LO SPIRITO DEL TIFO ITALIANO.

Questa volta è capitato a Maignan, nel corso di Udinese-Milan dello scorso 20 gennaio. È passato qualche giorno, ma gli insulti razzisti a danno del portiere rossonero, originario della Guyana francese, riecheggiano ancora. È l’ennesimo intollerabile episodio di una serie che sembra non finire mai, che continua ad indignarci ma che, purtroppo, ha smesso di stupirci.

Con cosa abbiamo a che fare? Con quale cultura del tifo? E che rapporto c’è oggi in Italia tra tifo e razzismo? SWG se l’è chiesto in un recente sondaggio, rivolto alla popolazione italiana +18enne, dai tifosi di questa o quella disciplina, ai più ‘freddi’ appassionati di sport, fino ai più disinteressati. I dati che vedremo evidenziano una forte e diffusa ambiguità di fondo. Cercano di dare un peso al fenomeno. E ci ricordano anche che circoscrivere la questione al solo mondo del Calcio sarebbe un errore. Che certe cose appartengono a una ‘cultura’ diffusa.

Partiamo da come gli italiani guardano al tifo nei luoghi dello sport. Stadi e palazzetti sono vissuti e intesi come contesti sregolati, dove tifo e passione giustificano tutto, oppure li vorremmo sempre educati, tolleranti e inclusivi? Bene, 8 italiani su 10 sposano questo secondo approccio agli eventi sportivi (almeno a parole): momenti di divertimento che non dovrebbero dare spazio ad alcun comportamento offensivo. Una confortante maggioranza.

Ma cosa pensa il restante 20%, che non è affatto poco? Che tifare dal vivo rappresenti un’occasione per sfogare lo stress, distrarsi dalle fatiche quotidiane, lasciarsi andare con intensità anche a comportamenti eccessivi e non leciti. Da qui in peggio se si guarda alla ‘tolleranza’ che abbiamo verso situazioni specifiche: per 1 su 2 insultare la propria squadra o il proprio campione per una performance negativa, intimidire gli avversari e attaccare l’arbitro sono elementi che, in qualche modo, appartengono all’essenza del tifo (con dati ancor peggiori tra chi segue il proprio sport dal vivo, non solo il calcio).

Rincariamo la dose e torniamo agli insulti a sfondo razziale. Qui le percentuali calano, certo, ma c’è poco da esultare. Per 1 italiano su 5 ululare e inveire contro un giocatore per la sua nazionalità, le sue origini etniche o il colore della sua pelle è sostanzialmente normale, fa parte del tifo e delle sue dinamiche. È più o meno la stessa quota di prima – pari a circa il 20% della popolazione – che intende il tifo dal vivo come un’esperienza catartica, ai limiti se non al di fuori delle regole.

E allora, quale antidoto? Di certo – e su questo siamo piuttosto ambivalenti – dagli sportivi ci si attende un comportamento esemplare. Secondo il 74% degli italiani, uno sportivo nell’esercizio del suo ruolo pubblico dovrebbe imporsi, reagire, cogliere al balzo gli episodi di discriminazione per sensibilizzare l’opinione pubblica, anche a costo di ricevere squalifiche. Dovrebbe fare, ad esempio, come ha fatto Maignan, e a seguire i suoi compagni: abbandonare il campo. Una scelta giusta e largamente condivisa dell’opinione pubblica (87%). Ma anche qui c’è chi minimizza e avrebbe preferito sorvolare (13%). E ancor di più, c’è chi ha appoggiato tanto la scelta di abbandonare il campo quanto quella di rientrare sul terreno di gioco: sono 2 italiani su 5, per i quali va bene la denuncia del fatto, ma in qualche modo the show must go on.

È comprensibile, non nascondiamoci: è stato un lungo viaggio, il biglietto è costato caro e quella partita la aspettavi da molto tempo. Ma allora ha ragione Mike, quando sul suo Instagram ci ricorda: “gli spettatori che erano in tribuna, che hanno visto tutto, che hanno sentito tutto ma che hanno scelto di tacere, voi siete complici”. Serve una sana e diffusa cultura del tifo, per non scaricare sugli atleti tutto il peso del razzismo.

BIO Alessandro Scalcon: 35 anni, sociologo di formazione, senior researcher dell’Istituto SWG. Cura indagini scenariali, osservatori valoriali e sondaggi d’opinione, in particolare su giovani, innovazione, sport, lavoro e ambiente. Svolge con regolarità ricerche a supporto di iniziative di comunicazione e posizionamento strategico. Si è occupato della generazione di contenuti editoriali data-driven tra gli altri per La Gazzetta dello Sport e La Repubblica. Da sempre cuore rossonero, appena può in Curva Sud al Romeo Menti di Vicenza.

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