IL VALORE DI PROMOZIONE DELLO SPORT (E DEL CALCIO). 1^ PARTE

Proseguiamo con questo contributo l’analisi dei valori introdotti nella Carta Costituzionale a seguito della modifica dell’art 33 dello scorso 20 settembre.

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Oggi è la volta del valore “di promozione”,  probabilmente il meno considerato tra le novità introdotte con la recente modifica in quanto ritenuto, a torto, poco inerente all’aspetto di campo. L’attività svolta all’interno dei luoghi dell’allenamento e delle strutture sportive ci dimostra che non è così. Prestando un’attenzione particolare  alle dinamiche calcistiche vi proponiamo alcune tracce “promozionali”.

Il valore di promozione dell’attività sportiva, divenuto di rango costituzionale dopo la modifica dell’art 33, è quello più variegato e foriero di cambiamento tra quelli enunciati nel dettato del nuovo comma del suddetto articolo.

Il significato del termine “promuovere” (dal latino pro-movere) sottende l’intento a far progredire un contesto mandando un impulso, o meglio, sollecitando l’avvio di un’attività e/o un’attitudine che si ritiene possa migliorare l’ambito di riferimento.

La promozione dell’attività è uno degli aspetti più importanti, ancorché più delicati, considerata l’elevata quantità di situazioni (di campo, istituzionali, mediatiche ecc.) presenti nel sistema sportivo.

Rapportandoci all’ambito calcistico la promozione potrebbe sembrare un concetto poco rilevante considerata l’enorme popolarità di cui il football gode. In realtà, proprio l’elevato numero di persone interessate (per passione, per attività di campo, perché addetti ai lavori) al mondo del pallone impone un’attenzione massima al modo con cui l’attività viene promossa.

L’approccio al valore promozionale sconta da sempre un equivoco di base rappresentato all’eterno dilemma se sia l’attività degli sportivi d’elite a dover fungere da traino per la base o se sia quest’ultima a rappresentare il fulcro da cui pescare i campioni.

Non vi è motivo per preferire una delle suddette visioni; la promozione sportiva deve seguire il solco di una corrispondenza biunivoca in continuo divenire tra base ed elite. Non esiste alcun atleta di spicco, nemmeno il più dotato e precoce, che non abbia trascorso un periodo di formazione. Allo stesso modo è inimmaginabile che un movimento possa progredire senza una visibilità che attragga chi  non ne fa parte o non ne conosce le prerogative.

Si è oramai conclusa l’epoca in cui il campione di riferimento trascinava da solo una massa di seguaci. Gli esempi di Panatta e degli eroi della Davis, che negli anni 70 portarono al proliferare dei circoli di tennis, di Tomba, che negli anni 80 portava fiumi di persone nelle piste da sci, si sono ripetuti con Pantani, che ha indotto a fine secolo molti italiani ad acquistare la bici da corsa, e con Valentino Rossi che ad inizio millennio ha riportato passione ed interesse verso i motori sino al ripopolamento delle piscine negli 2010 quale conseguenza dei trionfi della “Divina” Federica Pellegrini.

Allo stato delle cose questo meccanismo, che vediamo in questi giorni rinnovarsi grazie alla imprese tennistiche di Sinner e compagni, non è più l’unico idoneo a sviluppare l’interesse intorno ad una o più discipline.

Ne sono riprova il calcio femminile, che continua ad aumentare esponenzialmente il numero di giovane tesserate nonostante i risultati poco brillanti della nazionale, ed il padel, vera novità sportiva dell’ultimo triennio, arrivato a contagiare molti italiani pur in assenza di un atleta connazionale nei primi del mondo.

Base ed elite devono muoversi collaborando nella promozione dell’attività sportiva.

Troppo spesso assistiamo a contrapposizioni interne con lotte intestine tra leghe professionistiche e dilettantistiche all’interno della stessa federazione.

Promuovere lo sport, tuttavia, non significa solo pubblicizzarlo.

La divulgazione deve farsi carico di una serie di situazioni che solo se analizzate in correlazione tra loro (e non singolarmente) avranno quale effetto un’autentica promozione dell’attività di riferimento.

Nel caso del calcio, dovranno essere chiari alcuni aspetti che lo diversificano da altre discipline.

Il tutto partendo dal concetto primario alla base di ogni ragionamento: il gioco.

Anche dal punto di vista promozionale il gioco andrà posto quale punto di partenza e di approdo di ogni idea, disquisizione, sperimentazione, iniziativa.

Per promuovere una disciplina è necessario conoscerne gli aspetti basilari che tradotto significa  “necessità di conoscere il gioco”. L’idea di intendere la promozione come qualcosa di “staccato” dall’attività vera e propria, demandando a soggetti esperti in marketing o in altro la fase divulgativa non può trovare consenso da parte nostra.

Promuovere l’attività calcistica significa promuovere un gioco tra i più complessi nell’intero panorama sportivo. Una disciplina in cui le variabili (il terreno, la palla, i movimenti dei compagni, gli avversari, le condizioni climatiche, le decisioni arbitrali) rendono imprevedibile ogni singolo momento, in cui il gruppo conta più del singolo (anche tecnicamente non solo in ambito morale), in cui l’apprendimento dei giovani calciatori si sviluppa contestualmente all’apprendimento dei loro tecnici in ossequio al concetto di assimilazione fluida ben argomentato in autorevoli contributi pubblicati in questo blog.

Al fine di promuovere questo meraviglioso gioco in maniera corretta le competenze devono risultare specifiche e, soprattutto, in grado di rimodularsi con il passare del tempo senza che ciò appaia come contraddizione ma, piuttosto, come riconoscimento di un mondo in continuo divenire.

La divulgazione del calcio quale sport di squadra, con relativa importanza del gruppo, come anticipato, non deve fermarsi all’aspetto morale ovverosia alle note sottolineature in merito all’importanza della collaborazione, dell’aiuto reciproco, del sostenere l’anello debole ecc.

L’importanza del collettivo è rilevante anche da un punto di vista tecnico.

L’idea di far crescere un gruppo, soprattutto in ambito giovanile, rilasciando la patente di “fenomeno” o di “mago” a qualche componente maggiormente dotato tende a rivelarsi controproducente non solo nei rapporti tra i giovani calciatori ma anche in relazione allo sviluppo  tecnico-qualitativo dei protagonisti. Ciò perché, prima o poi, anche i più bravi incontreranno  avversari all’altezza e potrebbero non essere preparati ad affrontare una situazione che non li vede più vincenti e protagonisti, non solo agli occhi degli avversari ma anche dei compagni e di sé stessi.

L’esempio di scuola è uno tra i goal più belli della storia del calcio, realizzato da Diego Maradona contro l’Inghilterra nei quarti di finale di Messico 86. E’ stato lo stesso autore della rete, uno dei più grandi calciatori di sempre, a contraddire coloro i quali parlavano di goal realizzato grazie ad una serie di “prodezze individuali” che lo han portato a dribblare sei avversari.

Maradona, sul punto, ha sempre fatto notare come gli avversari che ha saltato come birilli dovevano, in realtà, badare anche ai movimenti del suo compagno di reparto Valdano. Quest’ultimo  non tocca mai la palla nell’azione ma si rivela determinante con la sua presenza in quanto possibile opzione di passaggio.

Il valore del gruppo, pertanto, dev’essere divulgato anche da un punto di vista tecnico, non solo morale, evitando di enfatizzare la “giocata singola” che,  in uno sport che prevede 10 compagni e 11 avversari, raramente può definirsi “individuale”.

Una compagine calcistica, sia essa di terza categoria, di settore giovanile o della massima serie, possiede delle risorse insite nel concetto stesso di squadra.

Per quanto possa apparire paradossale, il football (e con esso le enormi possibilità di miglioramento riscontrabili nel gioco) dev’essere promosso primariamente tra chi lo pratica.

Troppi sono i casi in cui i significati sottesi al calcio non vengono analizzati e divulgati ai ragazzi.

Come già argomentato in questo blog, per diventare calciatori di livello non basta assolvere con  profitto ai compiti assegnati dall’allenatore. E’ necessaria conoscenza ampia ed in continuo aggiornamento.

CONTINUA…

ALESSIO RUI E FILIPPO GALLI

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

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