MEMORIE DI UN AZIENDALISTA PENTITO

Lo ammetto, fino a un certo punto ci ho creduto. Ho creduto nella potente rete di partnership di RedBird, nella forza del mercato americano, nel fatturato raddoppiato, nell’esperienza di Ibrahimovic, nella magia di Furlani con i numeri. Vorrei spiegarvi che cosa avevo visto e che cosa poi è arrivato: come su Wish

Sono stato un aziendalista convinto, come si dice adesso. Cioè ho creduto (preciso: in buona fede, senza averne vantaggi, senza conoscere anima viva in società) che – pur facendo rimpiangere l’immenso e scomodo Maldini (su di lui un discorso serio andrà fatto, prima o poi) – il nuovo assetto proprietario e manageriale avrebbe potuto darci delle soddisfazioni. Era assurdo pensarlo? Io credo di no: alcuni presupposti c’erano e non si sono realizzati. O sono io che ho voluto vederli?

Avete presente quel meme che dice “Quando lo vedi su Wish – Quando ti arriva a casa”? Ecco, a me è capitata una cosa simile con il management del Milan. E vorrei spiegarvi perché. Siete pronti? Partiamo con il primo esperimento di analisi calcistico-societaria con il metodo Wish.

Cardinale su Wish – Il sogno americano

Gerry Cardinale ha studiato ad Harvard (laureandosi magna cum laude) e si è perfezionato a Oxford, probabilmente le due università più prestigiose al mondo. Poi ha lavorato per vent’anni a Goldman Sachs (una potentissima banca d’affari americana) fino ad arrivare ai massimi livelli. Nel 2014 ha lanciato RedBird Capital Partners, un fondo che oggi gestisce attività per circa 12 miliardi di dollari (non un’enormità nel mondo della finanza americana, ma pur sempre 12 miliardi), concentrandosi – cosa importante – in pochi settori: sport, media e un po’ di finanza. Ha investito, fra l’altro, in Fenway Sports Group (che a sua volta investe nel Liverpool e nei Boston Red Sox), in Yes (il network televisivo che trasmette le partite dei New York Yankees), nella United Football League (insieme a Wayne “The Rock” Johnson), in Springhill Company (insieme a LeBron James), in Artist Equity (insieme a Ben Affleck e Matt Damon). Insomma, le premesse erano più che buone: far parte di un network internazionale di iniziative legate a sport e spettacolo, con il supporto di alcune celebrity planetarie, non poteva che portare visibilità, nuovi fan, diritti tv, merchandising, magliette di Christian Pulisic vendute in quantità esorbitante, quindi soldi, soldi da investire nel Milan per renderlo sempre più forte. E il paradosso è che dal punto di vista del fatturato le cose sono andate incredibilmente bene: fra il 2014 e il 2021 il Milan ha fatturato circa 200 milioni di euro, senza mai un sussulto; l’ultimo bilancio (2023-24) è di 457 milioni, record storico, in utile per il secondo anno consecutivo (molto del merito, certo, va alla gestione Elliott). Bravo, Gerry. Il futuro è roseo: Milan, marketing, magliette, miliardi.

Scaroni su Wish – Il peso massimo della politica

L’enigmatico Scaroni non è uno qualunque, bensì un manager di grandissima esperienza: è stato amministratore delegato di Enel (dal 2002 al 2005) e di Eni (dal 2005 al 2014). Per darvi un’idea di che cosa siano Enel e Eni, vi dirò che oggi hanno rispettivamente 61mila e 32mila dipendenti e che fatturano rispettivamente 95 e 88 miliardi di euro. Miliardi. Per capirci, il club più ricco d’Europa, il Real Madrid, ne fattura circa uno. Quindi Paolo Scaroni è un manager abituato a occuparsi di aziende enormemente grandi e complesse, capace di dialogare con la politica, di negoziare con capi di Stato non sempre benevoli (l’adagio popolare dice che “Dio si è divertito a mettere il petrolio sotto le dittature”). Pensate che cosa può fare nella piccola e provinciale politica del calcio italiano, o anche in quella più scivolosa della Uefa, o nelle beghe del Comune di Milano con i suoi comitati “No tutto”, uno che è abituato a parlare con Putin. Provo quasi pietà pensando a quei piccoli provinciali di Marotta e Lotito, cucinati a fuoco lento da questo gigante della negoziazione. Torneremo a essere temuti e rispettati, è ovvio.

Furlani su Wish – Il mago dei numeri

Arriviamo finalmente al nostro amministratore delegato. Giorgio Furlani si è laureato alla Bocconi di Milano e ha conseguito un MBA (master in business administration) ad Harvard. Ha lavorato in alcune banche d’affari e poi, nel 2012, è approdato al fondo Elliott, guidato da Paul Singer, dove si è occupato proprio dell’acquisizione del Milan in seguito al mancato pagamento di una fideiussione da parte di Yonghong Li. Successivamente, da membro del consiglio di amministrazione in rappresentanza di Elliott, ha collaborato al risanamento finanziario della società. Lo abbiamo sentito parlare fluentemente in inglese e in francese nel corso di alcune interviste. Di certo, abbiamo pensato che potesse essere la persona giusta a mantenere l’ordine nei conti di una società che proveniva da un periodo di grande caos finanziario, ma anche che la sua esperienza, capacità di analisi e freddezza maturate ai massimi livelli in ambito finanziario potessero essere di grande aiuto nelle trattative per i giocatori. La sua idea, infatti, sembra essere quella di un team molto collaborativo e “permeabile” che affronti tutte le decisioni principali, anche quelle di carattere sportivo, con un metodo collegiale. E proviamolo, questo metodo!

Ibrahimovic su Wish – Esperienza e carisma

Zlatan Ibrahimovic, lo ricordiamo, è un operating partner del fondo RedBird: cioè un membro del fondo, che si occupa operativamente di sovraintendere alle società partecipate dal fondo in un’area nella quale ha una forte competenza. È una cosa normale, tipica del private equity. “Zlatan è la mia proxy”, aveva detto Cardinale il 24 febbraio 2024 durante un summit del Financial Times. La parola “proxy” indica proprio questo, un delegato, qualcuno che agisce per conto di qualcun altro. Infatti, aveva proseguito Cardinale, “Ibrahimovic mi rappresenta a Milano, dal momento che sono negli Stati Uniti”. Ibrahimovic, pur con i suoi difetti, conosce e apparentemente ama il Milan per averci giocato due volte, e quindi – piaccia o no – resta un rappresentante credibile (e l’unico disponibile al momento) del “milanismo” da tramandare ai nuovi giocatori, conosce il calcio italiano (ha giocato anche nella Juve e nell’Inter), conosce il calcio internazionale per avere giocato in molti club di vertice. Se usata bene (innanzitutto da lui stesso) la sua esperienza, la sua sensibilità sulle dinamiche di squadra e di spogliatoio possono giocare un ruolo prezioso, specie in un club privo di un direttore sportivo.

Fin qui la parte positiva: non ho inventato niente, ho citato numeri e fatti. Certo, ho aggiunto le conclusioni che senza eccessivo sforzo si sarebbe potuto trarre su ognuna delle figure manageriali. Diciamo che nella “forchetta” (come dicono i sondaggisti) ho scelto di sposare l’ipotesi migliore. Le cose non sono andate come auspicato: pertanto, avanti con il worst case, ovvero il pacco di Wish quando ti arriva a casa.

Cardinale quando ti arriva a casa – Chi l’ha visto?

Gerry Cardinale ha preso una squadra fresca di scudetto pagandola 1,2 miliardi di euro. Ne ha pagati cash 650 milioni e ha ottenuto un prestito da Elliott (si chiama vendor loan, prestito del venditore) per i restanti 550 milioni al tasso del 7 per cento. Il prestito sarebbe scaduto nell’agosto del 2025, ma nel 2024 Cardinale ha versato 170 milioni di nuova liquidità e ha rinegoziato la restituzione della quota restante (480 milioni) allungando la scadenza al 2028. Fin qui tutto bene, sono normali operazioni finanziarie. Ma questa struttura finanziaria ha acceso qualche dubbio su chi sia il vero padrone del Milan: non solo Gordon Singer (figlio di Paul, fondatore del fondo Elliott) siede nel consiglio di amministrazione del Milan: anche un altro consigliere (Dominic Mitchell) è espressione di Elliott. Ma, di più, il Ceo, Giorgio Furlani e il Cfo, Stefano Cocirio, provengono da Elliott: anche se oggi non rappresentano legalmente il fondo e sono a tutti gli effetti dipendenti del Milan, è evidente che l’influenza di Elliott è molto profonda. Poi uno pensa male.

Nel frattempo, il nuovo proprietario ha pensato bene di licenziare Maldini e Massara come primo atto della sua gestione, senza rimpiazzare né l’uno né l’altro, in nome della famosa gestione collegiale. In tutto questo, le sue presenze a Milano si contano sulle dita di una mano: nemmeno la finale di Coppa Italia lo ha indotto a comprare un biglietto di business class per un volo New York-Milano. Male, Gerry, malissimo: non credi che ci dovresti qualche spiegazione, specie essendo tu un investitore esperto proprio nel mondo dell’entertainment? Intrattienici un po’ di più: qui siamo molto tristi.

Scaroni quando ti arriva a casa – Cosa fa, per conto di chi?

Scaroni è effettivamente il nostro rappresentante in Lega Serie A. Però non risulta che il Milan goda particolarmente dei favori del Palazzo, della Lega, dell’Uefa: al contrario, sembra che gli arbitri godano (loro sì) particolarmente nel mostrarsi coraggiosi e indipendenti nei confronti di una storica big del calcio quando arbitrano il Milan, non altrettanto quando arbitrano altre squadre di cui non facciamo il nome. La vicenda del rinvio di Bologna-Milan del 26 ottobre 2024 sancisce definitivamente che il Milan non conta niente: in Lega si vota e la maggioranza decide per un rinvio inspiegabile, che complica il campionato e altera completamente l’impatto delle squalifiche. Tornando al Bologna, la dolorosa simmetria fra la gomitata di Beukema a Gabbia (niente, si gioca) e quella di Gimenez a Mancini (rosso!) ci dicono senza ombra di dubbio che se non c’è una persecuzione nei confronti del Milan, di certo non c’è grande attenzione.

Ma allora che cosa ci sta a fare, Scaroni? “Lo stadio”, rispondono molti con riflesso pavloviano e sguardo assetato di giustizia, come se costruire uno stadio fosse necessariamente una cattiva azione e non un investimento che porta stabilità finanziaria, posti di lavoro, soprattutto comfort e sicurezza per i tifosi (tutti i club importanti ne hanno costruito uno recentemente). Abbiamo un problema, però: quale stadio? Ne vedete uno? Ne vedete uno all’orizzonte? Sono iniziati i lavori? Vedete le gru svettare come le braccia di Simone Inzaghi a ogni fischio contrario? La domanda, quindi, resta: perché Scaroni non usa il suo potere politico-economico per tutelare il Milan? E che cosa fa, allora, oltre a rispondere in modo inadeguato e imbarazzante ogni volta che viene intervistato (l’ultima è stata “Boban non sa di calcio”)? La sensazione è che – presidente con la proprietà (non ridete) di Yonghong Li, con quella di Elliott, con quella di Cardinale – sia stato messo a guardia del fortino, ma francamente non si capisce di quale fortino e soprattutto da chi.

Furlani quando ti arriva a casa – Il decisore furioso

Vista da fuori, la sensazione è che Giorgio Furlani si sia enormemente sopravvalutato, fino al punto di pensare di poter fare a meno di un direttore sportivo perché, in fondo in fondo, c’è già lui. In secondo luogo – attenzione, il punto è sottile – Furlani non è un manager: chi lavora nei fondi ha un approccio molto tecnico, verticale, altamente specializzato, è più portato a vedere numeri che persone: fare il capo di un’azienda, invece, significa certamente continuare a vedere quei numeri, ma anche saper gestire persone, dai manager di primo livello, ai dipendenti, fino a quei dipendenti così speciali che sono i calciatori. Significa saper comunicare con le persone, motivarle, tenerle agganciate a un progetto. Qual è l’esperienza di Furlani in ambito propriamente manageriale? Temo che la risposta sia: “Nessuna”.

C’è poi un altro punto piuttosto dolente: a chi risponde, veramente, Furlani? La prova regina di una gran confusione in società si è avuta durante la scelta del famoso direttore sportivo, di cui finalmente i vertici rossoneri avrebbero capito l’importanza. Come ricorderete, nel periodo fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo Cardinale e Ibrahimovic in persona incontrano alcuni candidati: Andrea Berta, Igli Tare, Fabio Paratici. Il processo decisionale sembra essere piuttosto avanzato, come è giusto che sia, dal momento che una squadra va costruita in largo anticipo e al Milan ci sono parecchie decisioni da prendere. Poi, improvvisamente, secondo la stampa il 5 marzo Furlani vola a New York, incontra Cardinale e chiarisce che ogni decisione deve passare da lui. Un dipendente, insomma, delegittima pubblicamente il suo datore di lavoro. Ve lo immaginate, in un’azienda normale? Io no. Oltre a ciò: Furlani si intende di direttori sportivi più di Ibrahimovic, che ha tanti difetti (ci arriviamo fra poco) ma almeno è un uomo di calcio da tutta la vita? È più che giusto, insomma, che il Ceo voglia dire la sua, ci mancherebbe: ma per farlo non c’è bisogno di smontare tutto il lavoro fatto. È sufficiente dire: “Vorrei incontrare le persone che avete visto, magari quelle che vi sembrano più adatte, magari il candidato migliore, visto che la firma la metto io”. E invece da questa vicenda, ancora una volta, emerge il ritratto di una società in cui le linee di comando e di riporto non sono affatto chiare. E intanto il direttore sportivo non è arrivato, Furlani più che fare ha disfatto: e se ora – come pare – davvero arriverà Igli Tare, il nome che poteva essere scelto mesi fa senza tante prove muscolari all’interno della società, sarà un ulteriore prova di disorganizzazione, non un successo.

Una cosa, comunque, è certa: se Furlani è, come dice, il decisore finale di tutto, è lui il primo a dover liberare l’ufficio dopo un’annata che più sciagurata non poteva essere, con due allenatori, due mercati, risultati sportivi (ed economici, di conseguenza) che pagheremo molto salati il prossimo anno quando, fuori dalla lucrosa Champions League, dovremo fare qualche sacrificio che già i giornali anticipano con voluttà.

Ibrahimovic quando ti arriva a casa – “Sono il boss”, e scompare

Ibra era partito benino, con una conferenza stampa in cui aveva annunciato Fonseca. Poi di nuovo con una conferenza stampa in cui aveva presentato Fonseca e annunciato Morata, connotandosi dunque come responsabile ultimo dell’area sportiva. Poi lunghe assenze, abbastanza inspiegabili, qualche ricomparsa come se niente fosse, qualche sparata fuori luogo (“Sono il boss, gli altri lavorano per me”: col senno di poi,pensate come avrà apprezzato Furlani), infine il famoso giro di incontri con i possibili Ds, di cui abbiamo già parlato, stroncato dalla sortita del Ceo. L’impressione, insomma, è che Ibrahimovic – ultimamente molto defilato – paghi colpe sue e colpe non sue: le colpe sue consistono nell’essersi esposto molto senza un adeguato tirocinio (Maldini, per capirci, aveva imparato molto da Boban), rivelandosi in definitiva inadeguato per il compito che lo aspettava; le colpe non sue risiedono nella scarsa chiarezza dei ruoli e delle gerarchie: è più importante lui, che rappresenta la proprietà, o Furlani, che firma i contratti (e forse rappresenta qualcun altro)? Combinandosi, lo stile grossolanamente machista di Ibra e il terreno insidioso della governance aziendale hanno prodotto una miscela esplosiva, di cui ha fatto le spese il Milan e noi con lui. Se ci aggiungiamo l’epurazione di Ignazio Abate, che avrebbe dovuto guidare il Milan Futuro, e la scelta di Jovan Kirovski come sport development director (in pratica il direttore sportivo dello stesso Milan Futuro, retrocesso), un americano a occuparsi di Serie C, il quale infatti non si è accorto che Camarda non aveva le presenze necessarie per giocare i playout, la frittata è abbastanza completa. Intanto al momento sembra che il derby interno sia stato vinto da Furlani: Ibra è ricco e famoso, troverà altro da fare, magari rimanendo nell’orbita del fondo RedBird.

In conclusione

Resto dell’idea che il progetto del Milan americano (il secondo Milan americano, per la precisione) avesse forti potenzialità: connessioni e partnership con squadre e celebrity, opportunità di marketing senza precedenti, fatturato in crescita, metodi innovativi, lo stadio da costruire, il tutto per produrre una squadra ogni anno più forte. Ma tutto è andato storto e, con il senno di poi (bravi voi se lo avevate capito), prevalentemente a causa di una governance non chiara, con due padroni (anche se tecnicamente il Milan è tutto di RedBird, se si è fatto prestare dei soldi sono fatti suoi), due pseudo-manager diversi ed entrambi inesperti (a voler essere benevoli), due linee gerarchiche. Se ci pensate, ricorda molto l’anno in cui il Milan aveva due amministratori delegati, Adriano Galliani e Barbara Berlusconi (anche in quella occasione c’era uno stadio da costruire), con due staff e due uffici stampa che non comunicavano fra di loro. Alla fine Silvio – che quantomeno era di certo l’unico proprietario – sacrificò la figlia e scelse Galliani, vecchio compare di troppe avventure per poterlo liquidare a cuor leggero.

E questa volta come finirà? Difficile dirlo. Cardinale è sempre convinto del suo investimento? Se non lo è, potrebbe vendere, rimborsare Elliott e fare spazio a un nuovo azionista, magari inizialmente di minoranza. È il sogno di molti, che già vedono Paolo Maldini rimesso in sella da qualche potente fondo arabo. Io, avendole fin qui sbagliate tutte, mi limiterò a osservare. E a tifare Milan, sempre.

BIO: Luca Villani è nato a Milano il 31 gennaio 1965. Giornalista professionista, oggi si occupa di comunicazione aziendale e insegna all’Università del Piemonte Orientale. Tifoso milanista da sempre, ha sviluppato negli anni una inspiegabile passione per il calcio giovanile e in particolare per la Primavera rossonera. Una volta Kakà lo ha citato in un suo post su Instagram e da quel momento non è più lo stesso.

7 risposte

  1. Redbird li conosco. Lavoro nel campo finanziario. Sono trasformisti e detengono il Milan per un debito…detto tutto.
    Furlani un contabile immanicato e topolino di archivio. Non un manager. Sono un manager da oltre 25 anni e le persone e gli interlocutori vanno gestiti.
    Moncada uno scout che gioca con le statistiche che nel calcio non valgono quanto nel baseball perchè il calcio è sport di squadra.
    Ibra gran giocatore ma manager in erba e molto arrgonte.
    Allenatori sbagliatissimi da subito e chi ne capisce lo sapeva. In Italia serve gente capace, competente e con passione. 
    Tra tutto evidenzio poche cose fondamentali.
    Manca professionalità e capacità di comunicare con manager che sappiano lavare i panni spoirchi in casa.
    Disastro comunicazione. Dilettanti. I casting eterni tra calciatori e DS e liti in campo dicono tutto.
    Passione. Assente. Solo contabili e arroganti tesi a tenere il sedere sulle porltrone.

  2. Buongiorno Luca e buongiorno a tutti. Articolo molto “articolato” ed interessante. A “pelle” Cardinale non mi ha mai convinto:”Berlusconi 2.0″ come si è definito, poteva scegliere solo una persona come Ibra, molto lontano dallo stile Milan. È apprezzabile la sua ammissione (di Luca intendo), di essersi sbagliato.
    Purtroppo tutti, dalla proprietà ai dirigenti, prima se ne vanno meglio è
    Attenzione, non la squadra, che se pur costruita male, è a mio avviso la seconda “rosa” del campionato. Giocatori della potenzialità di Pulisic, Rejinders, Theo e Maignan non li ha nemmeno l,’Inter in quei ruoli; poi i cugini complessivamente sono più forti. Questa proprietà è un disastro, più di Felice Riva e Giussy Farina e a proposito di quest’ultimo, l’errore grosso ed unico è stato l’acquisto di Paolo Rossi, perché per il resto aveva fatto un buon lavoro. Questa dirigenza interviene sempre male in tutto. Ritorno di Maldini?. Si, ma non come uomo mercato, perché, seppur in buona fede (e questa credo sia una cosa di famiglia, visto anche il suo papà), Paolo Maldini ha fatto alcuni errori grossi. Piuttosto credo possa essere un ottimo presidente con incarichi “attivi”, ma il mercato lo devono fare i professionisti come….Sartori.
    Chiudo con un’altra valutazione sulla rosa: i giocatori più sacrificabili sono Leao e Maignan: il primo perché è arrivato al massimo dele sue potenzialità ed è facile sostituirlo, il secondo, pur essendo tra i migliori portieri che abbiamo avuto (a parte Albertosi, Cudicini e Compiani), può essere ceduto per un’ottima cifra e rimpiazzato con un profilo come Carnesecchi. Tutto questo è come sempre un parere personale ed ampiamente discutibile. Grazie

  3. Visione molto interessante ed argomentata. A parer mio sorvola su un aspetto determinante e cioé la completa assenza di empatia tra dirigenza e tifosi, elemento chiave nella vittoria dell’ultimo scudetto ed in generale nei successi delle squadre di calcio. Trovo anche necessario un chiarimento su Maldini perché sembra ormai che non ci sia altro se non lui come alternativa all’attuale proprietá…. C’é vita anche oltre Paolo!!!!

    1. Massimo,
      rispondo qui. Purtroppo l’empatia coi tifosi ce la siam o giocata almeno dal 2019.
      Oggi nell’occhio del ciclone ci sono Cardinale e Furlani e Ibra, nel 2019 c’erano Elliott, Gazidis e Boban e Maldini.
      A me rimane il sospetto che la prospettiva “americana” sia indigesta ad un sistema che non tollera ingerenze e forze trasversali: da quando è arrivato Elliott il Milan è oggetto di attacchi mediatici non indifferenti e difficilmente casuali.
      Maldini è lo strumento che viene usato per aizzare i tifosi l’uno contro l’altro.
      Io sono convinto che il 125mo compleanno sia stato organizzato proprio per cercare una pace almeno mediatica. Ma per fare la pace bisogna essere in due

  4. Buongiorno Luca,
    Condivido ogni singola parola della lucidissima ed esaustiva analisi che ha fatto. Giusto per aggiungere carne al fuoco, direi che, tra gli elementi che all’inizio poteva farci sperare, c’era la volontà di Redbird di cambiare il mondo del calcio, introducendo l’uso di algoritmi. Il Moneyball si era detto. Qualche colpo iniziale ci aveva fatto illudere (vedi Kalulu), ma dopo un po’ ho capito che anche questa era tutta propaganda, come lo stadio.
    Sogni per il futuro: nuova proprietà e Maldini al comando. Così non è più Milan.

  5. Articolo condiviso in pieno.
    Basterebbe dare il Milan ai milanisti.
    Nuova proprietà, più voci da far sentire nei palazzi.
    Maldini, Boban, Tassotti, Filippo basterebbero per onorare quello. He non è di qualsiasi proprietà ma è nostra.
    La MAGLIA sempre forza vecchio cuore rossonero

  6. Buongiorno, forse perche’ di aziende ho una certa esperienza fatico a definirmi aziendalista. Probabilmente dipende anche dalle premesse di valore che ciascuno di noi si porta dietro, io sono stato pessimista sulle nostre prospettive fin dal giorno dell'”avvento” di Elliott. Ammetto infatti, ad esempio, di non aver goduto piu’ di tanto per lo scudetto del ’22. “Casuale” pensavo tra me e me, mentre pur festeggiavo, il 22 maggio (…) di 3 anni fa. Purtroppo, il tempo mi ha dato ragione. Troppi interessi strumentali e personalistici, troppe manovre, troppi soggetti esogeni allo Sport (sia pure professionistico) si sono aggrappati sulla pelle del Milan e dei suoi tifosi. Non faccio sconti a nessuno, tra gli “interessati” ci metto perfino Maldini, che dopo lo scudetto doveva dimettersi. Cardinale, che sta a Singer come la Spal sta al Liverpool, e’ stato la logica conseguenza di quel modo di pensare e di operare… Ma i problemi vengono da lontano, l’ultimo ventennio (2006-2025) e’ stato il peggiore del Milan dal dopoguerra, in termini di risultati. Non e’ un’opinione, sono numeri di coppe e scudetti. Se si guarda bene e si e’ obiettivi, il declino e’ iniziato con la sconfitta di Istanbul… Speriamo ci voglia meno tempo per ridare ai milanisti l’orgoglio di tifare Milan

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