L’inchiesta andata in onda due giorni fa sul programma “Le Iene” ha mostrato ancora una volta il volto più marcio del calcio professionistico italiano: quello in cui bastano delle mazzette in contanti per “comprare” un posto da calciatore in una squadra di Serie C, B o persino A.
Un sistema inquinato, che svende merito, talento e fatica al miglior offerente. Ma la domanda più scomoda è un’altra: davvero ci stupiamo?
In un’Italia calcistica dove l’indignazione dura giusto il tempo di un titolo di giornale, molti di coloro che oggi gridano allo scandalo sono gli stessi che — da anni — alimentano un sistema parallelo di riciclaggio e opacità nel mondo dilettantistico. Dove si pagano rimborsi fuori da ogni logica, dove le società diventano strumenti di copertura, e dove i contanti girano più veloci dei palloni.
Non esistono reati di Serie A o di Serie B. Non esistono “reati minori” solo perché accadono lontano dalle telecamere. Un illecito è un illecito, a prescindere dalla categoria. E il problema principale è che in troppi hanno ormai accettato l’illegalità come un elemento “necessario” per sopravvivere o, peggio ancora, per crescere.
Non è così.
Non lo è mai stato.
Ogni illecito che serve a ottenere un vantaggio competitivo, economico o sportivo è una macchia indelebile sulla credibilità del nostro calcio. Non esistono scorciatoie giuste, non esistono vie traverse per amore del progetto. Esiste solo una netta distinzione: chi vuole bene al calcio, e chi no.
Il sistema ha bisogno urgente di una svolta. Serve una classe dirigenziale nuova, che non sia più espressione di equilibri politici, clientele o rendite di posizione. Serve gente con visione internazionale, con capacità di ascolto, con competenze trasversali che uniscano sport, economia, cultura e legalità. Serve qualcuno che abbia il coraggio di mettere mano a tutto ciò che oggi si preferisce ignorare.
Perché la verità, per quanto scomoda, è questa: il vero scandalo non è l’inchiesta andata in onda. Il vero scandalo è che nessuno si è davvero sorpreso.
E se questo non ci fa più indignare… allora forse il calcio italiano è già morto.

BIO: LUCA LUISI
Professionista del settore sportivo, specializzato in pianificazione strategica, sviluppo degli asset dei club e gestione finanziaria, ambiti in cui ha maturato esperienza anche grazie a un percorso parallelo nel settore creditizio. Laureato in Economia e Direzione d’Impresa con specializzazione in Management dello Sport, ha collaborato con realtà nazionali e internazionali, contribuendo alla crescita e alla sostenibilità dei progetti sportivi. In possesso della qualifica di allenatore UEFA C, ha completato il Master Executive in Management del Calcio organizzato da SDA Bocconi in partnership con la FIGC. Il suo approccio è orientato alla creazione di valore e allo sviluppo strategico dei club. È autore di due pubblicazioni dedicate al calcio e al management sportivo.
3 risposte
Anche se sono juventino da sempre – nonostante le mie 87 primavere seguo il calcio con la stessa passione dell’età giovanile- devo purtroppo condividere le considerazioni e i giudizi sui gravi mali del calcio attuale. Il Dottor Luisi Luca – appassionato tifoso tifoso del Milan , che con la Juve è stata e lo è ancora la seconda miglior squadra Italiana, ha sottolineato con acume e attenzione i problemi che caratterizzano la vita del nostro sport più importante in questo critico periodo . Spero che gli “ Addetti ai Lavori “ facciano tesoro dei suggerimenti e mettano in atto al più presto i necessari rimedi . Il Calcio è molto importante per il sano sviluppo di nostri giovani. Questa realtà non può e non deve essere dimenticata.
GALANTUOMINI UNIAMOCI
Si è scritto molto in merito alla vicenda ” Bagni ” ,occupando, e a mio giudizio mai abbastanza, anche l’informazione stampata e televisiva nazionale. Di contro, è stato assordante il silenzio delle istituzioni calcistiche, di qualsiasi livello e rappresentanza. Quello che mi preme sottolineare è che questa volta a essere pescato con le mani nel sacco, non è il solito pesce piccolo, che comunque non avrebbe modificato di una virgola il mio atteggiamento, ma un personaggio illustre. E questo dovrebbe far riflettere molto perché evidentemente costoro se lo fanno è perché sono certi non solo della compiacenza generale, ma dell’assoluta impunità. Non sono così ingenuo dal pensare che questa ridondanza mediatica possa da sola risolvere il degrado del calcio italiano. Questo declinare sempre più verso una situazione deplorevole si argina in un solo modo: organizzare dal basso un grande movimento che faccia pulizia di tutti i loschi personaggi che gettano fango su tutto il settore. Lasciatemi dire un’ultima cosa. Mi sorprende e mi amareggia, specie da parte di chi rispetto per persona perbene, l’assumere un atteggiamento di rassegnazione. Mi astengo nel reiterarare il mio pensiero nei confronti di coloro che hanno liquidato la questione con una semplice alzata di spalle (” di cosa ci meravigliamo, è così che funziona “). Non condivido e basta. Aggiungo solo che è molto pericoloso questo atteggiamento. Il mio intento è invece quello di appellarmi ai galantuomini del calcio: non consegniamo definitivamente e in modo irreversibile i nostri giovani nelle mani di questi lestofanti.
Probabilmente è una pratica molto diffusa, che non risparmia nessuna categoria e che, come giustamente è stato sottolineato, è la solo la punta dell’iceberg del degrado del calcio italiano.
È troppo comodo prendersela con I genitori, che sicuramente hanno le loro responsabilità.
Ma se non ci fossero presidenti, direttori e allenatori compiacenti, per non dire degli autentici lestofanti, probabilmente il circuito si interromperebbe.
Poi, è chiaro che la differenza la fa persona. E non credo che tutti abbiano i titoli per scandalizzarsi.
E questa già è la prima differenza.
Il calcio italiano è nel pieno di un’emergenza etico-morale, educativo-culturale, metodologico-didattica, istituzionale-rappresentativa.
Esse sono tutte facce della medesima medaglia di un corrotto sistema che va cambiato al più presto, pena il definitivo precipitare in un punto di non ritorno.
Non passività, ma pieno sostegno a chi ha il coraggio, come Filippo Galli, di opporsi a questo stato di cose.
Si cominci ad assumere una posizione individuale pubblica.
Già questo sarebbe un segnale.
È GIUNTO IL MOMENTO DI RIBELLARSI.
Ecco l’articolo tocca il punto fondamentale che ho pensato dopo aver visto il servizio delle iene.
Che si indigni l’uomo del bar ci sta. Ma da dentro non esageriamo com l’indignazione, dai. È tutto all’ordine del giorno e alla luce del sole.
Poi non significa che non ci siano persone per bene, un compagno di squadra di Bagni al Napoli anni fa rifiutò davanti ai miei occhi di proporre il proprio figlio a una squadra di C, perché secondo lui non aveva abbastanza fame.
E solo d’accordo anche con l’appello finale, temo però che ormai le riforme e i manifesti di principi non bastino e ci voglia una purga.