si dispone quale vertice basso rispetto alle mezzali, davanti alla linea difensiva. La caratteristica interessante – da arginare, nella manovra, e controbilanciare – è proprio quella dello sviluppo orientato verso l’esterno, con i terzini a fare da esterni aggiunti, di spinta su  Domínguez e Orsolini, e relativa – possibile – minore densità all’interno del campo. In fase di non possesso, il pressing del Bologna – poiché questa è la filosofia dell’allenatore – figura di norma come alto e forsennato, spesso orientato sull’uomo. La marcatura individuale, per certi versi simile a quella sperimentata contro l’Atalanta, e il continuo accorciamento degli spazi hanno lo scopo di ridurre il tempo di azione e le alternative a disposizione dei portatori di palla avversari, con il limite però – e chi si ricorda la finale di Conference League della Fiorentina contro il West Ham lo sa bene – di generare uno squilibrio importante nella zona tra centrocampo e difesa, tale da consentire agli opponenti degli inserimenti pericolosi con palloni giocati alle spalle.

Dal canto suo, il Milan aveva, nella preparazione della partita, alcune sfide da raccogliere e altrettanti rischi nei quali era possibile inciampare: coprire l’ampiezza, grazie ai terzini avanzati, che devono essere pronti a scivolare in copertura, quando occorre nonché farsi trovare pronti, in possesso, ad alzarsi per dare ampiezza; capacità (e lucidità) di attaccare l’interspazio, in modo rapido, con scarichi sulla punta; utilizzare la superiorità numerica nella prima fase d’impostazione, tentando di attirare il pressing del Bologna – la classica fisarmonica – per liberare spazi dietro le linee. Senza Leão, squalificato, e con Fofana indisponibile per una leggera infiammazione al piede sinistro, Conceição opta, nel primo tempo, per un 1-3-4-2-1 che abbiamo già visto, con poche variazioni, nelle ultime settimane: più denso tra le linee – almeno nelle intenzioni – ma con un’ampiezza difensiva ridotta. Nonostante due o tre buone giocate individuali, in particolare per imbucate di Pulišić e Jovic (ma va fatto un plauso anche a Joao Felix, finalmente più dentro il gioco), i rossoneri faticano a reggere proprio la suddetta ampiezza del Bologna: gli esterni di centrocampo, costretti a rincorrere gli avversari larghi, si trovano spesso sbilanciati, mentre i due trequartisti faticano a incidere nella pressione centrale, più preoccupati di coprire le linee di passaggio che di aggredire il portatore. Ne risente, tanto per cambiare, l’equilibrio d’insieme: la squadra si allunga, perde compattezza e permette a un Bologna assai aggressivo di costruire sulle fasce senza troppa opposizione. In questo contesto, la superiorità teorica nella zona tra le linee non si traduce in efficacia reale, mentre l’impostazione dal basso, quando attuata, diventa lenta e prevedibile, se non addirittura macchinosa. Del resto, checché se ne dica, l’assenza di Rafa, giocatore capace di sfruttare l’ampiezza del campo, non è mai indolore;  la mancanza di un uomo in grado di slabbrare la tenuta difensiva avversaria ha costretto i rossoneri a cercare soluzioni più centralizzate, favorendo però il pressing degli emiliani.

Sotto di un gol – il solito Orsolini, verrebbe da dire, perché si è trattato di un gol dei suoi –  nel secondo tempo, il mister opta con lungimiranza per un assetto che riesca a contenere la manovra offensiva del Bologna e, allo stesso tempo, ne metta in luce le falle difensive. Passa infatti a un 1-4-4-2. La presenza di due linee da quattro garantisce maggiore equilibrio orizzontale e una migliore risposta al gioco esterno avversario, riducendo lo spazio di manovra per i terzini e costringendo Domínguez e Cambiaghi, subentrato a Riccardo Orsolini, a ricevere più lontano dalla porta. In fase di possesso, la coppia d’attacco può mordere con maggiore immediatezza la profondità, mentre il centrocampo compatto favorisce le seconde palle e il contenimento delle mezzali avversarie. Una scelta, insomma, che privilegia la solidità e la verticalità, e che, nell’economia del match, si è rivelata decisiva per scardinarne l’inerzia. È infatti in questo frangente che è arrivato, prima il pareggio, a opera di Gimenéz (autore di una doppietta), e poi i due gol, uno dei quali firmato dal solito infaticabile Pulišić, a chiudere la partita con un netto tre a uno a nostro favore. Ottima anche l’energia portata in dote da Chukwueze nonché la solidità offerta nelle retrovie da un veterano come Walker.

Il Milan c’è? C’è, se vuole. Ieri, per l’ennesima volta, ha saputo reagire a una condizione di svantaggio, ma è fondamentale, in vista di mercoledì prossimo, con una posta in gioco secca, mantenere la massima concentrazione. Non manca la qualità né una certa versatilità – Reijnders, per esempio, si è “sacrificato” con un lavoro invisibile, ma necessario, rinunciando alle sue tipiche incursioni –  manca, talvolta, la capacità di lavorare bene… come un cervello collettivo, appunto.

MILAN: Maignan; Tomori, Gabbia, Pavlović (dal 65’, Walker); Jiménez (dal 65’, Chukwueze), Loftus-Cheek (dal 78’, Musah), Reijnders, Hernández; Pulisic, Félix; Jović (dal 65’, Giménez). A disp.: Sportiello, Torriani; Bartesaghi, Florenzi, Terracciano, Thiaw, Walker; Musah; Abraham, Camarda, Chukwueze, Giménez. All.: Conceição.

BOLOGNA: Skorupski; De Silvestri, Beukema, Erlić, Lykogiannis; Moro (dall’80’, El Azzouzi), Freuler, Pobega (dal 61’, Aebischer); Orsolini (dal 61’, Cambiaghi), Dallinga (dal 61’, Castro), Domínguez. A disp.: Bagnolini, Ravaglia; Calabria, Casale, Lucumí, Miranda; Aebischer, El Azzouzi, Fabbian, Ferguson; Cambiaghi, Castro. All.: Italiano.

Arbitro: Marinelli di Tivoli.

BIO: ILARIA MAINARDI

Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita. 

Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema. 

Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.

Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!

4 risposte

  1. Bentornata Ilaria. Considero questo articolo uno dei più belli di quelli sempre di altissimo livello pubblicati sul blog. Qui del resto si fa vera cultura sportiva e quindi le tue premesse sono davvero un tesoro prezioso per tutti noi. Perché il calcio è davvero Vita, pensiero, società, storia. Grazie di cuore!
    Sono d’accordo anche sul commento più tecnico e anche nella cautela obbligata per questo Milan che sappiamo essere piuttosto fragile e altalenante. Era importante fare una prestazione del genere per arrivare a mercoledì in fiducia. Punto.
    Sicuramente, Coincecao non sta facendo un brutto lavoro, specie a partita in corso.
    Ps. Su Barcellona Inter….la prima è il calcio. La seconda senz’altro la più forte squadra italiana, ma ancora inferiore a diverse squadre Europee .

    1. Grazie infinite per le belle parole, Mirko!
      Concordo sulla tua valutazione: il Barcellona ha il futuro davanti a sé. Questa volta la Champions è sfumata, ma si rifaranno.

    2. Ancora una delle tue perle scrittorie Ilaria! Complimenti di vero cuore rossonero e tra l’altro in arrivo nella tua bella città natia letteralmente in festa per essere tornata in serie A dopo ben 34 anni e per giunta alla guida del ns. grande ex Pippo! Ma torniamo al ns. Milan! Faccio una mia personale considerazione a latere del tuo esaustivo articolo.
      Nel momento in cui Concecao ha preso in mano il testimone lasciato dal suo connazionale predecessore abbiamo assistito ad una continua corsa come sulle montagne russe di un Luna Park di periferia. Alla immediata notte magica di Riyad hanno fatto eco inaudite sconfitte in campionato e la scottante eliminazione dalla Champions per poi rifarsi nel derby castrando ai cuginastri la possibilità del filotto triplete! Ma l’agonia in campo è continuata con un mare di punti persi che, conseguenza ineluttabile, ci relega gioco forza a sperare in un’altra notte in stile arabo purché abbia nel suo sfondo a location la maestosità di un Colosseo per una notte conquistato dalla compagine rossonera. E la mia considerazione prima evocata starebbe nella rivalutazione di pensiero nei confronti del nostro coach che, dopo questi altalenanti saliscendi, parrebbe arrivato al punto di giusta lievitazione… azzecca I cambi, ha cambiato positivamente moduli di gioco, sta ottenendo buoni risultati (3 vittorie di fila in trasferta Coppa compresa), riesce in svantaggio a ribaltare risultati (dopo 20 gare in svantaggio il Milan ha totalizzato 22 punti)… insomma se vincesse ‘sta benedetta Coppa Italia io non starei a bendarmi la testa per ricominciare un’altra volta!
      Proverei a confermarlo… con tanto di sigaro Avana, visto che porta così bene!
      Un caro abbraccio.

      Massimo 48

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