Ho fatto un sogno: ho sognato papà che mi raccontava una storia di calcio e di “gesti non particolarmente belli” come direbbe l’amico Omar. Il calcio era una delle passioni di papà, veniva appena dopo il lavoro nell’officina meccanica che portava avanti con i fratelli.
Papà, così come uno dei miei zii, era tifoso del grande Torino (l’altro, il terzo fratello, tifa Fiorentina nonostante la moglie sia rossonera da sempre), poi, quando sono entrato nelle giovanili del Milan, la sua passione calcistica si è tinta di rossonero.
Ma torniamo al sogno.
Eravamo, io e lui, nel suo ufficio, quando ha cominciato a raccontarmi la storia di un signore sessantenne, Anselmo Giuffrida, un passato da calciatore professionista che, una volta ritiratosi, aveva cominciato ad allenare dedicandosi ai giovani di quello che un tempo si diceva “vivaio”, oggi più comunemente definito settore giovanile, del club in cui aveva trascorso gran parte della sua carriera.
Gli eventi lo avevano portato, nel tempo, alla nomina di responsabile del “vivaio”, ruolo che aveva mantenuto per tanti anni fino all’arrivo di nuovi dirigenti che, dopo una stagione, decisero di metterlo nelle condizioni di non avere scelta: lasciare l’incarico alla fine del contratto che ne definiva il ruolo.
Anselmo, raccontava papà, sapeva come andavano le cose e come, essere vicini a chi detiene il potere, poteva in qualche modo aiutare a mantenere il proprio posto di lavoro, del resto, inconsapevolmente, ne aveva forse tratto vantaggio negli anni precedenti. L’importante diceva papà è lavorare per il bene dell’azienda per cui si lavora, quello della squadra di calcio in questo caso e non per quello personale. Quello potrà essere una conseguenza.
Il Giuffrida che aveva una passione incondizionata per il club in cui aveva, prima giocato e poi lavorato in alti ruoli, rimase fortemente legato alla maggior parte delle persone con cui aveva condiviso anni di lavoro continuando a seguire e a sostenere tutte le squadre del club.
Nel ruolo di dirigente aveva avuto, negli anni, la possibilità di lavorare, durante il periodo estivo, anche se per una sola settimana, nei camp con i giovani calciatori. Il suo ruolo, del resto, non gli permetteva un impegno maggiore tant’è che dovette presto rinunciarvi. Anselmo era molto dispiaciuto perché la settimana al camp gli permetteva di tornare sul prato verde a stretto contatto con i giovani calciatori, quelli bravi e quelli meno bravi, quest’ultimi, spesso, i più bisognosi di attenzione.
Come ogni sogno a un certo punto non ricordo più nulla.
Ora la memoria riaffiora e rivedo papà raccontarmi, con un velo di tristezza in volto, che, Sanjay Kanja, colui che dopo qualche anno, successe nel ruolo ad Anselmo, non si sa per quale ragione, cominciò ad avere un atteggiamento che percepiva come avverso nei suoi confronti. A quel punto Anselmo evitò di seguire da vicino le partite delle squadre, anche a quelle più interessanti sotto il profilo tecnico-emotivo a cui non avrebbe proprio voluto rinunciare.
Scordato lo spiacevole episodio Anselmo, con l’avvicinarsi dell’estate, tornò a contattare gli organizzatori del camp che peraltro lo avevano accolto nello staff l’anno precedente ma, con grande stupore, non potè parteciparvi. Dispiaciuto, deluso e senza aver avuto alcuna spiegazione dagli amici organizzatori si rassegnò ad accettare quanto gli era stato comunicato.
A quel punto ho chiesto a papà cosa avesse mai fatto Anselmo!
“Nulla” è stata la risposta, “ma ricordati”, ha proseguito papà, “a volte, le persone vengono tenute lontane non perché le loro idee siano sbagliate ma perché sono diverse e il confronto è temuto”.
“Sii sempre te stesso…come ha fatto Anselmo”.
Grazie papà.
5 risposte
Buongiorno Filippo! Scoprirti in questa arcana veste di mentore deamicisiano rimembrando i saggi consigli di papà, è semplicemente un valore aggiunto ai tuoi meriti oltreché sportivi anche e soprattutto di umanità e fratellanza.
Un caro abbraccio .
Massimo Baldoni
È tutto vero. Accade spesso che un coach avendo idee diverse dal sistema,viene messo ai margini. Il mare magnum ha sempre funzionato così e deve continuare l andazzo così com e senza un minimo di cultura e competenze pluridisciplinari . È un sistema al collasso e lo sport e chi lo pratica, grida rinnovamento culturale, scientifico e metodologico.
Una bella riflessione su come spesso venga “premiato” chi è accondiscendente. Confrontarsi con qualcosa di “altro” , di ” diverso” è sempre più difficile per molti. Si cerca sempre di schierarsi pro o contro, positivo o negativo. Molte volte senza neanche cercare di capire . Grazie Filippo e grazie Anselmo .
Articolo ricco di spunti e riflessioni.
Il pensiero degli altri è fonte di ricchezza, il confronto non va temuto, va valorizzato perché solo così è possibile crescere e accettare le differenze, come ben sottolineato in questo passaggio che per me è fonte di ispirazione, anche per il ruolo educativo che rivesto:
“Nulla” è stata la risposta, “ma ricordati”, ha proseguito papà, “a volte, le persone vengono tenute lontane non perché le loro idee siano sbagliate ma perché sono diverse e il confronto è temuto”.
“Sii sempre te stesso…come ha fatto Anselmo”.
Un abbraccio
Vincenzo
Le idee spesso,sono così potenti da far tremare i potenti stessi, a tal punto da non accettare il confronto poiché loro povere di contenuti . Perché ad esse , se si aggiunge la passione , possono smuore masse ! E soprattutto far legare le persone a chi , rischiando se stesso , cerca di fare il bene di altre persone . Ci sono tanti sostenitori di “Anselmo” e quando questi saranno riuniti tutti sotto un unico stendardo , allora ci sarà tanta luce che gli altri resteranno abbagliati