BILANCI IN ATTIVO, ANIMA IN PASSIVO: IL MILAN NELL’ERA RED BIRD

Maggio 2023. Consegno la mia tesi alla University of Westminster (Londra), incentrata sull’espansione del brand AC Milan negli Stati Uniti. Un lavoro nato da un’esperienza personale: un anno di studio in New Jersey, a soli trenta minuti da New York, durante il quale ho vissuto dal vivo l’amore per i colori rossoneri nella Grande Mela. Quell’anno, il 2022, vincemmo lo Scudetto. Io ero ottimista, e lo sono stato anche quando Gerry Cardinale è arrivato con RedBird Capital Partners. Non ero entusiasta, certo, perché sapevo benissimo che RedBird è un fondo di private equity: acquisiscono aziende sottovalutate, le ristrutturano, le rendono profittevoli e poi le rivendono. Non lo fanno per amore, lo fanno per rendimento. Ma allo stesso tempo ero consapevole che, nel calcio, il valore economico di un club non può crescere senza risultati sportivi. Non si può avere una cosa senza l’altra, e per aumentare il valore di una squadra serve necessariamente anche la competitività in campo.

E in effetti, qualcosa di straordinario è stato fatto. Dall’abisso delle perdite record nel bilancio 2017-2018, chiuso con un rosso consolidato di 126 milioni di euro, al ritorno alla sostenibilità e persino all’utile, la parabola economica del Milan è stata un esempio emblematico in Europa. Prima con Elliott Management, poi con RedBird, il club ha risanato i conti, chiuso due bilanci consecutivi in utile e raggiunto un risultato netto positivo di oltre 4 milioni di euro nel 2023/24.. Giusto dare a Cesare quel che è di Cesare: dal punto di vista commerciale, hanno azzeccato quasi tutto. Dal merchandising agli eventi internazionali, fino alle collaborazioni con brand iconici come gli Yankees, il Milan è tornato a respirare un’aria da grande club globale.

Tuttavia, non tutto è stato perfetto. Durante questo percorso di rinascita, sotto la direzione tecnica di Paolo Maldini, il Milan ha lasciato partire a parametro zero giocatori di grande valore come Donnarumma, Kessié e Çalhanoğlu, rinunciando così a possibili entrate da cessione stimate in circa 150 milioni di euro. Un errore strategico rilevante, che ha sollevato dubbi sulla gestione patrimoniale del club in quella fase, soprattutto in un contesto in cui ogni risorsa avrebbe potuto accelerare ulteriormente il processo di crescita. Eppure, sarebbe ingiusto fermarsi a questo. Perché proprio Maldini, con la sua autorevolezza e il suo legame profondo con la storia del Milan, ha rappresentato un elemento chiave nella costruzione di un’identità forte e coerente, contribuendo in modo decisivo a riportare il club al vertice del calcio italiano con lo Scudetto del 2022, e a rendere il progetto sportivo credibile anche a livello europeo.

Eppure, nonostante tutto questo, oggi il Milan appare fragile. Perché un club di calcio non è solo un’azienda. È una squadra, una comunità, una cultura. E se è vero che la sostenibilità economica è fondamentale, è altrettanto vero che senza risultati sportivi tutto il resto perde valore. La mia preoccupazione – condivisa da tanti tifosi – nasce dall’approccio gestionale adottato dopo l’acquisizione di RedBird. I tifosi criticano apertamente la direzione intrapresa, perché si avverte una frattura tra la proprietà e la realtà quotidiana del club. I ruoli chiave sono stati affidati a persone senza esperienza: Zlatan Ibrahimović, pur essendo stato un giocatore straordinario, è stato catapultato in un ruolo dirigenziale senza alcuna formazione o affiancamento. Lo stesso vale per Geoffrey Moncada, oggi responsabile del mercato dei trasferimenti senza un background consolidato ne una idea precisa di cosa vuol dire calcare il suolo di San Siro e il peso che esso porta, e Giorgio Furlani, che da esperto di finanza si è trovato a gestire un club dimenticando che non basta saper fare calcoli con la calcolatrice: serve visione, empatia e conoscenza profonda delle dinamiche calcistiche. In quale altro settore si affiderebbe un ruolo di leadership così cruciale a qualcuno senza un percorso formativo o un’esperienza adeguata? Come diceva Albert Einstein: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi su un albero, passerà tutta la vita a credersi stupido.” Nel calcio, mettere le persone sbagliate nei ruoli sbagliati produce risultati scadenti, non perché siano incapaci, ma perché non sono nel contesto adatto.

Il Milan oggi è il risultato di una gestione che ha scelto di sacrificare figure centrali come Paolo Maldini e Frederic Massara, due dirigenti che avevano costruito la squadra dello Scudetto e portato il club in semifinale di Champions. È innegabile che i successi recenti siano legati al loro lavoro. La loro estromissione è stata un errore strategico grave, che ha lasciato un vuoto evidente nel rapporto tra squadra e tifosi, e anche nel supporto quotidiano ai giocatori. Ciò che manca ora non sono solo i risultati in campo, ma anche quella visione sportiva che sapeva camminare di pari passo con la disciplina finanziaria. Quando si ignora l’anima sportiva del club, l’azienda perde il suo significato più profondo. Ecco perché, oggi, è lecito chiedersi: quando la strategia finanziaria inizia a compromettere il successo sportivo?

L’acquisizione del Milan da parte di RedBird, accolta inizialmente con fiducia e curiosità, rischia oggi di rappresentare un esempio emblematico di gestione disallineata rispetto al contesto culturale e sportivo in cui il club è radicato. La mancanza di una reale comprensione del mercato calcistico italiano e delle sue dinamiche sociali, un processo di americanizzazione forzata e superficiale, decisioni dirigenziali discutibili e risultati sportivi al di sotto delle aspettative stanno progressivamente erodendo quell’equilibrio – fragile ma prezioso – che era stato ricostruito con fatica negli anni precedenti. Più che un semplice cambio di proprietà, è sembrato un cambio di identità, portato avanti senza ascolto, senza empatia e senza una visione autenticamente integrata con la storia e i valori del club.

Il rischio più grande non è perdere una partita o una stagione, ma perdere la propria identità. Perché i bilanci possono tornare in rosso e poi risanarsi, ma un legame spezzato tra un club e la sua gente è molto più difficile da ricostruire. Il Milan non ha bisogno solo di profitti, ha bisogno di un’anima. E l’anima non si compra: si coltiva, si protegge, si onora.

BIO: Omar Rochdi
Nato a Melzo (MI) il 22 luglio 1998, Omar Rochdi ha 26 anni e attualmente vive a Hong Kong, dove sta frequentando un Master in FinTech. Laureato in International Business alla University of Westminster di Londra, ha sviluppato un forte interesse per l’innovazione digitale applicata al mondo finanziario.

Appassionato del Milan da sempre, ha vissuto la fede rossonera anche all’estero, partecipando attivamente alla vita dei Milan Club di Londra e New York, città in cui ha vissuto e studiato.

Nel tempo libero ama viaggiare, entrare in contatto con nuove culture e imparare costantemente qualcosa di nuovo.

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