FINALE DI COPPA ITALIA: IL MILAN DI CONCEIÇÃO

Per ricollocarla in bacheca a distanza di ben 22 anni (tale è l’arco temporale trascorso dalla doppia, vincente, finale contro la Roma), per agguantare Napoli e Fiorentina nella classifica storica della competizione, per ridurre ulteriormente le distanze dall’Inter nell’ambito autoctono dei titoli nazionali complessivi (potenzialmente 37 a 33 dopo che la Supercoppa soffiata ai cugini ha decretato momentaneamente essere cinque le lunghezze caratterizzanti il divario fra le realtà meneghine) e, soprattutto, per conquistare il secondo trofeo stagionale e rendere meno amara un’annata che avrebbe potuto, principalmente per le oggettive potenzialità del gruppo squadra, essere diversa rispetto alla narrazione che invece sarà consegnata ai posteri: per tutto  questo, e non solo per questo, il Milan ambisce alla conquista della seconda manifestazione nazionale come da consuetudine celebrata, quale atto conclusivo, in quel di Roma.

Dopo l’antipasto di San Siro dello scorso venerdì, con la vittoria che ha oltremodo acuito i rimpianti per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, Conceição cercherà di scalare la particolare graduatoria di tecnico meno longevo e più vincente (anche se verosimilmente non oltremodo rimpianto) della gloriosa storia della società rossonera.

Dopo il succitato timbro in terra d’Arabia, il secondo tecnico della stagione in salsa lusitana arde dal desiderio di dimostrare di poter essere (o aver potuto essere) il volto ideale da cui ripartire attraverso una programmazione mirata che possa porsi nell’ottica di delineare le giuste prospettive e colmare principalmente le evidenti lacune strutturali e di competenze in ambito societario.

E poiché tutto sembra ancora essere avvolto dall’incerta ombra di un divenire vago, con le perplessità ancora vigenti sulla figura del nuovo direttore sportivo (ammesso alla fine si opti per averlo un direttore sportivo) e, per l’appunto, su una guida tecnica che ad oggi non pare stagliarsi all’orizzonte quale eminentemente papabile, spetta ai successi sul campo, che condensano l’operato di un intero club e sintetizzano quale chiosa maestosa qualsivoglia ingranaggio volto a rendere trionfi gli obiettivi, ridestare entusiasmi assopiti e riconsegnare al Milan la voglia di concorrere da protagonista nelle diverse manifestazioni cui si è chiamati a partecipare.

Nonostante gli oggettivi e più volte ripetutisi momenti di difficoltà, Conceição è stato comunque capace di riassestare, probabilmente nel miglior modo possibile, lo scacchiere rossonero: al netto di pochi acuti (la maggior parte dei quali comunque lodevolmente issatisi al cospetto di Lautaro e compagni) e di un cammino in campionato a dir poco complessivamente deludente (con l’apice ingiustificabile dell’evitabilissima eliminazione in Champions League), l’ex allenatore del Porto ha saputo però fare quadrato fornendo tangibilmente la sensazione di aver cementato gruppo e unità d’intenti, “ristrutturando” tatticamente una compagine che nella più consona e disinvolta espressione derivante dal sistema di gioco graficamente delineato in un 1-3-4-3 (o 1-3-4-2-1), ha saputo accantonare molte delle incomprensioni concettuali sciorinate sul terreno di gioco nel corso della stagione: una retroguardia di per sé più folta e protetta ha consentito a Pavlovic (che fa fatica a giocare con la linea) e Tomori di esplicare al meglio le proprie caratteristiche, accentuando positività, aggressività, uscita sull’uomo e letture nella versione di “braccetti”; Gabbia può svolgere un lavoro di guida e pulizia tecnica che maggiormente gli si addice (coprendo le spalle ai più irruenti e reattivi compagni di reparto), Theo Hernandez essere sgravato da compiti che malvolentieri digerisce in fase arretrata a favore di una proiezione offensiva nell’attacco alla profondità resa oltremodo più sostenibile da un assetto più equilibrato e numericamente puntuale, con Fofana che, in questo senso, da uomo schermo, sembra pian piano essere tornato ai livelli di indispensabilità espressi nell’immediatezza dell’impatto col mondo rossonero.

Reijnders, senza possibilità di smentita alcuna il miglior elemento, in compagnia di Pulisic, dell’intera annata, risplende sempre di più dinanzi alle nuove mansioni, sia nella versione di mediano che in quella più avanzata di trequartista (una dominante versione interpretativa che nell’1-4-2-3-1 era confinata alla sola opzione di figura qualitativa alle spalle della punta, con potenzialità differentemente invece decurtate quando la zolla da occupare era quella davanti alla difesa); le falle di Leao in fase di non possesso pesano di meno con questo sistema, volto ad una più densa occupazione degli spazi in blocco medio e medio-basso, consentendo al funambolico ed istrionico esterno di sciorinare classe e lucidità nella metà campo avversaria.

Detto dell’insostituibile Pulisic, il vero problema concettuale del Milan è trovare almeno un compromesso fra la necessità di non poter prescindere da un centravanti che sappia fungere da raccordo in virtù delle capacità d’inserimento degli esterni e dei mediani, che dunque sappia svuotare a favore altrui l’area di rigore, con le peculiarità di Gimenez, classico finalizzatore.

La doppietta al Bologna eleva le possibilità che sia il messicano, a scapito di Jovic, a godere della titolarità e dunque ad essere rivestito del compito di replicare quanto mostrato sull’erba amica del Meazza contro i felsinei. Affidarsi alla qualità in fase di costruzione pare una prerogativa insindacabile: il Bologna è la squadra italiana che maggiormente mira ad attuare una riconquista immediata della sfera, attraverso un pressing intenso che lascia poco spazio a margini d’errori in uscita.

D’altro canto l’assetto di Italiano può risultare in virtù di ciò notoriamente foriero di opportunità a campo aperto per i dirimpettai qualora la prima pressione riesca ad essere puntualmente aggirata: in questo senso non v’è squadra sul territorio nazionale (assieme all’Inter, che però agisce simultaneamente per meccanismi più collettivi rispetto agli sprazzi individuali degli interpreti a disposizione di Conceição) più capace del Milan di poter trarre beneficio da transizioni che richiedono gamba e qualità.

Tempi di gioco ineccepibili e linee di passaggio accurate, oltre naturalmente al giusto atteggiamento, rappresenteranno la risorsa da cui far scaturire un successo mai così tanto agognato se relativizzato alla conquista della coppa nazionale.

BIO: ANDREA FIORE

Teoreta, assertore della speculazione del pensiero quale sublimazione qualitativa e approdo eminentemente più aulico della rivelazione dell’essenza di sé e dello scibile, oltre qualsivoglia conoscenza, competenza ed erudizione quali esclusive basi preliminari della più pura attuazione di riflessione ed indagine. Calciofilo, per trasposizione critico analitico di ogni sfaccettatura dell’universo calcistico, dall’ambito  tecnico-tattico all’apparato storico, dalla valutazione individuale e collettiva ai sapori geografici e culturali di una passione unica. La bellezza suprema del calcio è anche il suo aspetto più controverso: è per antonomasia di tutti e tutti pensano di poterne disquisire.

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