Se ne va da campione del mondo. Se ne va come il tecnico più vincente nella storia del Real (15 trofei). Riappare sulla panchina del Brasile come l’allenatore italiano che ha conquistato più trofei (31), 4° assoluto tra le leggende del calcio dietro a Ferguson, Guardiola e Lucescu.
Decisamente la federazione sudamericana non poteva fare scelta più ambiziosa per cercare di risalire la china con la Seleçao, ritrovare quel posto tra le grandi del pianeta che manca dal 2002 e che nel frattempo ha conosciuto cocenti delusioni: dal trofeo planetario in Corea 23 anni fa, infatti, i verdeoro hanno portato a casa solo una Confederation Cup nel 2013 e una Coppa America nel 2019.
I fasti sono sbiaditi, le stelle offuscate senza che ne siano nate di nuove. Anche in Europa, dove di norma vengono a crescere, esaltarsi ed affermarsi, i cieli brasiliani sono nuvolosi da tempo.
Non sarà facile il compito di Carlo: finora la sua grande prerogativa è stata la gestione dei campioni, quella che i detrattori gli rinfacciano, non sapendo che invece costituisce la virtù più incisiva per un tecnico. Tutti i grandi campioni che ho incontrato e conosciuto nella mia carriera, hanno sempre detto: “Esistono due categorie di bravi tecnici, quelli che insegnano e quelli che gestiscono”. Ancelotti è il re dei gestori. Se per insegnamento si intende la tattica, Carlo è sempre stato affiancato da ottimi strateghi. Se si intendono invece i segreti del mestiere, nessuno più di lui può essere stato miglior precettore per i giocatori. Tutti abbiamo visto nella nostra vita squadre mediocri arrivare in alto e altre fortissime non centrare traguardi. Questione di alchimia, di saggezza, di esperienza infine.
Si parla spesso anche di fortuna nel suo caso. Eppure proprio Carlo, da giocatore, mi rispondeva – quando capitava gli parlassi di sorte avversa – che “nello sport la fortuna non esiste”. Il concetto è che esistono energie positive, momenti, episodi, ma sulla lunga distanza doti e virtù vengono premiate. Singolare che a chi rifugge dalla retorica della sorte, venga contestato proprio questo aspetto empirico.
Carlo Ancelotti gestisce la gioia, la rabbia, l’euforia e la delusione grazie a quella rurale ironia di cui dispongono gli uomini che arrivano dalla campagna, dalla terra. Carlo Ancelotti è sempre stato anziano saggio sin da quando era giovane. Ha sempre saputo dove e come sarebbe andato. Un giorno alla fine degli anni ‘80, a Milanello Arrigo Sacchi gli indicò la “gabbia” (quell’area ridotta e recintata dove bisogna giocare solo a un tocco e con una intensità da squash con i piedi) e gli chiese: “Anche tu farai costruire la gabbia quando diventerai allenatore?” Carlo allargò le braccia e rispose: “Perché dovrei? C’è già…”. Avrebbe allenato anche lui il Milan, un giorno.
Molti abbiamo sognato che chissà, magari, forse, dopo il Real Madrid sarebbe tornato finalmente a casa. Al Milan. Chimera: non ci sono più le basi, né uomini, idee e progetto per poterci sperare. Quindi dopo l’inglese, il francese, lo spagnolo e il tedesco, imparerà un’altra lingua. Alla perfezione, come è capitato con le altre: pensare che quando lascio l’Italia, parlava a malapena il romanesco…
Ora per la prima volta dovrà scegliere, prima di gestire. Carlo sa. Sono curioso e affascinato. Il verde oro gli donerà, perché da quando ha conosciuto e sposato la splendida nutrizionista Marriann (conosciuta a Londra) è sempre stato in perfetta forma fisica e per lui – amante della buona tavola, da buon emiliano – si è trattato di un doppio colpo. Di fortuna? Guai a dirglielo.

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi