COME SO-STARE NELLA COMPLESSITA’ DEL GIOCO DEL CALCIO, SENZA FARSI TRAVOLGERE. – 2^ PARTE.

FENOMENOLOGIA DEL GIOCO DEL CALCIO

E’ un gioco collettivo, di invasione, di contrasto

• Spazio delimitato fisso: porte, campo

• Spazio tra i giocatori: variabile continuamente

• Obiettivi parziali mobili: i giocatori delle due squadre

• Mezzo unico di gioco mobile : il pallone

• Presenta  continui e spesso imprevedibili problemi da risolvere: chi sono, dove sono, cosa devo fare, perché, quale risultato…

• Ogni problema richiede una costante presenza attiva: le situazioni variano con continuità e rapidità e richiedono scelte motorie adattate, individuali e rapide.

• Richiesta di comportamenti motori efficaci adattati alle varie situazioni

• Le difficoltà provengono dalle situazioni-problemi posti dall’ambiente

• Il gesto per il gesto, la tecnica per la tecnica non servono

• La tecnica non è un fine ma un mezzo per poter risolvere un problema.

• Ogni azione  è complessa anche se può essere di alto, medio o di basso livello

• I livelli di complessità dipendono dal grado di competenza del soggetto agente e dal numero di elementi e delle variabili che costituiscono l’ambiente dove si sviluppa.

LE COMPETENZE E UN NUOVO UMANESIMO CALCISTICO.

«Il costrutto delle competenza porta in sé  un radicale mutamento del concetto di apprendimento che, abbandonata la staticità del metodo meramente trasmissivo, attiva nel calciatore conoscenze, abilità acquisite e atteggiamenti più appropriati per affrontare problemi e tentare di risolverli, attribuendo alla tecnica e al fisico il ruolo di mezzi, e non di fini, promuovendo così un “sapere agito” che intersechi, in un dinamismo generativo, l’imparare a conoscere, l’imparare a fare, l’imparare a convivere e, infine, l’imparare a essere»

La definizione dei “traguardi di competenza” e degli “obiettivi di apprendimento”, definiti e sviluppati nelle unità di apprendimento, sprona l’allenatore a interrogarsi sulla significatività del suo operato, mettendo al centro il calciatore, evitando qualsiasi autoreferenzialità.

Esse sono fortemente correlate ad alcune dimensioni della conoscenza e dell’azione umana: il pensiero critico, la creatività, l’iniziativa, alla capacità di risolvere problemi, la valutazione del rischio, l’assunzione di decisioni e la capacità di gestire in maniera costruttiva le emozioni ed i sentimenti educano i soggetti ad adattarsi con flessibilità ed efficacia ai vari e mutevoli contesti e per una piena partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale e politica, incoraggiandoli ad assumere un atteggiamento aperto, critico, di disponibilità ed apertura al cambiamento.

Pertanto, per concepire realmente lo sport nella prospettiva di un autentico strumento educativo e di miglioramento della vita sociale, è necessaria una vera e propria rivoluzione etica e culturale della nostra società. Lo sport, infatti, in quanto sottosistema della società, rappresenta lo specchio dei suoi valori e non solo ne incarna (come già si è detto) i difetti e le contraddizioni ma anche le buone prassi; e questo deve essere sempre compreso attraverso un processo di decostruzione continua dei significati che la pratica sportiva prospetta. Lo sport, del resto, in quanto pratica che coinvolge il corpo, il gioco ed il movimento in una unitarietà indissolubile, rappresenta un universale culturale. Esso è legato alla dimensione esistenziale dell’uomo e del suo esser-ci e possiede le potenzialità per assurgere a sistema ed a modello etico per la società, a patto, però, che si resti sempre vigili, attraverso l’educazione, sull’elaborazione e sull’attuazione dei suoi valori.

DAL TRIANGOLO PEDAGOGICO, AL QUADRILATERO EDUCATIVO

Come si è evinto sino ad ora, il processo di rinnovamento ha conosciuto più momenti.

Il primo ha riguardato il passaggio dai contenuti di sapere alle competenze, in risposta al carattere nozionistico della tradizione scolastica, mosso da un’istanza di rottura della separazione tra scuola e vita che ha caratterizzato da sempre l’educazione formale, nella prospettiva di problematizzare quella natura “tra parentesi” della scuola rispetto alla realtà che costringe spesso la formazione scolastica in una sorta di bolla.        

Da qui una prospettiva di apprendimento come comprensione del senso e capacità di trasferire il sapere in altri contesti, che si alimenta quindi della relazione con le situazioni di vita.   

Il secondo momento ha riguardato il movimento dal focus sulle prestazioni al focus sui processi d’apprendimento, in risposta al carattere selettivo della tradizione scolastica.

L’attenzione tende a spostarsi dal “come si apprende” al “che cosa si apprende”, attraverso l’esplorazione della parte sommersa dell’iceberg dell’apprendimento, fatta di processi cognitivi e operativi e di disposizioni ad agire.

Da qui un recupero della funzione formativa del valutare, vista come risorsa per l’apprendimento, accanto alla tradizionale funzione di controllo. Da qui un’istanza didattica volta a dare visibilità ai processi che caratterizzano l’esperienza di apprendimento, attraverso un’estensione del repertorio di metodologie didattiche, una valorizzazione delle routine di pensiero

Infine, il passaggio dal tradizionale triangolo didattico “insegnante-allievi-contenuti di sapere” ad un quadrilatero, attraverso l’aggiunta del contesto di vita che riconducono i contenuti di sapere a mezzi, piuttosto che a fini, dell’azione formativa.

IL CONTESTO

In questo contributo ci si propone di richiamare sia l’essenza intrinsecamente incarnata dell’attività motoria, del gioco e dello sport, sia le strategie educative che valorizzano il corpo come soggetto che crea cognizione nell’ intensa interazione con l’ambiente, gli oggetti, le persone, nel qui e ora dell’esperienza concreta, nel momento presente, nel vissuto soggettivo.

Immaginiamo  questa scena: stiamo in macchina intenti a parcheggiare  e, come spesso capita quando la mente è impegnata a far tutt’altro, ci viene improvvisamente in mente una cosa importante da fare. Entriamo in casa e non ci ricordiamo più cosa fare.

A quel punto, di solito, per farsi tornare in mente il da farsi si ripercorre il tragitto fatto a ritroso sino a che, tornati alla macchina ci si ricorda di quello che si doveva fare! Immagino che qualcosa di analogo sia successo a tutti noi…

La spiegazione di tutto questo risiede nel fenomeno “memoria dipendente dal contesto”.

Numerosi studi hanno evidenziato che si recuperano più facilmente le informazioni memorizzate se queste sono richiamate nello stesso ambiente in cui sono state codificate.

Molte sono le ricerche effettuate sulla relazione che sussiste tra l’apprendimento e il contesto percettivo nel quale tale apprendimento si realizza (“ipotesi del contesto visivo”).

In uno di questi è scritto:

«Quando vogliamo allenare qualcosa di “specifico” non possiamo non considerare il contesto nel quale stiamo riproducendo quel gesto, non possiamo non considerare le informazioni visive a disposizione dell’atleta come un elemento fondamentale dell’apprendimento. Non esistono lavori specifici fatti in zone di campo diverse da quelle reali, con distanze diverse da quelle reali, in posizioni di campo diverse da quelle reali. La dimensione di specificità ci obbliga a definire “specifico” soltanto ciò che il più fedelmente possibile rispecchia le richieste a cui il giocatore è sottoposto durante la performance.»

L’ “ipotesi del contesto visivo” – di cui parla il prof. Pasini – suggerisce, in definitiva, che il contesto visivo in cui viene appresa un’abilità motoria può influenzare la sua conservazione e recupero. In particolare, questa ipotesi sostiene che le informazioni visive presenti durante l’apprendimento dell’abilità motoria diventano parte integrante della rappresentazione della memoria e quindi possono facilitarne il recupero in un contesto percettivo simile.

Parlando di calcio, possiamo affermare che il cervello riconosce più facilmente le situazioni di gioco se queste si realizzano nel contesto in cui sono state apprese.

Perché la memoria di un evento può essere migliorata o peggiorata a seconda del contesto in cui viene richiamata? Probabilmente perché durante la fase di apprendimento gli elementi del contesto entrano a fare parte della rappresentazione mnemonica stessa del compito motorio che si sta cercando di imparare. È plausibile che ciò avvenga attraverso il meccanismo conosciuto come la “regola di Hebb”.

Nel contesto dell’apprendimento motorio, la teoria di Hebb suggerisce che se durante l’apprendimento di una sequenza di movimenti, questi movimenti sono associati a specifici stimoli sensoriali (come l’ambiente visivo), allora la connessione tra le cellule nervose coinvolte nella rappresentazione di questi movimenti e le cellule nervose coinvolte nella rappresentazione di questi stimoli sensoriali verrà rafforzata.

 In altre parole, il contesto visivo diventa un’informazione importante per la memoria motoria e può aiutare nella memorizzazione e nel recupero dei movimenti appresi.

Il fenomeno della memoria dipendente dal contesto e l’ipotesi del contesto visivo ci spiegano il motivo per cui l’apprendimento di un’abilità motoria in un determinato contesto (ad es. un’esercitazione propedeutica in spazi ristretti, settori ecc.) fatica a trasferirsi e può non trasferirsi in un contesto diverso (come quello della gara).

Ecco perchè la necessità di allenarsi in contesti il più possibile vicini a quelli della partita

Infatti, più lontane sono le proposte allenanti, minore sarà la possibilità da parte dei giocatori di costruire vissuti contestualizzati.

Questo è il motivo per cui non si “ritrovano” in partita le cose spiegate e provate in allenamento.

Ne deriva che bisogna evitare  attività esercitative distanti dalla realtà della gara, e diverse dai contesti propri della prestazione.

Gli “obiettivi di apprendimento” rappresentano, in questa prospettiva, più la direzione del percorso che la meta da raggiungere. I “contenuti” non sono pre-strutturati e sono presentati da una pluralità di prospettive; non tutti devono essere appresi ma rappresentano una “banca dati” cui attingere al bisogno.La natura del processo di costruzione di conoscenza richiede che la persona che vi si impegna abbia la possibilità di agire in un contesto complesso, ricco di opportunità, di stimoli, di risorse.

Questo approccio sistemico propone infatti uno schema concettuale innovativo in quanto richiede di non frammentare gli oggetti di studio, di considerare le loro relazioni con il contesto e sottolineare l’interconnessione di dinamiche integrate e complesse, amplificando e approfondendo la processualità circolare…CONTINUA...

RAFFAELE DI PASQUALE.

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