ARGENTINA – CROAZIA – I DUE LIONEL: IL RACCONTO DELLA PARTITA.

Nella storia recente del Mondiale solo una squadra aveva raggiunto la finale dopo aver perso la prima partita della competizione:
La Spagna nel 2010, allenata da Vicente del Bosque, al quale, proprio dopo l’esordio infausto contro la Svizzera, erano state rivolte critiche pesanti riguardo il proprio operato, per aver apparentemente indebolito una squadra considerata imbattibile, reduce da un percorso che l’aveva vista primeggiare agli Europei del 2008.
Come le Furie Rosse nella spedizione sudafricana, così anche l’Albiceleste si apprestava a raggiungere il torneo in Qatar con il palmares rinnovato dal successo in Copa America nell’anno precedente, oltre a essersi presentata in uno stato di forma tale da valergli il titolo di papabile vincitrice ai nastri di partenza.
In pochi pensavano invece che, dopo la falsa partenza contro l’Arabia Saudita e la vittoria traballante contro il Messico, l’Argentina potesse recuperare così velocemente i fasti precedenti, che presto erano stati soppiantati dalle incertezze delle prime battute.
Quasi un mese dopo, la Seleccion riesce a conquistarsi la finale vincendo una semifinale tutt’altro che scontata contro la Croazia vice-campione del mondo in carica, ripresentandosi 8 anni alla partita conclusiva, dopo essere uscita con la medaglia d’argento nel 2014.
L’avversario, la Croazia, arrivava anch’essa da una finale persa, appunto quella dell’edizione precedente, e con uno storico invidiabile riguardante i tempi supplementari, che per 5 volte di fila ai campionati del Mondo l’avevano vista uscire imbattuta una volta terminati i 120 minuti, con annessa ultima vittoria ai rigori contro il Brasile, rivelandosi contendente seria per il titolo iridato.

Lionel Scaloni è primo testimone di questo cammino impervio, l’uomo che ha cambiato la storia sportiva dell’Argentina, riportandola a vincere un trofeo dopo decenni, l’allenatore più giovane partecipante a questo Mondiale, un tecnico amicale e benveluto dai propri calciatori, che sembra quasi non aver avvertito il cambio di ruolo dalla parte opposta della linea di bordo campo, sulla panchina:
Come da calciatore, così all’opposto si presenta da Commissario Tecnico; soprannominato “El Toro”, da interprete dinamico e grintoso che era, a meditabondo scacchista, ritratto spesso nelle immagini come teso e corrucciato, sempre preoccupato nel dover intavolare la mossa successiva e l’assetto ideale.
Non si smentisce di fatto nella semifinale contro i croati:
L’Argentina infatti si schiera in campo con l’ennesimo cambio in corsa, ossia con Leandro Paredes ad agire davanti alla difesa, anteceduto dalle tre mezze ali ormai stabilizzatesi al centro del campo, ovvero De Paul, Enzo Fernandez e Mac Allister.
Un centrocampista in più, quindi, per provare a imbrigliare la mediana avversaria composta dai soliti Brozovic, Modric e Kovacic, capaci di abbinare corsa, qualità in fase di rifinitura e sincronismi perfetti sia nel recupero palla, che nella proposta in fase avanzata; sicuramente i centrocampisti più completi in gara.
Dopo il fischio d’inizio il cambio non sembra sortire l’effetto voluto e ,di contro, la Croazia condurrà la prima mezz’ora da padrona del campo, mandando a vuoto la pressione del centrocampo argentino e schermando le sue eventuali controffensive.
L’episodio che cambia il volto dello scontro accorre in favore degli argentini a ridosso del 34esimo minuto, quando Julian Alvarez, il giocatore di cui più di tutti la Seleccion ha giovato dopo il suo innesto in rosa, viene lanciato in posizione regolare verso la porta difesa da Livakovic, il quale, preso d’anticipo, atterra il numero 9, causando il rigore.
Sarà Messi a trasformare il tiro dal dischetto, andando parimenti nella direzione del rigore calciato contro l’Olanda, sta volta però con un tiro potente che andrà ad infilarsi sotto la traversa, vanificando oltretutto la solita intuizione del portiere croato, dimostratosi un vero e proprio specialista nelle respinte dagli 11 metri.
La Croazia, forse dimentica di una situazione di svantaggio da tempo ormai non sperimentata, abbassa ulteriormente la guardia, venendo beffata dall’ennesima scorribanda di Alvarez, il quale, dopo una corsa di 60 metri palla al piede e due rimpalli vinti a ridosso dell’area di rigore, batterà l’estremo difensore croato con un tocco di punta in anticipo, mostrando nuovamente doti incredibili nello sfruttare gli errori avversari, sui quali è solito avventarsi ferocemente per poi concludere con freddezza, come nel caso del gol segnato all’Australia negli ottavi di finale.
La Croazia, uscita completamente dallo schema predisposto, viene stravolta dal CT Dalic a inizio ripresa con gli ingressi di Vlasic, Orsic e Petkovic, nel tentativo di fornire quella presenza in area di rigore necessaria per ribaltare un risultato ormai compromesso.
Non doma l’Argentina, memore della rimonta subita contro l’Olanda a seguito del doppio vantaggio, continuerà a riversarsi in avanti sfruttando le lacune di una Croazia sbilanciata, come evidenziato dallo scambio repentino tra Messi ed Enzo Fernandez al limite dell’area, non concluso dal numero 10, ostacolato dal rimbalzo sfavorevole del pallone.
Saranno solo le prove generali prima del definitivo coup de théâtre che concluderà l’opera, merito dello stesso fenomenale e impareggiabile istrione:
A venti minuti dalla fine sarà infatti Messi a decidere di involarsi da metà campo con un tocco d’esterno a superare Gvardiol, opponente illustrissimo per stato di forma e caratura, portandosi verso l’esterno dell’area; in seguito, attendendo lo sfidante, lo trarrà in inganno con una prima sterzata sul piede forte, facendo intendere la classica giocata per liberare il mancino, poi una piroetta sulla linea di fondo campo a favorire invece l’ingresso sul destro; infine uno sguardo in mezzo per servire l’arrivo del compagno e concludere l’azione più spettacolare della competizione. Doppietta di Julian Alvarez, anch’egli in stato di grazia e partita chiusa.
Saranno pochi e velleitari i tentativi della Croazia per tentare recuperare, con soltanto una grande chance avuta da calcio d’angolo, sprecata da Lovren; dì lì in poi sarà esibizione albiceleste , che potrà concedersi anche qualche rotazione in vista del turno conclusivo.
È una sconfitta pesante quella rimediata da Modric e compagni, soprattutto a seguito dell’incoraggiante avvio di gara, condizionato da due pesanti errori consecutivi della retroguardia. Non finisce comunque qui il mondiale croato, di fatti essi avranno ancora a disposizione la finale per il terzo posto, così da poter ripetere l’esperienza ai mondiali del 98 (primo mondiale per il paese dell’Ex Jugoslavia) terminato con la medaglia di bronzo, rendendo meno amaro il sogno sfumato di poter vendicare la finale persa nel torneo del 2018.
Un trionfo totale invece quello argentino, culmine di un percorso ribadente l’importanza della crescita collettiva e del superamento progressivo degli ostacoli da parte di un gruppo che, oltre al consueto talento, ha dimostrato l’attitudine al cambiamento e al costante innesto di nuovi interpreti, formazioni e assetti cangianti, a dar prova di un CT pienamente in possesso delle redini della squadra.
Servirà dunque un’ultima invenzione di Scaloni e certamente un’ennesima prodezza dell’altro Lionel, quello in campo, per poter riportare finalmente, dopo 36 anni, l’Argentina sul tetto del Mondo…

2 Responses

  1. Una partita che nei primi venti minuti la Croazia fa la partita. Un rigore che non sto a dire se c’era o no, spiana la strada agli argentini ,giocando all’italiana in attesa e contropiede. Non e stata una delle più belle Argentina, dove emerge il fuoriclasse Messi. Non trovo giusto paragoni con Maradona . Ognuno è fatto in modo unico. Messi è Messi e Maradona e Maredona. La partita ha detto, secondo me ,che la Criazia senza un vero bomber ,,avrebbe avuto difficoltà. Grazie per l’attenzione

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