LA STORIA DI UNO DEI PIÙ GRANDI ATLETI ITALIANI DI TUTTI I TEMPI – SECONDA PARTE

Le immagini virtuali di un Balotelli premiato alla cerimonia del suo quarto pallone d’oro meritano ben più di una precisazione. Chi ha dato un’occhiata al mio precedente contributo del 4 Novembre scorso, ricorderà la carrellata di titoli individuali e di squadra ottenuti da un “Mario 2.0”, nel metaverso di una carriera leggendaria ma soltanto ideale. 

Qualsiasi appassionato coinclinazioni “romanticalcistiche” avrebbe auspicato alla fine del primo decennio Duemila, che l’anatema di un già rassegnato Josè Mourinho si fosse rivelato inconsistente: “tra cinque anni saremo ancora qui a domandarci quando maturerà Mario”.

Negli anni successivi non sono bastati né l’ascolto di Roberto Mancini, all’epoca coach del City che con Balotelli ha comunque centrato la Premier dopo quarantaquattro anni), né il tepore della mano di Cesare Prandelli in Nazionale: le risposte del giovane campione non si sono rivelate adeguate né consistenti nel corso delle successive stagioni.

L’accanimento (innegabile) con cui media e opinione pubblica si sono scagliati contro di lui, ha affondato le sue radici a causa di suoi atteggiamenti spesso sopra le righe, rispetto invece al rigore che si chiederebbe all’atleta concentrato sul suo percorso di crescita e di miglioramento. Balotelli ha così dissipato tante, troppe occasioni per arricchire il proprio personale palmares di titoli, ma prima ancora per ottenere affetto incondizionato da fans e followers: nel dibattito “Balo-centrico” è emerso un personaggio divisivo ed effimero, ancorato ad abitudini votate alla dispersione del suo talento puro, enorme, siderale.

Nella precedente puntata avevo “giocato” con uno schema alla Sliding Doors, in base al quale alcune parole, pronunciate nel momento giusto da un immaginario mental coach materializzatosi nello staff di Mister Prandelli, avessero compiuto la “magia” e attivato la mente del nostro Mario in un viaggio nel futuro, quasi a vedersi proiettato avanti negli anni successivi di carriera; purtroppo, non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa come orientare le vele della propria imbarcazione.

È frequente per gli atleti di ogni disciplina porsi domande che li portino a scavarsi dentro e ad affidarsi a professionisti che li possano aiutare a districarsi in mezzo a pletore di persone intenzionate in qualche modo a sfruttarne popolarità e peso economico: siamo chi frequentiamo e in effetti anche il buon Mario ha scelto con scarsa lungimiranza i personaggi da cui farsi attorniare. Ho utilizzato la parola “scegliere” perché quest’attività dovrebbe essere sinonimo di assunzione di responsabilità, di avanzamento nel processo, di crescita: si è rivelata invece nel tempo una costellazione di errori di cui non si è deciso di fare tesoro. La proiezione reale dell’ipotetica maglietta da me immaginata con motto “Dipende solo da me” si è così palesata con un più vittimistico “Perché sempre io”. 

Più in generale, la riflessione si estende alle doti che ogni ragazzo riceve fin da piccolo, da quelle grezze e ancora nascoste a quelle già cristalline e vivide, che fanno stropicciare gli occhi agli osservatori che si trovano al campetto. La serpentina in mezzo ad avversari più indietro nei rispettivi percorsi di crescita può fargli vincere da solo le partite, ma è la protezione del suo talento che consente al giovane di diventare una persona di successo, prima ancora che un calciatore.

Accanto alla classe, da proteggere con diligenza e cura, esiste un potenziale infinito cui ognuno può attingere: a questo serbatoio si accede soltanto allenando l’armonia fra “sé-razionale” e “sé-irrazionale” nella testa del ragazzo. Anche le caratteristiche fisiche più favorevoli possono infatti venire annullate in mancanza del lavoro quotidiano, dall’assenza di un atteggiamento compatibile e dalla carenza dell’attitudine da eterni studenti. Fin da piccoli, i futuri campioni vanno educati all’assunzione di piccole crescenti responsabilità e al lavoro costante, seguendo la metrica del passo quotidiano, anche impercettibile ma incessante, nella direzione di un individuato e ben definito obiettivo. Le consapevolezze, insieme alla pazienza, vanno allenate esattamente come la parte fisica, tattica e tecnica perché metaforicamente, “se sei nato povero non è colpa tua; se muori povero invece lo è”. 

Un efficace lavoro mentale chiarisce sempre le responsabilità da assumersi e consente di spiccare il volo, elevandosi anche in presenza di un talento più lento di altri nello sbocciare. Non c’è successo duraturo senza sacrificio e le possibilità di riuscita dipendono da quanto questo “prezzo” è sostenibile.

Bio: Francesco Borrelli è un Mental Coach certificato Acsi – CONI. Oltre alla Laurea in legge presso l’Università degli Studi di Genova, si è formato in PNL attraverso corsi e Master conseguiti nell’ambito di aziende private di cui ha fatto parte. Negli anni ha coltivato la sua passione per lo sport scrivendo per testate giornalistiche liguri, oltre a svolgere il proprio lavoro di consulente d’azienda in ambito bancario. L’attività di Mental Coach lo porta da diverse stagioni ad accompagnare sportivi impegnati a preparare Olimpiadi e Mondiali, oltre a calciatori di tutte le età, agevolandone i rispettivi percorsi e seguendone tutta la trafila giovanile fino all’approdo in prima squadra. Il suo sogno è condividere come Coach il suo ufficio a fianco alla “palestra delle leggende” di Milanello con Ibra.

Contacts: fraborrelli40@gmail.com / IG. fraborre24_ / https://www.facebook.com/healthybrainnutrition / 0039 328 6212598

4 risposte

  1. Balotelli si è perso lungo la via perché probabilmente non ha seguito le persone che erano lì per aiutarlo. Il lavoro quotidiano impercettibile e stanchevole fa davvero la differenza. È l’esempio del “potrebbe fare di più” , se manca l’applicazione diventa dura. Ma è vero quello che dici che è importante farsi circondare dalle persone giuste. Complimenti per l’articolo

  2. La sensazione dolceamara di quello scolastico “è bravo, ma non si applica”. Come lo vediamo il bicchiere, mezzo pieno per le capacità o mezzo vuoto per lo scarso impegno? Ai posteri…

    Grazie Vincenzo

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