MASSIMO AMBROSINI: IL PAPÀ PENTATLETA CON CUORE E POLMONI.

Quando è arrivato a Milano aveva più l’aria di uno di quei ragazzini tedeschi che d’estate invadevano le coste romagnole e marchigiane, più che sembrare nativo di quei luoghi. Biondino pallido un po’ spaesato, timido, educato e gentile, aveva accettato un invito alla trasmissione “Casa Mosca” per raccontare il suo romanzo calcistico che era solo al primo capitolo: lo sradicamento dalla sua Pesaro, la crescita a Cesena, il battesimo a Vicenza dopo una prima sporadica apparizione al Milan. 

Con Massimo Ambrosini la sintonia è scattata subito. Colpiva il trasporto, l’amore con cui – gli occhi illuminati – mi portava in giro per la sua città, descrivendo con enfasi tutti i luoghi della sua infanzia: l’oratorio del Cristo Re, la scuola, le spiagge, gli amici soprattutto.

Già, gli amici: sono quelli da una vita, gli stessi, una vasta cerchia unita e fedele in cui mogli o fidanzate o compagne, devono integrarsi in quel legame indissolubile che battezza ogni vacanza, ogni Natale, ogni Ferragosto, ogni occasione per stare insieme, per fare festa. E’ una condizione quasi imprescindibile, per le donne. Ed è un’operazione riuscita su larga scala. 

Ambro è un atleta polivalente: sin da quando ci siamo conosciuti la passione per il basket, il beach volley, la bicicletta, ora anche le maratone e lo sci, lo assorbivano completamente. Non c’era un minuto della sua giornata che non fosse occupata dallo sport. E non c’è uno di questi sport in cui non riesca a eccellere. Quando non è in movimento, è davanti alla televisione a guardarsi una partita: calcio, basket e tutto il resto. Anche se ovviamente adesso la famiglia estesa assorbe molto tempo e molte energie. Casa sua, poi, è luogo di ritrovo abituale per tutti, molto più dei ristoranti o dei locali che devono essere comunque familiari e accoglienti: meglio una piadineria in collina sopra Pesaro che uno chef stellato, con l’unica eccezione per un sushi griffato. 

Non riesco a dire come un calciatore che abbia collezionato 489 partite e 36 gol nel Milan sia stato sottovalutato, ma è un fatto che nelle sue epopee – infarcite di fuoriclasse – non venisse considerato come avrebbe dovuto. Persino il suo percorso in Nazionale è stato risicato, nonostante le 35 presenze. In parte anche a causa di qualche infortunio di troppo, spesso con genesi somatiche come quella volta nel 2005…La squadra di Ancelotti gioca a Eindhoven contro il PSV la semifinale di Champions: ha vinto l’andata a San Siro 2-0, ci sono tutte le premesse per una serata difficile, ma per niente impossibile. Gli olandesi invece dominano in lungo e in largo, pareggiano i conti portandosi sul 2-0. Mancano pochi minuti alla fine: una triangolazione superba con Kakà porta Ambrosini al gol del 2-1. E’ finale, “il gol più importante della mia carriera”, e rende vano (grazie alla vecchia formula del gol che valeva doppio in trasferta) il 3-1 del PSV in chiusura. 

La domenica successiva il Milan gioca a San Siro la partita-scudetto con la Juventus, essendo in testa a pari punti. Vincono i bianconeri 0-1 con gol di Trezeguet, Ambro non parte titolare e ci resta malissimo. La domenica successiva c’è Lecce-Milan e Ancelotti lo manda in campo dal primo minuto, ma Massimo ha “rosicato” per tutta la settimana non essendo stato considerato per il match-scudetto: si stira in “Via del mare”, sarà costretto a saltare per questo la finale a Istanbul contro il Liverpool. Con Ancelotti è accaduto qualche volta che ci fossero incomprensioni. Dopo la Champions del 2003 vinta a Manchester contro la Juventus, altra gara in cui Ambrosini non partì titolare, chiese all’allenatore perché non gli consentisse mai di essere nelle foto di squadra d’inizio partita: “Perché ci sei in quelle delle feste alla fine”, gli rispose Carletto.

Il quale, quando lo intervistai tempo dopo chiedendogli quale giocatore del Milan si sarebbe portato se fosse andato ad allenare una squadra straniera, mi rispose senza esitazione: “Ambrosini”. Lo ricordava, infatti. Ancelotti calciatore era un po’ più geometrico e tecnico, ma erano due leoni, due combattenti, due capitani. Massimo fruiva del “terzo tempo” cestistico in elevazione e in acrobazia, era duttile e concreto nel recuperare e giocare la palla, affinando negli anni anche la tecnica e il repertorio. Subì un altro dolore enorme quando, da capitano (nel 2007 aveva alzato la Supercoppa europea del 2007 con la fascia al braccio), fu scaricato dal Milan nel 2013 per andare a concludere la sua carriera nella Fiorentina. 

La vita gli ha riservato da allora qualche sofferenza molto più acuta: la morte di un caro amico, quella dell’adorata mamma Paola, la scoperta che l’ultimogenito Alessandro è affetto da diabete di tipo 1. Questa difficilissima esperienza ha forgiato lui e la moglie Paola: dopo i primi momenti di smarrimento, hanno indossato l’armatura come Ambro ha sempre fatto in campo, iniziando una battaglia di propaganda a favore della ricerca, organizzando eventi, sostenendo associazioni, parlando a giornali e tv. 

Circondati da una pletora sterminata di amici, con il supporto instancabile di nonno Guerrino (suo papà) e degli amorevoli suoceri Enzo e Antonia, della sorella Valeria e della cognata Moky, inseguono la speranza di un rimedio che prima o poi la scienza e la medicina offriranno loro.

Essendo padrino del primogenito Federico, legato ai suoi affetti e alle sue amicizie ormai quasi da 30 anni, l’aneddotica che mi lega a Massimo occuperebbe altre pagine intere, forse ci scapperà un libro prima o poi. Mi fermo qui nella speranza di aver reso un affresco convincente di un grande campione, ma soprattutto di una persona fuoriclasse: generoso, affettuoso, comprensivo, con un senso fortissimo dell’amicizia e della famiglia. Il fratello minore che non ho mai avuto e che avrei voluto fosse così. 

Per essere d’aiuto ai ragazzi e ai bambini con diabete e sostenere la ricerca per una cura del DM1:

https://sostegno70.org/

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

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