FENOMENI O ECCEZIONI?

Fenomeni o eccezioni? Una riflessione sulla precoce esposizione dei giovani al calcio dei grandi

Ogni volta che si parla di giovani calciatori, sembra inevitabile imbattersi in paragoni scomodi quanto fuorvianti. Il più ricorrente, oggi, è quello con Lamine Yamal.
Il ritornello è sempre lo stesso: «A 16 anni giocava già stabilmente in prima squadra e in Nazionale; in Italia sarebbe ancora nelle giovanili o, al massimo, in panchina in Serie C con l’U23».

Ma siamo davvero sicuri che questo confronto abbia senso?

Il tema della precocità è affascinante, ma spesso mal gestito nel dibattito pubblico, che si accontenta di esempi fuori scala per trarre conclusioni generali.
Il punto da cui partire, invece, dovrebbe essere un altro: i 2.201 minuti in Liga giocati da Yamal nella stagione appena conclusa – così come i 1.558 accumulati da Pau Cubarsí – sono delle eccezioni, non la norma.

A supporto di questo, basta un dato semplice: nessun altro classe 2007 ha messo piede in campo lo scorso anno nella Liga. Nemmeno per un minuto.

Ecco allora che sorge spontanea una domanda: se davvero giocare stabilmente a 16 anni fosse “normale”, perché nessun altro coetaneo di Yamal ha vissuto un’esperienza anche solo simile alla sua?

Per approfondire questa apparente anomalia, ho voluto osservare l’andamento dei ragazzi classe 2008 nella stagione appena conclusa, nei cinque principali campionati europei. In altre parole: quanti sedicenni – oggi – stanno giocando tra i grandi?

La risposta ci racconta molto:

1. Ligue 1 – Francia:
Il campionato francese, spesso etichettato come “farmer league”, è – ovviamente? – il primo tra i Big 5 per minutaggio concesso ai 2008.
Ben cinque ragazzi hanno fatto il loro esordio tra i professionisti per un totale di 746 minuti stagionali, con Ibrahim Mbaye (Stade de Reims) in vetta a quota 340.

2. Serie A – Italia:
Sorpresa (per chi non segue con attenzione il nostro calcio giovanile): l’Italia è seconda.
Ahanor e Camarda si sono guadagnati minuti significativi con Genoa e Milan, rispettivamente 270 e 206 in campionato.
In più, si segnalano anche due esordi “minori”, ma non per questo irrilevanti: Campaniello (Empoli) e Palma (Udinese), che hanno avuto l’opportunità di assaggiare la Serie A.

3. Premier League, Bundesliga e Liga:
Negli altri tre top campionati europei, la presenza dei classe 2008 è praticamente nulla.

  • In Inghilterra, Howell ha giocato solo 7 minuti.
  • In Germania, Sakar ha debuttato solo per qualche secondo.
  • In Spagna, nessun 2008 ha giocato in prima squadra, proprio come accaduto l’anno precedente (tolti Yamal e Cubarsí).

Allora: qual è la verità?

Da un lato, non si può negare che in Italia esista una certa ritrosia culturale verso la fiducia ai giovani, un’eredità profonda del nostro calcio, che troppo spesso confonde “mancanza di esperienza” con “mancanza di valore”.

Dall’altro, però, è fondamentale ridimensionare certi luoghi comuni.
Così come Donnarumma, nel 2015, si impose titolare a 16 anni in Serie A per meriti evidenti, con ogni probabilità anche Yamal sarebbe riuscito a imporsi, se fosse cresciuto nel nostro Paese: i veri fuoriclasse giocano ovunque, perché sono troppo forti per non farlo.

Del resto Yamal è un alieno, nel calcio d’oggi, e non solo se lo rapportiamo alla Serie A.
Basti pensare che è nettamente il calciatore con più dribbling tentati nei Big 5 in quest’ultima stagione, e non solo tra i giovanissimi, con la mirabolante cifra di 316 uno-contro-uno, laddove il secondo (Kudus) ne ha fatti “solo” 208 ed il decimo ne ha fatti fondamentalmente la metà.
Com’è possibile pensare che un calciatore così potrebbe stare in panchina in Italia?

Andando oltre ci dobbiamo chiedere: Ahanor e Camarda avrebbero totalizzato 500 minuti tra Premier, Bundesliga o Liga?
Non è affatto scontato. Anzi, i numeri ci dicono che sarebbe stato piuttosto improbabile, perché non è pensabile che in nessuno di questi tre Paesi ci possano essere 2008 di valore.

E allora forse è il caso di rimettere le cose nella giusta prospettiva.
I giovani che arrivano al grande calcio sono rari. I giovani che ci arrivano presto, ancora di più.
Il problema, in Italia, non è la mancanza di giovani di talento.
Semmai è la difficoltà nel costruire contesti, strutture e culture capaci di accompagnarli nel tempo – con pazienza, intelligenza e coraggio – fino a farli diventare calciatori veri. Non solo fenomeni precoci.

Una nota potremmo dire “metodologica” a margine: ovviamente quanto accaduto in un solo anno non fa scuola, e se guardassimo ai minuti giocati dai 16enni nelle ultime dieci stagioni può essere che la Serie A sarebbe magari anche ultima tra i Big 5.
Ma è proprio questo il punto: se i minuti giocati in una singola stagione non fanno testo perché possono essere frutto del caso, è possibile smettere di inquinare il dibattito pubblico con questa idea secondo la quale in Spagna si lanciano i giovani e da noi no solo perché NEGLI ULTIMI DUE ANNI sono stati fatti giocare DUE SOLI sedicenni?

Questo discorso potrebbe avere senso se casi alla Yamal – Cubarsí fossero la norma, quando invece – come ho dimostrato in questo testo – restano assolute eccezioni anche là!

Post Scriptum: Yamal quest’anno, da 17enne, ha giocato 2.201 minuti e Cubarsí altri 1.558.
Vedremo l’anno prossimo, sempre da 17enni, quanti ne giocheranno Camarda a Lecce ed Ahanor a Bergamo, ma eventualmente anche Campaniello – pur in B – ad Empoli. Probabilmente meno, ma non è detto che sarà un minutaggio “trascurabile”…

BIO: “Francesco Federico Pagani, classe 1985: nasce in una famiglia di ginnasti, in una provincia di baskettofili. Dopo una giovinezza passata a dare calci ad un pallone nei posti più impensabili diventa prima giornalista pubblicista e poi osservatore professionista diplomato a Coverciano, professione che svolge attualmente.

Le magie di Roberto Baggio ad USA 94 gli hanno segnato la vita per sempre.”

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