PAROLE, PAROLE, PAROLE… MA QUANTO CONTANO DAVVERO?

“La mia regola è usare soltanto parole che migliorino il silenzio” (E. Galeano)

Ne usiamo a migliaia ed altre migliaia le stiamo perdendo lasciandole cadere in disuso, vuoi perché sostituite da altre, vuoi perché immersi in questo mondo virtuale e (a)social non ne facciamo più uso ed in altri casi, spesso, forse troppo, le diamo per scontate.

Non voglio esporre, appositamente, quali siano le modalità più appropriate per comunicare o per sostenere una conversazione, argomenti già ampliamente trattati, spiegati e rivoltati in modo esaustivo e competente da persone molto più addentro di me al settore, ma anche dal sottoscritto in modo più collaterale, negli articoli precedenti scritti su questo blog.

Vorrei usare una lente di ingrandimento o, volendo usare una parola più in linea con quest’era digitale fare uno zoom su quello che sono le “PAROLE”.

Inizio, o meglio, proseguo, con una definizione presa da internet, che mi è piaciuta per le parole appunto che sono state utilizzate:

“Le parole sono segmenti organici indivisibili di suoni che hanno significato anche da soli, con cui l’uomo comunica. L’etimologia della parola “parola” deriva dal latino parabola ‘similitudine’, e dal greco parabolé, che è dal verbo parabàllo ‘confronto, metto a lato’.

La parola, astrazione simbolica, nasce accanto all’oggetto o all’azione che rappresenta. Nella realtà esterna, di per sé, è un suono, al massimo è un carattere tracciato su un supporto: è un significante che porta un significato. Si tratta di un’unità universale, presente in ogni lingua umana formalizzata, vero e proprio atomo comunicativo – e in quanto tale spesso, nella nostra lingua, citata come prototipo di questo atomo, nella sua piccolezza e nella sua profondità: mettere una parola buona, dare la mia parola, dirò solo un paio di parole.

Ma non è solo questo. La parola, come ogni allegoria e metafora, non è mera descrizione, ma è un’entità creativa – scegliendola si sceglie e genera una realtà.” (fonte: unaparolaalgiorno.it)

Hanno un potere straordinario. Possono essere leggere come piume, capaci di sollevare lo spirito e portare conforto, oppure pesanti come macigni, in grado di ferire e lasciare cicatrici profonde.

La scelta delle parole che usiamo quotidianamente può avere un impatto significativo sulle persone intorno a noi e sulla nostra stessa vita.

PAROLE COME PIUME

Le parole gentili ed incoraggianti possono fare miracoli. Un complimento sincero, un incoraggiamento in un momento di difficoltà, o semplicemente un “grazie” possono migliorare la giornata di qualcuno. Queste parole, hanno il potere di sollevare il morale, un semplice “sei bravo” può dare a qualcuno la fiducia di cui ha bisogno per affrontare una sfida, oppure, possono creare connessioni, costruire e rafforzare relazioni, creando un ambiente di fiducia e rispetto reciproco o anche promuovere la positività, creando un effetto a catena, incoraggiando altri a fare lo stesso.

“Una parola gentile può riscaldare tre mesi d’inverno.” (Proverbio giapponese)

PAROLE COME MACIGNI

D’altra parte, le parole possono anche essere pesanti e dannose. Commenti negativi, critiche distruttive e insulti possono avere effetti devastanti, possono ferire profondamente, lasciare cicatrici emotive che durano nel tempo, distruggere relazioni, commenti negativi ripetuti possono erodere la fiducia e l’affetto in una relazione, oppure creare un ambiente tossico, contribuendo a creare un’atmosfera di ostilità e sfiducia.

“Le parole son finestre oppure muri
Dipende se le usi per aprire o per rinchiuderti in un bunker.” (Caparezza – Argenti Vive)

LA RESPONSABILITÀ DELLE PAROLE

Cresciamo con un “non” prima di qualsiasi verbo positivo, il bello ci viene sempre negato fin da piccoli (non correre, non sporcarti, non sudare e spesso anche non piangere) a favore del dovere imposto.

Senza considerare che spesso nemmeno veniamo ascoltati, forse perché quello che abbiamo da dire, in realtà, non interessa a nessuno.

Essere consapevoli del potere delle parole è fondamentale, è importante conoscere l’etimologia di quelle che scegliamo di usare, poiché alcune possono avere un significato diverso rispetto al contesto in cui le usiamo. Ad esempio:

  • Sacrificio: Deriva dal latino “sacrificium”, che significa “rendere sacro”. Originariamente, indicava un’offerta agli dèi, ma oggi può essere usato per indicare una rinuncia personale per un bene maggiore.

Se sostituissimo questa parola con “ENTUSIASMO”?

  • Dovere: Viene dal latino “debere”, che significa “essere debitore”. In passato, indicava un obbligo morale o legale, ma oggi può essere interpretato in vari modi a seconda del contesto.

Non sarebbe molto meglio “VOLERE”?

  • Passione: Deriva dal latino “passio”, che significa “sofferenza”. Originariamente, indicava il patimento di Cristo, ma oggi è spesso usata per descrivere un forte entusiasmo o amore per qualcosa.

Non sarebbe meglio sostituirla con “DEDIZIONE”?

Ma soprattutto odio ed invidia con AMORE e GIOIA ma anche DESIDERIO, ORGOGLIO come leve per elevarci a qualcosa di più o di migliore per noi stessi.

Scegliendo le parole giuste, di colpo, anche il nostro umore cambia aprendosi ad un turbinio di emozioni positive che ci contagia e ci inebria e ci serve come sprono per dare il massimo.

C’è una parola giapponese, wabi sabi, che celebra la bellezza dell’imperfezione, della semplicità e della transitorietà.

E’ una filosofia di vita che accetta l’imperfezione e l’impermanenza, abbraccia la semplicità e la naturalezza e trova la bellezza nelle piccole cose e nei segni del tempo.

Esempio pratico? Il kintsugi, l’arte giapponese di riparare oggetti rotti con l’oro, esalta le crepe anziché nasconderle.

Il wabi-sabi ci insegna a vivere con gratitudine, accettare il cambiamento e trovare bellezza anche nelle imperfezioni della vita, ed è proprio “vita” la parola a cui assocerei il termine giapponese, perché è così bella proprio perché è imperfetta.

In un mondo ossessionato dalla perfezione e dalla velocità, questo approccio ci invita a rallentare, respirare e apprezzare la semplicità di ogni giorno, il che ci porta direttamente al Ima Kono Shunkan (qui ed ora).

Certo, le parole da sole non bastano, ma credo che comunque siano già un buon inizio.

Pertanto, alcuni accorgimenti che non comportano né fatica né spreco di energie e potrebbero evitarci spiacevoli conseguenze potrebbero essere:

  • Pensare prima di parlare: Riflettere sulle conseguenze delle nostre parole prima di esprimerle.
  • Essere empatici: Considerare i sentimenti degli altri e cercare di mettersi nei loro panni.
  • Promuovere la gentilezza: Fare uno sforzo consapevole per usare parole che incoraggiano e sostengono.

A questo punto qualcuno di voi potrebbe anche pensare che siano tutte belle… parole, ma la pratica? La pratica sta sempre a ciascuno di noi, non esistono formule magiche se non la VOLONTA’ di VOLER cambiare per cambiare.


“Ogni parola è una scelta,
ogni silenzio una sentenza,
ogni giudizio un pregiudizio,
ogni confine un’opinione.”

(Caparezza – Jodellavitanonhocapitouncazzo)

BIO: Gianni Parenti

1981 all’anagrafe perché l’anima la sa molto più lunga, Ingegnere Civile, UEFA C, Match Analyst, Tutor di eventi in Educazione Emozionale (Emotional Sport Academy e Pedagogia Viva).

Allenatore, collaboratore e allievo AMC FOOTBALL ACADEMY, appassionato studente di calcio e non solo.

Grato alla vita, in cammino nella ricerca della libertà dell’anima.

Una risposta

  1. Grazie Gianni per quest’articolo, tra le righe non possiamo fare altro che riscoprire il potere delle parole e di utilizzarle con cura, consapevolezza e amore, è un invito a a riflettere sul peso delle nostre parole e sull’impatto che hanno sugli altri e su noi stessi. Meriterebbe di essere letto e riletto, perché ogni passaggio è una gemma di saggezza che ci spinge a migliorare non solo il nostro modo di comunicare, ma anche il nostro modo di vivere. La riflessione sulla responsabilità che abbiamo nel scegliere termini come “entusiasmo” invece di “sacrificio”, o “volere” al posto di “dovere”, è un invito a trasformare non solo il nostro linguaggio, ma anche il nostro approccio alla vita. In un mondo che corre verso la perfezione, questo articolo ci ricorda di rallentare, di apprezzare le imperfezioni e di trovare la bellezza nelle piccole cose.

    Con enorme stima
    Orazio

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