MILAN LEGENDS: JOSÉ ALTAFINI, L’ATTACCANTE DAL PIEDE CALDO CHE ODIAVA IL FREDDO

Il nostro racconto inizia dalla Toscana, da Firenze.

Nel 1958 il Brasile aveva organizzato una tournée di preparazione in vista di Svezia 1958 in Italia. Al Comunale era in programma Fiorentina – Brasile, nella quale Pelé, O Rei in fieri, non giocò. Ciononostante, il Brasile passeggiò sul campo toscano vincendo 4 a 0.

Si narra che in quella occasione Garrincha, scartati tutti i giocatori viola come birilli compreso il portiere Sarti, avesse aspettato il ritorno furibondo di Robotti, difensore viola, per umiliarlo con un altro dribbling, prima di depositare con un lieve tocco la palla in rete. I suoi compagni di squadra non apprezzarono la protervia di Garrincha e l’Uccellino dovette sorbirsi il rimprovero del capitano Bellini e di Milton Santos. A segno andarono anche Pepe e un ventenne, un tale che in patria chiamavano “Mazola” per via di una somiglianza con il grande Valentino.

Stiamo parlando di José Joao Altafini, leggenda del Milan.

I dirigenti della Roma colpiti per le sue prestazioni contro i Gigliati e contro l’Inter, amichevoli entrambe vinte dai verdeoro per 4 a 0, furono a un passo dall’acquisto del ragazzone di Piracicaba, ma un telegramma proveniente da Milano riportava un’offerta superiore a quella dei giallorossi e così Mazola finì a Milano. Al Palmeiras andarono 158 milioni di lire (più un milione da dare ad un fantomatico intermediario, che fornì alla dirigenza il segretissimo numero di telefono del presidente del club paulista).

Gipo Viani, nel ruolo di emissario rossonero, potè apprezzare nel mondiale svedese le doti tecniche di quella mezzala divenuta attaccante, dove segnò una doppietta all’Austria (due dei quattro gol segnati con il Brasile) nella partita inaugurale della Selecao. Durante la competizione il vecchio Feola gli avrebbe spesso preferito Vavà, considerando il giovanotto svagato e distratto dalla futura vita milanese, di cui avrebbe tanto amato la città, un po’ meno il freddo pungente.

Lui le temperature basse proprio non le sopportava. Fu in Svezia che il direttore tecnico intuì che Altafini era anche un furbo  patentato e il brasiliano ebbe modo di capire da subito che con Viani non sarebbe mai nato un rapporto cordiale e sincero.

Arrivò a Milano con un certo Marchesoni, uno zio lontano che avrebbe dato filo da torcere ai dirigenti rossoneri. Molti anni dopo Altafini commentò quella decisione, per così dire, epocale ed antesignana:”Se ci pensate sono io che ho inventato il procuratore, colui che o giocatori professionisti incaricano di litigare al posto loro con i dirigenti della società.”

Il suo esordio in campionato fu il 21 settembre 1958 a Milano contro la Triestina, il suo primo gol rossonero in Serie A contro il Bari, sempre tra le mura amiche, nel 4-2 finale. A fine stagione arrivò il settimo Scudetto del Diavolo e fondamentale fu il contributo di Mazola alla causa: furono ben ventotto le sue reti.

Non era un centravanti di sfondamento, non era Nordahl. Per certo non era dotato del coraggio dello svedese e Gipo Viani, che non gli risparmiava frecciatine e dispettucci, lo aveva soprannominato “il coniglio”.

Era sempre lontano dai colpi duri degli avversari ma sapeva sempre dove posizionarsi per cogliere impreparata la difesa avversaria. Nella stagione numero due di Altafini, 1959/1960, il Milan finì terzo in campionato e uscì dalla Coppa dei Campioni contro il Barcellona con il risultato complessivo di 1 a 7 per i catalani. Altafini segnò trentanove reti, uno in più dell’anno precedente. Buontempone, sapeva sempre tirare sul morale dei suoi compagni, soprattutto dopo le sconfitte. Una volta apparve tutto nudo, con un nastrino rossonero legato alle parti intime pronunciando parole eloquenti:”Attaccamento ai colori sociali.”

Un’altra volta si nascose nudo nell’armadietto di Liedholm e uscì gridando come un forsennato.

Anche nella stagione 1960-1961 Mazola non fece mancare il suo contributo, ancora una volta con trentotto marcature, anche se il Milan non riuscì a mettere in bacheca nessun trofeo. La squadra continuò il processo di ringiovanimento, con alcuni calciatori provenienti dalla nazionale olimpica che aveva disputato il torneo a Roma. Intanto sulla panchina arrivò Todeschini, in tandem con Viani.

Durò poco, l’anno dopo fu già il momento del Paron, Nereo Rocco. Con il coriaceo triestino in panchina arrivò l’ottavo titolo nazionale con una grande rimonta nel girone di ritorno, nel quale il Milan fece 31 punti sui 34 disponibili e Altafini fu capocannoniere con ventidue reti, in coabitazione con il viola Milani. Ma fu la stagione successiva quella che consacrò José leggenda rossonera. I suoi quattordici gol furono fondamentali per la prestigiosa vittoria della Coppa dei Campioni culminata nella finale di Wembley contro il Benfica di Eusebio, detentore del trofeo. Dopo aver chiuso il primo tempo in svantaggio, fu proprio il brasiliano a firmare la doppietta che ribaltò il match, su due assist di Gianni Rivera. Per il Milan e per il calcio italiano fu il primo successo nella competizione, la rivincita dopo la delusione del campionato mondiale in Cile, che Altafini disputò con la maglia azzurra.

Nella stagione 1963/1964 i rossoneri chiusero terzi alle spalle dell’Inter e del Bologna che vinse lo spareggio scudetto contro i nerazzurri. Il cammino dei rossoneri nella massima competizione europea finì ai quarti di finale, eliminati dal Real Madrid, conseguenza della disastrosa prestazione in Spagna. Discutibile fu l’esito della tripla sfida di Coppa Intercontinentale contro il Santos di Pelé. Dopo il 4 a 2 di San Siro, l’arbitraggio truculento, come scrisse qualcuno, dell’argentino Brozzi favorì il ritorno dei brasiliani che pareggiarono il conto dell’andata e che a più riprese intimorirono il povero José. Il Santos vinse poi il replay per 1 a 0 con il rigore di Dalmo. Altafini segnò nella sfida di ritorno uno dei suoi trentotto gol stagionali, ma nel frattempo il rapporto con Viani era ormai ai minimi storici. Inevitabile fu l’addio, le cui ragioni sono state spiegate non molto tempo fa in un’intervista al Guerin Sportivo :”Gipo Viani ce l’aveva con me. Quando il Milan perdeva una partita, lui entrava nello spogliatoio e dava la colpa a me. Tanto che una volta un compagno, Amarildo, si inalberò dicendo: “Ma come, date sempre la colpa a lui?”. Così a un certo punto io feci un’annata bruttissima perché non stavo a posto, non ero tranquillo, e così chiesi di andare via. Ci fu una trattativa con la Juventus che però non piacque al presidente Felice Riva. Così alla fine approdai al Napoli. Ma andai via non perché ce l’avessi col Milan: ce l’avevo con quel dirigente.”(FONTE https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/l-intervista/2021/12/19-5032178/milan-napoli_i_ricordi_di_jose_altafini).

Altafini proseguì la sua carriera al Napoli dove si trovò a giocare al fianco di Omar Sivori. La squadra era appena salita in Serie A e l’argentino, ambizioso com’era, aveva paura di dover giocare per salvare la squadra.

Si sbagliava.

Gli assist di Sivori e i gol di Altafini proiettarono il Napoli nelle zone alte, scatenando l’entusiasmo di un popolo che ogni domenica riempiva lo stadio e che seguiva gli Azzurri in trasferta.

Con la maglia del Napoli Altafini segnò 97 reti in 234 partite.

Nella stagione 1972/1973 Mazola si accasò con la Juventus e i tifosi del Napoli non glielo perdonarono definendolo cuore ingrato.

La verità è che ad Altafini non fu chiesto di restare nella società partenopea e lui fu libero di scegliere una nuova squadra.

Con la maglia bianconera disputò 119 partite segnando 37 gol che furono pesanti, decisivi per la conquista di due scudetti, tra i quali  quello della Fatal Verona, tristemente noto ai tifosi rossoneri, della stagione 1972/1973. Fu proprio un gol di Altafini a pareggiare i conti contro la Roma e a portare tutte le squadre in lizza per lo Scudetto, Milan, Lazio e Juventus, a pochi minuti dalla fine a 44 punti. Il Diavolo crollò e perse per 3 a 5, i biancocelesti soccombettero al Napoli mentre il gol di Cuccureddu regalò il titolo alla Juventus.

José Joao Altafini chiuse la carriera in Svizzera giocando fino alla veneranda età di 41 anni.

Dopo il calcio giocato è stato un commentatore sportivo, originale e divertente, che ha smesso a causa di una gelida trasferta in Ucraina, una sera durante la quale la temperatura era scesa a 18 gradi sotto lo zero. “Stavo malissimo, un freddo bestiale. Ho dovuto dire basta alle telecronache perché non ce la facevo più ad andare in giro così. È stata colpa del freddo, non della stanchezza.”

Altafini ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio italiano.

È a pieno titolo una leggenda del club rossonero con il quale ha segnato 161 gol in 246 partite, quarto nella classifica all-time del Milan.

Con il Milan ha vinto due Scudetti (1958/1959; 1961/1962) e una Coppa dei Campioni (1962/1963).

È stato anche campione del mondo con il Brasile in Svezia.

BIO: VINCENZO PASTORE

Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.

Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.

Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”

Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.

2 risposte

  1. Buongiorno Vincenzo e buongiorno a tutti. Bellissimo articolo su uno dei più forti calciatori del Milan e non solo. Io purtroppo ho visto solo molte immagini ma quando era alla Juventus era ancora in grandissima forma. C’è un’azione a San Siro contro il Milan (credo il 18 Febbraio 1973, ma non ne sono sicuro), dove Altafini va via in contropiede da centrocampo e viene sgambettato al limite dell’area da Schnellinger: ecco, in questa azione a 33 anni, mostra la sua forza e la sua classe. Pensare che Viani lo abbia fatto fuori 8 anni prima, mi viene da chiedere quanto avremmo vinto con lui, Prati e Rivera. Certo abbiamo avuto un altro grande come Sormani, ma Altafini, sia a Napoli che a Torino, ha dimostrato di essere ancora estremamente valido. Visto che era il periodo di Felicino Riva, approfitto per ricordare, che nonostante la sua presidenza sia stata piuttosto controversa, non è peggiore dell’attuale. Grazie.

    1. Gran bell’articolo Vincenzo sul monumentale José Altafini, Chapeau! Nel tuo scritto mi ha colpito quel suo gol che fece agguantare il momentaneo pareggio contro la Roma nella tragica domenica Rossonera della fatal Verona nel Maggio 1973. In quello stesso pomeriggio il sottoscritto si trovava, radiolina a transistor con auricolare in mano, nella casa dei suoi futuri suoceri per chiedere la mano della loro figlia e che solo un anno dopo ci portò a convolare felicemente alle nozze. Fu una giornata dolce amara, ma fece seguito, e ringrazio il Cielo, mezzo secolo di gioia e serenità, tanto nel Diavolo quanto e soprattutto nel nostro menage!
      Un caro abbraccio.
      Massimo 48

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