TRASFERIRE L’ALLENAMENTO ALLA PARTITA 1/3

L’onestissimo titolare di questo blog Filippo Galli mi ha fatto ripensare giorni fa ad un lontano periodo in cui mi sono occupata dei giocatori gifted del loro talento. Si, insomma, delle condizioni favorevoli grazie alle quali i doni propri di questi umani anticipatori dalla memoria eccezionale, creatori di aspettative e di futuro, capaci di intuire prima di prendere risolutive decisioni, di mantenere percezione e azione strettamente collegate, siano stati messi in grado di svilupparsi e fruttificare.

Nel contempo, spulciando gli archivi di svariate SQUADRE PRIMAVERA anche di club blasonati, è ragionevole affermare, statistiche alla mano, che le carriere della stragrande maggioranza di questi formidabili atleti non sono mai decollate adeguatamente rispetto alle premesse almeno. Che nella loro vita calcistica questi giovani superdotati non hanno aguzzato un benedetto chiodo o, almeno, QUEL chiodo. Quello del CALCIO. “A 19 anni ha finito per giocare solo qualche minuto con l’A…., vedendo il suo coetaneo N….. scavalcarlo nelle preferenze di ….. Insomma: il giocatore……. è finito in un limbo piuttosto tipico per i talenti italiani: troppo forti per la Primavera ma considerati immaturi per la prima squadra. E siamo sicuri che le categorie inferiori siano la possibilità di crescita migliore per ………?”( dalla Gazzetta dello Sport, uno tra mille articoli di commento).

Sorvolando sulle polemiche (ma qualcuno prima o poi dovrà pur pagare il conto per questa strage di aspettative che miete più vittime di un conflitto mondiale) e sulla gestione fallimentare da parte della FIGC del suo miglior patrimonio, sorvolando i sedicenti manager, DS, DT delle società sportive disseminati lungo tutto lo stivale e responsabili di una debacle così massiccia, andrei subito ad occuparmi di come sarebbe DOVEROSO DA PARTE DEGLI ALLENATORI, SOSTENERE I GIOCATORI NELL’AGUZZARE QUESTI BENEDETTI CHIODI E NON FAR NAUFRAGARE NEL FANGO TUTTO QUESTO BENDIDÌO come quelle suppellettili, gli amati oggetti, gli arredi spazzati via dalla piena dell’Arno.

La qual cosa mi fa subito affrontare una materia metodologicamente controversa, quella del TRANSFER, su cui ciascun allenatore dovrebbe attenzionare sé stesso e l’eventuale staff: un progetto di best practices e di come queste attività scelte per l’allenamento potrebbero essere TRASFERITE NELLA PARTITA. La domanda che ciascun allenatore dovrebbe avere ben chiara in mente ogni volta che si arrischia ad aprire la gabbia dei palloni prima della seduta sarebbe infatti: QUESTA ATTIVITA’ PROGETTATA PER L’ALLENAMENTO SI TRASFERIRA’ IN PARTITA? Perché OBIETTIVO DELLA PRATICA, stringi stringi,È IMPARARE E TRASFERIRE.

Di più. Non solo provare a trasferire ma anche VALUTARE se il TRANSFER sia avvenuto, in quanto sia APPRENDIMENTO che TRANSFER SONO AL CENTRO DELLA VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELLA PRATICA. STAFF e ALLENATORE DOVRANNO PER PRIMA COSA CONFRONTARSI quindi SUL SIGNIFICATO DI “BUONA PERFORMANCE.” Quali sono ad esempio i parametri che soddisfano la qualità della prestazione sia in allenamento che in partita? In sintesiavviare uncambio di prospettiva nel PENSARE L’ATTIVITÀ DI ALLENAMENTO ESATTAMENTE COME ATTIVITÀ DI TRANSFER. Diamo ormai per ASSIOMATICO il fatto chele attività progettate per l’allenamento dovrebbero essere SPORT-SPECIFICHE, collimare con quello che il giocatore vivrà in partita. MA CHI CI DICE COSA VIVRÀ EFFETTIVAMENTE IL GIOCATORE IN PARTITA? E di conseguenza, DI COSA AVRÀ BISOGNO IN ALLENAMENTO PER SENTIRSI ED ESSERE PRONTO e COMPETITIVO?

Molti i modelli a nostra disposizione, tutti scaturiti dal lavoro degli analisti; modelli predittivi numerici e algoritmici che non tengono conto del complesso, intrecciato insieme di fattori di origine altra, che influenzano le sorti di ciò che avviene sul tappeto erboso. Come scriveva l’amatissimo Daniel Dennett citato alcuni articoli fa in merito alla consapevolezza, esistono dei modi in cui le cose ci sembrano, i qualia si direbbe forse in fisica. Di questi modi ha distinto le qualità sommarie:

1.Sono ineffabili perché relativi solamente al soggetto che li esperisce, il quale non può dire agli altri come e cosa sta vedendo, sentendo ecc.

2. Sono privati poiché relativi al soggetto che li vive e pertanto non paragonabili con quelli di altri soggetti

3. Sono appresi istantaneamente dalla coscienza e diventano esperienze immediate

Le trasmissioni a commento delle partite del campionato di calcio e la scia di commenti che ne consegue sui social senza soluzione di continuità su comportamenti, scelte, gesti tecnici dei giocatori sono la prova inconfutabile che tutte le ore passate a discutere di fuorigioco si o no, di punizioni di tackle, colpi di testa e corner non ci hanno affatto chiarito COSA AVVIENE E COSA SERVE. Anzi, credo che da questo punto di vista si sia FRAINTESO MOLTO.

Sono emersi dei neuromiti, deduzioni avventate diventate poi prescrittive per il gioco alquanto discutibili. Specialmente quando applicate ai gruppi dei segmenti inferiori delle scuole calcio. Attività che tra l’altro non cambiano la sostanza e in particolare non inducono a quel SALTO DI QUALITÀ che un buon allenamento dovrebbe provocare, la stessa differenza cioè tra l’acqua calda quando è solo calda e quando arriva a 100°, quando diventa altro, quando diventa vapore come metafora Velasco, in uno degli inflazionatissimi video che girano sul WEB. E’ ovvio che le attività proposte dovranno corrispondere al MODELLO DI GIOCO CALCIO e non andare fuori tema.

Ma per “far evaporare l’acqua”, Mister e staff dovranno tuffarsi proprio nella pentola e andare a SETACCIARE L’AMBIENTE (inteso in senso lato) tenendo sempre in mente QUEI GIOCATORI. In tale ambiente dovranno abilmente acciuffare, secondo le prescrizioni di Edward Lee Thorndike e di una folta schiera di scienziati, pedagoghi e frequentatori quotidiani di cattedre, laboratori gatti e campi, quelle CARATTERISTICHE ESSENZIALI SIA DI AREA CHE DI DETTAGLIO utili per fare la differenza: elementi di percezione-azione, concettuali, rapidamente coordinativi, tecnici in situazione, strategici, ma in particolare COMPORTAMENTI ADATTIVI EMERGENTI.

MAI SCOPPIARE

In passato è stato messo un forte accento sulle abilità tecniche isolandole, scomponendo, rallentando e anatomizzando ogni gesto e siccome siamo uno strano paese sembra che queste nostalgie stiano purtroppo riemergendo. Intendiamoci, chi ha letto una cosa scritta in passato (LA TERZA STANZA ) sa quanto gli aspetti tecnici siano secondo me importanti per il gioco. Elementi da ripetere e ripetere in situazione e mai isolati per arrivare ad una buona base grammaticale su cui innestare l’analisi logica, lo scalino su cui stabilmente appoggiare il piede. Attenzione però: non con l’obiettivo di ricercare una pratica perfetta che non esiste, quel FISSO MODEL che mal si declinerebbe con il CAOS CALMO della partita, ma per ricercare le RELAZIONI tra i vari elementi che si potranno trasformare in opportunità durante il gioco: informazioni sullo spazio-tempo, indicazioni relativamente alla forza da imprimere, le sensazioni, i dettagli, tutti i coni d’ombra in cui la palla difficilmente circolerà, la FELICE COPPIA PERCEZIONE-AZIONE per un convincente ménage à trois, in cui l’agire di un giocatore è accoppiato inscindibilmente  alle informazioni che percepisce nell’ambiente. Ambiente reale e non artificiale, pieno di INPUT derivanti da tutti gli attori che in campo interagiscono e che stimoleranno soluzioni di movimento da portare in competizione.

E siccome la partita richiede al giocatore di RICERCARE LE FONTI DI INFORMAZIONE PERTINENTI per creare un’azione funzionale, allora anche l’allenamento dovrebbe essere rappresentativo dell’accoppiata che in partita accadrà in un’ottica di problem solving.

Le attività progettate e proposte in allenamento dovranno richiedere PROCESSI RISOLUTIVI SIMILI a quelli che il giocatore si troverà a risolvere in partita. Non chiediamoci solo, osservando i giocatori, se il tocco è stato efficace, ma anche se i giocatori hanno processato rapide adeguate soluzioni in base alle richieste della situazione. Se sono apparsi distratti, se si sono abbattuti facilmente, come hanno reagito alla frustrazione di un gol subito o di un dribbling perdente.  Queste osservazioni dovranno essere discusse dallo staff perché a volte capita di uscire soddisfatti da una partita o da un allenamento con risultati apparentemente convincenti e più tardi accorgersi che non è avvenuto adeguato apprendimento. Gli sport open in generale e il calcio in particolare sono attività TROPPO IMPREVEDIBILI CON ALTA VARIABILE

Quindi l’abilità osservata temporaneamente durante l’allenamento in un giocatore potrebbe non essere riprodotta in gioco in situazioni giudicate analoghe. Più affidabile ai nostri occhi potrebbe risultare LA VALUTAZIONE DELLE DIVERSE SOLUZIONI PRESE DAL GIOCATORE PER CIASCUNA RIPETIZIONE DELL’ESERCITAZIONE PROBLEMA. Una pratica che comunemente viene chiamata RIPETIZIONE SENZA RIPETIZIONE. Dato che mai eseguiamo lo stesso movimento esattamente allo stesso modo specialmente in una competizione, le nostre ripetizioni di pratica dovrebbero simulare questa VARIABILITÀ COMPETITIVA. La VARIAZIONE INTENZIONALE DELLE RIPETIZIONI DI PRATICA risulta un mezzo per migliorare il transfer in relazione al contesto competitivo.

E il TRANSFER a sua volta allena proprio questa VARIAZIONE INTENZIONALE DELLE RIPETIZIONI agendo sull’adattabilità a condizioni competitive dinamiche, stimolando lo sviluppo di uno schema più forte, migliorando l’apprendimento delle relazioni di movimento. Perché? Perchè cambia i parametri (forza, distanza, situazione, numero di compagni e avversari….) di quello schema di movimento. Saranno proprio questi errori di movimento (variazioni) la parte necessaria, indispensabile dell’apprendimento.  Nelle abilità di alta organizzazione difficili da scomporre il TRANSFER migliora quando il focus è diretto sulle zone del campo, sulla posizione di compagni e avversari, sul cercare aperture, su abilità sempre accoppiate.

Per questo attenzionare allenatori e staff e chiarire il concetto di PRATICA SCOMPOSTA diventa palesemente indispensabile.  Ad esempio sarà utile sperimentare l’accoppiamento alta velocità – coordinazione a scapito della precisione di un gesto e a favore della sua efficacia; evidenze dimostrano che nelle prime fasi di apprendimento l’enfasi sulla rapidità sviluppi proprio quell’accoppiata utile, essenziale nel gioco: chi mastica un po’ di Frans Bosh ad esempio condividerà il fatto che forza, velocità, agilità, resistenza, non potranno più essere interpretate ed allenate come entità separate ma interconnesse e i binomi forza e coordinazione, rapidità e coordinazione sono ormai considerate  e allenate come un’unità  inscindibile. Abbiamo perso troppo tempo a privilegiare la precisione e non la rapidità del movimento, indispensabile nell’ottica del gioco, anche a rischio di commettere errori e di perdere palloni.

Partendo poi dalla relazione tra processi cognitivi e movimenti oculari saccadici per arrivare al concetto ben più ampio della visione di gioco, una best practice da suggerire si basa su esercitazioni funzionali allo spostamento dell’attenzione all’interno delle situazioni sempre mutevoli del match, allo scopo di non perdere almeno i punti di riferimento e le posizioni degli avversari, specialmente quelli diretti nei momenti più ansiogeni e pressogeni dell’incontro. A volte i giocatori specialmente nella scuola calcio confondono il valore dei segnali o non riescono a cogliere le affordances che si aprono e si chiudono nell’ambiente. Non riescono a distinguere le zone più ricche di informazioni che emettono tali segnali.  Alcuni talenti veri, assetati di sangue invece comprendono subito l’aria da goal e si fiondano senza esitare. Ecco, come insegnare a fiondarsi con adeguato timing dovrebbe essere una decisa preoccupazione di mister e staff.

Mi auguro che questa prima parte di appunti sparsi sul TRANSFER per allenatori e staff possa servire come scambio di esperienze e opinioni. In alternativa, per la risoluzione di problematiche di squadra e affini potremmo sempre emulare il Don Vincenzo di Palmi riflettendo, ahimè, sulla scarsa professionalità e sullo spreco dei talenti dei giovani calciatori. STAY TUNED

BIO: SIMONETTA VENTURI

Insegnante di Scienze Motorie.

Tecnico condi-coordinativo in diverse scuole calcio e prime squadre del proprio territorio ( Marche )

Ha collaborato con il periodico AIAC L’Allenatore, con le riviste telematiche Alleniamo.com, ALLFOOTBALL.

Tematiche: Neuroscienze, Neurodidattica

2 risposte

  1. Articolo davvero interessantissimo. Che dovrebbe essere divulgato a molti operatori del sistema calcio. Nel mio piccolo, ho sempre pensato che gli allenamenti dovrebbero essere “disegnati” sulla base di quello che la nostra squadra ci manifesta, a livello di necessità; urgenze ed emergenze. Non mi piace parlare di “esercitazioni”; termine che mi ispira un senso militaresco o-nel migliore dei casi-mi dà l’idea di apparecchiare una tavola, per andare a provare una coreografia. Preferisco parlare di “proposte esperienziali”. Chiaramente libere; aperte; soggette al caos naturale e soprattutto imprevedibili nel loro sviluppo. Se sappiamo già perfettamente cosa andremo a vedere, molto probabilmente, stiamo appunto creando i presupposti per un’esecuzione fredda e distante da un contesto reale. Purtroppo tanti allenano sé stessi; cercando di mettere in mostra le proprie visioni e perciò anteponendo il proprio ego alle esigenze dei giocatori. Capisco che si tratti di un errore molto comune e spesso fatto in perfetta buona fede. Le rinnovo i complimenti per le riflessioni e la chiarezza espositiva.

  2. Grazie. Con i termini urgenze ed emergenze ha colto in sintesi proprio quello che ho provato a esprimere con le mie tante parole. Complimenti quindi a lei e buon lavoro

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