TRAIETTORIE DI CARRIERA E UNA PROSPETTIVA PER UMANIZZARE IL CALCIO. 3^ PARTE.

Caterina Gozzoli, Chiara D’Angelo ed Edgardo Zanoli docenti a diverso titolo presso l’Alta scuola di Psicologia Agostino Gemelli-Università Cattolica di Milano, hanno partecipato alla stesura del libro in copertina “HUMANIZAR EL FÚTBOL – Deporte y Trasformacion Social”, scrivendo un capitolo che presentiamo in questo blog suddiviso in quattro parti. Il libro non è ancora stato tradotto in lingua italiana.

UMANIZZARE LA RICERCA

Il tema dell’umanizzazione ci interroga anche in qualità di ricercatrici/ricercatori: ci sono questioni legate allo sport / al calcio che spesso non vengono esplorate o nel caso, se lo sono, vengono esplorate con lenti troppo riduttive: l’essere umano , i gruppi, le organizzazioni non possono essere fissati una volta per tutte, conosciuti per sempre come se fossero oggetti immobili.

Ecco perché anche dalla ricerca ci aspettiamo sorgano nuovi sguardi , prospettive teoriche , domande, oltrechè più comprensione e misurazione .

Di seguito, entro questo sforzo, proponiamo alcune ricerche che in questi anni abbiamo ritenuto importanti per approfondire tematiche delicate (la transizione di carriera; il benessere dei giovani calciatori; la dual career) entro uno sguardo che prova a non disumanizzare i soggetti della ricerca da un lato, e dall’altro capace di restituire pratiche rispettose.

LA CARRIERA COME LENTE PER PARLARE DI UMANIZZAZIONE NEL CALCIO

Il termine carriera, etimologicamente, rimanda alla linea che l’aratro lascia dietro di sé sulla terra. Provando ad immaginarsi tale linea, apparirà dritta, un solco ininterrotto che esita da un movimento lineare ed una pressione costante.

Nel contesto attuale le carriere professionali non sono più ben rappresentate da questa immagine, assomigliano più a linee curve, spirali di diversa profondità, che si arrestano, che regrediscono, che prendono direzioni inattese o parallele.

Nel mondo dello sport d’élite, in particolar modo nel calcio, i giocatori hanno un’idea quasi magica del fine carriera, come un salto, un momento difficilmente pensabile o prevedibile con un certo grado di sicurezza.

Un giocatore oggi, infatti, non può avere una carriera lineare. Ad esempio, anche se un calciatore a tredici anni è considerato molto promettente, non è detto che arriverà a giocare in nazionale. Ciò accade perché esistono moltissime variabili che influenzano il risultato finale, come ad esempio la disponibilità di altri giocatori della stessa età, forti come o più di lui, le diverse possibilità offerte dai contesti frequentati e le relazioni che si costruiscono. Le relazioni costituiscono infatti un elemento centrale per le transizioni di carriera dei giocatori e coniugano elementi di rischio e opportunità.

La gestione degli aspetti di rischio associati alla carriera calcistica e la creazione di spazi atti ad avviare una narrazione flessibile e positiva di sé a prescindere dal buon esito del proprio percorso rappresentano un’importante area di interesse per lo psicologo dello sport, che può promuovere l’acquisizione di competenze autovalutative e riflessive del giocatore, atte ad attivare risorse di resilienza e capacità di giocare alternativamente la propria identità in caso di esito negativo della propria carriera.

Inoltre, lo psicologo dello sport può sostenere la diffusione di valori che afferiscono a culture del dialogo, dell’errore e del benessere olistico della persona all’interno di club e società sportive dominate da altre tipologie culturali. Analizzando così gli aspetti di rischio, a cui dedichiamo il prossimo paragrafo, si possono tracciare percorsi di accompagnamento, valorizzazione e rinnovamento culturale ispirati ai principi dell’umanizzazione.

UN’INDAGINE SUI GIOVANI CALCIATORI:

La prima ricerca che presentiamo si sviluppa a partire dalla domanda di ricerca: le relazioni influenzano il benessere psicologico dei giovani calciatori? (cfr. Reverberi E, D’Angelo C, Littlewood M.A. and Gozzoli C., 2020).
Il benessere psicologico dei calciatori è un fattore che concorre ad operazionalizzare il più astratto costrutto di umanizzazione, ossia di realizzare un processo che permette di rilevare, mediante indicatori concreti, costrutti altrimenti non osservabili ed ampi come l’umanizzazione, coniugando profondità teorica e necessità pratica.

Il benessere psicologico, inoltre, permette strategicamente di connettere il costrutto dell’umanizzazione al tema del risultato. Come psicologhe dello sport, infatti, che si sono però formate dedicandosi alla psicologia delle organizzazioni, non dimentichiamo la necessità di porre attenzione all’aspetto performativo connaturato ai contesti organizzativi, che è connesso al rendimento, alla finalità di portare un giocatore al professionismo, oltre che alla vittoria e al benessere; non dimenticando quindi i molteplici e divergenti obiettivi degli attori coinvolti in un intervento.

Il modello teorico utilizzato in questa ricerca è quello psicosociologico, con un particolare focus sul benessere del calciatore, che è influenzato dalle relazioni che attraversano la sua esperienza, come i rapporti con l’allenatore, i compagni di squadra, la famiglia e della mediazione delle sue caratteristiche individuali, per esempio la motivazione e la capacità di autoregolazione.

Questa ricerca ha coinvolto più di 400 calciatori militanti in prima e seconda divisione di diversi club. Ciò che è emerso dalla ricerca indica che ci sono alcuni fattori sociali che impattano maggiormente sul benessere psicologico dei giocatori, tra cui il clima motivazionale all’interno della squadra e la relazione con l’allenatore.

A livello individuale invece, si classificano come fattori impattanti sul benessere l’orientamento motivazionale nello sport e l’autoregolazione nell’apprendimento (che si articola in sei dimensioni: pianificazione, accompagnamento, valutazione, autoriflessione, autoefficacia e compromesso).

 Inoltre, la percezione di perseguimento di un obiettivo nella propria vita è una condizione favorevole per lo sviluppo del talento e del potenziale dell’atleta e può essere considerato un vero e proprio esito dell’umanizzazione, così come il fatto di avere delle buone relazioni con i propri compagni e il proprio allenatore.

I fattori fin qui nominati (le relazioni con gli allenatori, il clima di squadra, l’autoregolazione nei processi di apprendimento) ci sembra possano rappresentare elementi attraverso cui il processo di umanizzazione prende forma nella quotidianità della vita di un atleta, e focus di attenzione per promuovere benessere in questo contesto…CONTINUA

BIO: Edgardo Zanoli

  • Metodologo, Formatore, Allenatore Uefa B,
  • Docente del Master in sport e intervento psicosociale Universita’ Cattolica di Milano e Brescia

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