IL VALORE DI PROMOZIONE DELLO SPORT (E DEL CALCIO). 2^ PARTE

…Uno dei compiti dei formatori, anch’essi promotori e divulgatori, è quello di far capire alle giovani calciatrici ed ai giovani calciatori che nel contesto della loro disciplina non ci sono nozioni acquisite che rimangano forzatamente le stesse per anni.

Un caso frequente è la difficoltà di accettare un cambio di ruolo.

Premesso che parlare di “ruolo” nel calcio moderno appare anacronistico, schierare, di tanto in tanto, i componenti della squadra in posizione differenti dal solito è una fonte di arricchimento conoscitivo perché consente di comprendere i comportamenti da porre in essere in zone del campo diverse da quella abituale. L’effetto è quello di comprendere meglio i movimenti e le giocate dei compagni abituati ad agire in quelle zone o con quelle funzioni specifiche.

 L’aver agito (magari con buoni esiti) sempre da attaccante, ad esempio, non è buon motivo per rifiutare, o accettare di malgrado, in qualche occasione, il ruolo di difensore.

Così facendo, una volta tornato alla funzione abituale il giovane calciatore sarà in grado di interagire meglio con i miei compagni di difesa per aver a sua volta sperimentato i loro movimenti. Ciò lo porterà a comprendere in anticipo le loro giocate e/o a scegliere con maggior cognizione di causa il momento e il modo in cui proporsi a loro.

Gli esempi in tal senso, utili anche a scopo promozionale, non mancano.

Da Gianluca Zambrotta, convintosi, al rientro dopo un infortuni, ad arretrare la propria posizione sul terreno di gioco a seguito dell’acquisto di un altro giocatore (Camoranesi) impiegato nel suo ruolo originario insieme al quale da lì a qualche anno vincerà un campionato del mondo, ad Arie Haan, riciclatosi centrale difensivo in nazionale non potendo competere con il genio calcistico di Van Hanegem in mezzo al campo, e diventato un’icona della cosidetta “costruzione da dietro”, sono tanti i casi in cui l’accettazione del cambiamento ha portato vantaggi alle carriere di autentici campioni che, prima di allora, avevano comunque ottenuto ottimi risultati in carriera.

Argomentando al contrario, vale la pena sottolineare come Giuseppe Signori non abbia mai fatto mistero d’essersi pentito di aver negato la propria disponibilità ad agire in una posizione diversa dalla sua abituale durante il campionato del mondo del 94. “Non capita spesso” ha dichiarato più volte “l’opportunità di giocare una finale mondiale, tornassi indietro non avrei problemi ad accettare qualsiasi indicazione del mister”

L’opera di promozione del calcio in ambito tecnico-formativo non potrà esimersi dal preparare le giovani calciatrici e i giovani calciatori all’accettazione del cambiamento e alla mancanza di concetti inviolabili.

La promozione “di campo” non dovrà, tra gli altri, ignorare il messaggio che gli atleti inviano con i loro comportamenti durante la competizione agonistica. Da questo punto di vista la forza divulgativa dei professionisti, soprattutto della massima serie, è estremamente dirompente in virtù dell’enorme copertura mediatica dedicata agli impegni calcistici.

Ad oggi la serie A italiana rischia di non risultare promotrice in positivo in considerazione di tre problematiche che stanno sempre più inquinando il nostro campionato e che dovranno prima o poi essere “trattate” in maniera rigorosa.

Ci riferiamo, in primis, al malcostume di accerchiare il direttore di gara dopo ogni decisione presa.  Se è del tutto naturale rammaricarsi e lasciarsi andare ad un gesto di protesta in occasione di situazioni dubbie o “grigie”,  è inammissibile venga posto in essere un modus operandi che porta i calciatori a protestare a prescindere, pure in presenza di evidenti situazioni irregolari dagli stessi provocate. Il tutto con la speranza di condizionare le decisioni successive o di intimorire il giudice di gara e poter trarre vantaggio da uno stato di continua pressione.

Altrettanto fastidioso l’atteggiamento dei calciatori che tendono a circondare o avvicinare quest’ultimo nei momenti in cui è chiamato a rapportarsi con il var alle prese con l’analisi video dell’azione conclusa da poco.

In secondo luogo, andranno evitate quelle che ci azzardiamo a definire “le abituali scene da perdita di tempo” da parte dei componenti la squadra in vantaggio (o in costanza di risultato favorevole) in preda a “pandemia di crampi” di cui, viceversa, non soffrono mai quando sono nella condizione di dover rimontare.

Altrettanto malsano, sino ai confini della slealtà, risulta il comportamento secondo cui, al minimo tocco o sfioramento del tronco, i calciatori si portano le mani in faccia simulando colpi al viso o alla testa per effetto dei quali si chiede di interrompere il gioco (ovviamente quando la palla ce l’hanno gli avversari).

Per far si che il nostro calcio acquisisca un appeal superiore sarà necessario estirpare questi comportamenti, evitando in tal modo il proliferare del senso di emulazione che porta anche i partecipanti alle competizioni di serie inferiori a distinguersi in negativo.

Affinché il football possa contare su una promozione adeguata, le competenze dei formatori di campo dovranno accompagnarsi ad un’opera credibile di divulgazione.

Non è un mistero che il racconto calcistico si basi su un’elevata esposizione mediatica al punto che i pre e post gara coprono talvolta un tempo superiore a quello dell’intera partita.

Se a ciò aggiungiamo la moltitudine di testate, siti ed emittenti radio televisive che quotidianamente dibattono di pallone, risulta evidente come possano indirizzare, se non condizionare, le opinioni degli appassionati.

In seno a questo blog, abbiamo ridimensionato la portata di un luogo comune quale la definizione di “calcio semplice”, rilevando la molteplicità di variabili (di gioco, ambientali e logistiche) che fanno del calcio una disciplina tutt’altro che semplice.

Di frasi fatte e di concetti inflazionati ve ne sono molti da abbattere.

Lo stesso dicasi per la tendenza atta a far notare solo gli aspetti a conforto alla tesi che si vuole dimostrare.

Emblematico, da questo punto di vista, l’atteggiamento di chi, non amante della cosiddetta costruzione da dietro, tende a dare rilevanza ad ogni situazione in cui un errore tecnico commesso ad inizio azione comporti una rete subita, senza considerare tutti i vantaggi che quella concezione di gioco procura in favore di chi aderisce ad un’idea di costrutto e di possesso.

Ancora più fuorviante è la tendenza ad oscurare le situazioni in cui una compagine portata a “non costruire” subisce una rete a seguito di un atteggiamento contrario al palleggio e/o allo sviluppo collettivo dell’azione.

In alcuni casi trattasi di chiara disonestà intellettuale da parte di chi, a priori, vuole opporsi al cambiamento o, meglio, all’evoluzione del gioco. Un’autentica e viziata posizione dovuta al timore di dover “tollerare” un qualcosa di diverso rispetto a  quello che ha sempre visto e con cui è cresciuto.

In altri siamo in presenza di un oggettiva carenza di competenze con l’effetto di rendere basso il livello della divulgazione e di fornire un servizio di scarsa qualità agli utenti.

Anche l’esaltazione di alcuni aspetti può risultare controproducente rispetto all’intento promozionale.

Da sempre il pubblico è affascinato alle figure controverse, trasgressive, anticonformiste e ribelli. Negli ultimi tempi, tuttavia, complice il boom dello storytelling, si tende a dare un’importanza eccessiva all’aspetto della “non regolarità”. CONTINUA…

ALESSIO RUI E FILIPPO GALLI

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

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