18 MAGGIO 1994, MILAN-BARCELLONA 4-0: CRONACA DI UNA PARTITA PERFETTA

…ricordo il Genio mentre scavalca Zubizarreta/con mia madre sul divano a guardare Mazinga Zeta…

Questo è uno dei versi di “Gli anni d’oro”, pezzo del 2013 di Jake La Furia. La canzone è un inno alla gioventù del rapper e di tutti quelli che hanno vissuto, come lui, gli anni ‘80 e ‘90.

Jake La Furia

Jake La Furia è un noto tifoso milanista ed in quella canzone lo fa notare nel ritornello (“…gli anni d’oro del grande Milan/gli anni di van Basten e van Damme…”) e nella terza strofa riporta un momento molto importante della sua vita di tifoso, nonché un momento altrettanto importante per ogni tifoso milanista: la vittoria dei rossoneri per 4-0, il 18 maggio 1994, ad Atene, contro il Barcellona nella finale di Champions League.

Un trionfo non scontato ed una partita epica perché la squadra di Fabio Capello, dominatrice in Italia, si apprestava a vincere la sua quinta Champions League, riportando la “coppa dalle grandi orecchie” nella bacheca del club allora con sede in via Turati. E tra i momenti più belli non solo del match di Atene, ma della storia del calcio c’è proprio il momento in cui “[…] il Genio […] scavalca Zubizarreta”, ovvero con un incredibile gol, con un incredibile pallonetto, Dejan Savićević, il “genio”, ha trafitto il forte portiere blaugrana Andoni Zubizarreta per il 3-0 che ha chiuso definitivamente la partita.

Il Milan nella stagione 1993/1994 arrivava da due scudetti consecutivi, era vice campione d’Europa e del Mondo in carica, puntava a vincere il terzo scudetto consecutivo, ma voleva vincere la Champions e riportarla sulla sponda rossonera del Naviglio dopo quattro anni.

Il Milan a fine stagione vincerà il titolo con tre punti di vantaggio sulla Juventus seconda classificata, ma è in Europa che la squadra compie un’impresa. Nei sedicesimi, i rossoneri superano gli svizzeri dell’Aarau e agli ottavi hanno la meglio sui danesi del Copenhagen: se contro i campioni di Svizzera il passaggio del turno non fu agevole, contro gli scandinavi il Milan segnò sette reti tra andata e ritorno.

La fase finale vide le migliori otto squadre europee divise in due gironi da quattro, dove a superare il turno sarebbero state le prime due che poi si sarebbero affrontate in semifinali “incrociate” contro la seconda e la prima dell’altro girone. Inseriti nel girone B con Werder Brema, Anderlecht e Porto, Baresi e compagni vinsero il raggruppamento con un punto sui Dragoni. Nell’altro girone, la classifica vedeva Barcellona punti 10, Monaco punti 7, Spartak Mosca punti 5 e Galatasaray punti 2.

Le semifinali sarebbero state quindi Milan-Monaco e Barcellona-Porto: a spuntarla, rossoneri e blaugrana che si sarebbero affrontati nella finale secca di Atene.

Per il Milan quella sarebbe stata la settima finale della storia, mentre i catalani avrebbero giocato la loro quarta finale: quattro successi rossoneri, uno solo del Barcellona. L’albo d’oro era una sentenza.

Per la seconda volta, Atene avrebbe ospitato l’atto finale della “coppa dalle grandi orecchie”: la prima si giocò il 25 maggio 1983 e a vincere fu l’Amburgo contro la Juventus.

Arbitro dell’incontro l’olandese John Blankenstein, poi sostituito dall’inglese Philip Don.

I giorni prima della finale, ed il giorno stesso, furono caratterizzati da alcune interviste rilasciate dal tecnico del Barcellona, Johan Cruijff, che vedeva già la sua squadra vincitrice della coppa (con cui l’ex “Pelé bianco” si era anche fatto ritrarre). Come mai questa sicumera da parte del tecnico olandese? Innanzitutto il Barcellona di quel tempo era una delle squadre più forti del Mondo, già campione d’Europa due anni prima ed era una squadra completa in ogni reparto: il portiere Zubizarreta, Nadal, Amor, capitan Bakero, Begiristain, Koeman e Guardiola, solo per fare qualche nome.

E in più aveva un attacco guidato da due calciatori tecnicamente superiori e con soprannomi iconici: uno veniva chiamato “baixinho” per la bassa statura (Romario) e l’altro si faceva chiamare “Bog e Bulgarska” (“Dio è bulgaro”) perché aveva una smisurata considerazione di sé stesso, ovvero Hristo Stoichkov. La sicurezza di Cruijff veniva anche dal fatto che il Milan per la finale non poteva contare su due pezzi da 90 come capitan Franco Baresi e Alessandro Costacurta, squalificati. Senza il suo fortissimo capitano e senza il suo numero 5, per il Barcellona la vittoria sarebbe, nella testa del tecnico di Amsterdam, a portata di mano.

Peccato che la palla sia rotonda e che nel calcio non c’è mai da prendere sottogamba nessun avversario: a vincere la Champions è stato l’”underdog” Milan che si impose per 4-0. Per la seconda volta nella sua storia, il Milan vinceva la coppa europea per club più importante di tutte con quattro gol di scarto sull’avversario (la precedente, il 24 maggio 1989, proprio a Barcellona, contro la Steaua Bucarest finì 4-0).

Il Milan chiuse in vantaggio il primo tempo 2-0 con doppietta di Daniele Massaro, mentre al secondo minuto della ripresa salì in cattedra il “genio”: palla a centrocampo che da Albertini va verso Savićević, marcato da Ferrer. Il fantasista montenegrino supera il marcatore e si ritrova, sulla fascia destra, a ridosso dell’area di rigore.

Cosa decise di fare questo giocatore? Ricordandosi di essere il “genio”, fece partire un tiro-cross che si alzò a mo’ di arcobaleno sopra Zubizarreta e si insaccò in rete. Una rete fantastica, iconica, voluta e che chiuse di fatto il match. Undici minuti dopo Desailly calò il poker. Milan in paradiso, Barcellona all’inferno.

Dejan Savićević

Il pragmatico Capello aveva dato una lezione di calcio allo spavaldo Cruijff e ha dimostrato che le partite si giocano sempre in campo e non fuori rilasciando interviste piccate e piene di arroganza.

Ad alzare la Champions, in maglia bianca (perché così vuole da sempre la tradizione milanista nelle finali europee), Mauro Tassotti il più longevo per militanza in campo.

Mauro Tassotti, il capitano

Ma non solo lui: ottima fu la prestazione di Filippo Galli che non fece vedere palla a Romario e Stoichkov; Daniele Massaro si confermò sempre di più “provvidenza”; Marcel Desailly, bistrattato all’inizio da Cruijff, chiuse la contesa e bissò la vittoria europea della stagione precedente quando militava nell’Olympique Marsiglia; Demetrio Albertini si dimostrò ancora una volta il geometra del centrocampo rossonero; “Zorro” Boban avrebbe dovuto giocare con la maglia numero 10 anche lui.

E poi le ottime prove di Paolo Maldini, il “Capitan futuro” rossonero, Roberto Donadoni, Christian Panucci e “Seba” Rossi, che proprio in quel 1994 stabilì il primato di imbattibilità in Serie A (929 minuti) che era nelle mani di Dino Zoff dal campionato 1972/1973 (903’) poi, a sua volta, superato da Gianluigi Buffon nel campionato 2015/2016, portando il primato a 978 minuti, ovvero circa 10,87 partite senza subire reti.

Per l’allora presidente milanista Silvio Berlusconi terza vittoria europea in otto anni di presidenza e coppa che andava a chiudere in maniera trionfale i suoi primi cinque mesi del 1994 insieme alla vittoria, nel marzo precedente, delle elezioni politiche che hanno visto la sua “creatura” politica, Forza Italia, ottenere il 22% dei consensi in appena due mesi dalla sua nascita e portarlo a guidare il primo governo di centrodestra in Italia, con il giuramento davanti al Capo dello Stato otto giorni prima della vittoria di Atene.

A trent’anni da quella partita, di quella vittoria rimane impresso nella mente di tutti il grandissimo gol di Dejan Savićević, il “genio”, il giocatore ad intermittenza, quello che a volte si ricordava di essere un giocatore talentuoso, il lunatico. Ed ecco che dal cilindro, in una calda serata ateniese, ha mostrato di che pasta era fatto, facendo vedere a tutti quel talento incostante che aveva contribuito tre anni prima a far vincere la Coppa dei Campioni alla Stella Rossa Belgrado.

Quel Milan 4 Barcellona 0 è stata una grande pagina di calcio, un grande momento di sport e la volta in cui, nel calcio, Davide ha battuto Golia. La seconda partita perfetta nella storia del Milan (dopo Milan-Real Madrid del 19 aprile 1989 terminata 5-0 che rappresentò l’apoteosi del Milan di Arrigo Sacchi), il momento in cui Dejan Savićević ha esaudito i sogni di una tifoseria intera. E se da una parte c’era l’incarnazione (calcistica) bulgara di Dio, in maglia bianca c’era il “genio” che ha acceso la luce e ha segnato un gol irripetibile.

Ed il mondo per l’allora 15enne Francesco Vigorelli futuro Jake La Furia diventava bellissimo e, a distanza di anni da allora, rimpiange la sua gioventù mettendola in parole e musica. Soprattutto quel gol.

BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.

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