Pochi giorni al redde rationem, poche ore dall’ennesima cocente delusione di una stagione che ha riservato pochi lampi (Supercoppa, derby vinti, impresa al Bernabeu) e un carico tossico di amarezze. E dire che questo Milan sembrava avviato verso un finale in crescendo, mentre il Bologna di Italiano pareva aver perso quota proprio in fase di atterraggio. E invece, come spesso accade nel nostro pallone, il destino ha premiato chi ha saputo meritarselo lungo l’arco di un’intera stagione. La Coppa Italia finisce così nelle mani di Vincenzo Italiano, che corona un’annata degna di memoria.
E il Milan? Resta quel che resta dopo un fallimento: cocci, da riattaccare con calma e lucidità. La squadra di Conceição – oramai ai titoli di coda – ha avuto la parabola di un fiammifero: un lampo, poi il buio.
La mattina del match discutevo con Filippo Galli sul futuro della panchina rossonera. Un’eventuale vittoria avrebbe giustificato la conferma? Abbiamo concordato che sarebbe stato un errore, anzi un peccato di superficialità. Perché il calcio non si giudica da una notte sola e, anche se il totale non è dato dalla semplice somma, ciò che rimane, nel caso del Milan, lascia poco spazio ai dubbi.
Non lasciano margine all’ermeneutica le parole di Scaroni nei riguardi di Zvone Boban. Ora, che il croato abbia il tratto ruvido di chi sa di calcio e non fa sconti è noto, e che il sottoscritto non sempre ne condivida estetica e pensiero è altrettanto onesto dirlo. Ma quando l’ex bandiera rossonera inchioda la società alle sue evidenze, non lo fa per spirito di rivalsa o foga polemica: lo fa per coscienza. E in tempi in cui l’autocritica è un valore esule, un “mea culpa” sarebbe stato un gesto di rara dignità. Invece nulla. Silenzio di vetro e facce di bronzo.
È troppo comodo, oggi, gettare la croce sul tecnico di turno. Fonseca — scelto da un consesso dirigenziale che pare più una giuria raffazzonata da talent show — è la foglia di fico piazzata su una nudità imbarazzante. E sebbene il pedigree del suo successore fosse di livello, per volere di quei consulenti d’accatto che infestano il calcio globale, il risultato non è cambiato: il progetto tecnico senza radici è un bonsai rinsecchito. Gli allenatori non sono taumaturghi: anche i profeti, senza popolo, finiscono lapidati.
E poi ci sono i tifosi. La plebe pagante, l’anima vera del gioco. I soli che non trattano il calcio come un assett finanziario ma come una fede laica. E cosa ricevono in cambio? Un club ridotto a condominio transnazionale, dove la memoria storica è stata sfrattata in nome del ROI (Return Of Investment) e i simboli dismessi come vecchie magliette. L’identità si è liquefatta tra power point e call con gli investitori.
Una gestione da armata Brancaleone in giacca e cravatta, che nemmeno ha il pudore di assumersi responsabilità. E il conto, come sempre, lo pagherà l’allenatore. Il capro espiatorio perfetto. Non è diventato incompetente da un giorno all’altro, ma in un sistema che ragiona per alibi e parafulmini, la logica vuole la sua testa. Quando a sbagliare è un uomo solo, si chiama errore. Quando a sbagliare è un intero sistema, si chiama fallimento strategico.
Il tonfo in Coppa Italia, meritato come una multa a chi parcheggia in curva, dovrebbe indurre non a riflessioni salottiere ma a una vera, scomoda resa dei conti. Il redde rationem che citavo a inizio articolo. Non bastano proclami: serve un direttore sportivo de facto, non un cameriere del caso. I nomi in ballo sono degni, certo, ma la convergenza di idee resta un miraggio tra i corridoi vellutati di questa dirigenza.
Il Bologna ha fatto la voce grossa perché ha avuto l’umiltà di fidarsi del lavoro, non del marketing. E mentre Milano si trastullava con nomi da copertina, Sartori costruiva una macchina da guerra con bulloni di provincia. Il vero problema del Milan, oggi, non è il bilancio ma la balbuzie strategica. Una società che cambia direzione come una banderuola può solo rincorrere sé stessa.
Eppure, la base c’è: quattro o cinque uomini veri su cui rifondare, a patto che non si vendano per l’ennesimo “plusvalore creativo”. Serve un allenatore moderno, di polso e di pensiero, ma soprattutto protetto da un progetto serio e non esposto al primo spiffero di San Siro. Abbiamo lanciato il nome di De Zerbi, ma non sarebbe l’unico papabile. Paradossalmente, l’assenza dalle coppe potrebbe essere una benedizione travestita da castigo. Chiedere a Conte: con la settimana libera ha portato il Napoli a giocarsi lo scudetto. E allora, si scelga con coraggio, con chiarezza, con convinzione. Perché il Milan, questo Milan è una nobile irriconoscibile. Il tempo degli slogan è finito. Ora servono idee, coerenza e uomini che remino nella stessa direzione.

BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.
3 risposte
Gran bell’articolo Vincenzo! Concordo in pieno su tutti i tuoi ragionamenti. Il Milan è dei Veri Rossoneri e non di oscuri finanzieri arrivati a Milano con la scusa di riportare in alto il Diavolo e per farlo si sono avvalsi di faccendieri unicamente propensi ad interessi personali.
Ora sì che serve una rivoluzione totale, dalla scrivania all’erba, dal blocchetto di assegni al bagno schiuma in doccia!
Per dirla alla Gino Bartali
(dato che il Milan venne fondato in una fiaschetteria Toscana)…..
“… gli è tutto da rifare!!”
Buona giornata.
Massimo 48
Buongiorno a tutti. Ottimo articolo. Mi dispiace dirlo da milanista, ma perdere la finale di coppa Italia è stato un bene, perché qui si voleva illudere i tifosi (quelli veri), che andava tutto bene ed invece sappiamo che non è così. Il Bologna, al netto di un errore arbitrale clamoroso, ha vinto meritatamente non l’altro ieri, ma la scorsa estate con una programmazione seria ed un professionista di livello come Sartori che, dove è andato ha fatto sempre il suo dovere: poche parole e tanti fatti. Noi adesso ci lecchiamo le ferite, ma questa dirigenza non si è minimamente accorta di quello che è successo altrimenti alcune persone non ci sarebbero più da Dicembre come Fonseca. I giocatori poi hanno dimostrato ancora una volta di rendersi conto del privilegio che gli è toccato nella loro carriera; l’allontanamento di Maldini in questa ottica è stato un grosso errore. Adesso vediamo cosa farà Furlani, perché è lui che dirige la baracca. Oppure no?. Grazie e un saluto.
Bel pezzo caro Vincenzo, risiedo anch’io a Lisbona presso la residenza dell’ ambasciata polacca… Spero di incontrarti il 2 di giugno presso la sede dell’ambiente italiana per conoscerci e celebrare insieme festa della repubblica e mio compleanno… Con underwear rossonero😉❤️🖤