Ci sono momenti, nel calcio, in cui le lodi sperticate assumono il sapore amaro di ditirambi fuori luogo. È in questi frangenti che la critica, spesso spocchiosa e arroccata nel proprio castello di certezze, si lascia trascinare da giudizi superficiali. Eppure, è sempre il contesto a delineare il destino di un calciatore, a fare la differenza tra l’apologia di un fuoriclasse e l’ombra in cui viene relegato l’onesto mestierante.
C’è un errore di fondo che si ripete nel calcio italiano: la tendenza a guardare al passato con occhi offuscati dalla nostalgia, mitizzando giocatori che, pur bravi, hanno vissuto l’apice della loro carriera grazie a un contesto irripetibile. Facendo, naturalmente, le debite proporzioni con un passato decisamente più glorioso. È il caso di tanti comprimari delle nazionali del passato che sono diventati, con il tempo, figure quasi mitologiche per certi nostalgici. Ma siamo sicuri che, se fossero emersi oggi, in una Nazionale che fatica a ritrovare se stessa, avrebbero avuto lo stesso impatto?
Prendiamo la Nazionale attuale di Luciano Spalletti, reduce da qualche bagliore di riscatto (3 vittorie su 4 nel rispettivo girone di Nations League) ma ancora lontana dagli antichi fasti. Gli stessi commentatori che un tempo celebravano i successi di rispettabilissimi calciatori di contorno, oggi si accanirebbero con feroce disprezzo su calciatori del loro calibro, se questi vestissero l’azzurro in questo preciso momento storico.
Il calcio vive di momenti e contesti. Negli anni in cui questi attaccanti erano protagonisti, la Nazionale italiana era una corazzata, con difese impenetrabili e centrocampi solidissimi che rendevano la vita più facile agli attaccanti, permettendo loro di essere funzionali a un sistema vincente. Prendiamo Delvecchio, centravanti che è arrivato a mezzo passo dal diventare l’eroe degli Europei del 2000: attaccante bravo a far reparto da solo e a giocare anche insieme a un’altra punta, utile per spaccare partite equilibrate. Tuttavia è anche vero che giocava in un’Italia che aveva alle spalle fuoriclasse del calibro di Maldini, Nesta, Cannavaro, capaci di costruire la fortezza su cui reggeva la squadra.
Facile è dimenticare quanto fossero elementi chiave nei rispettivi contesti: diversi calciatori, con la loro corsa inesauribile, erano un vero corpo di cavalleria al servizio dei fuoriclasse azzurri. E quanti difensori, affiancati alla stella, sono stati celebrati (anche giustamente) per le loro prestazioni in azzurro. Eppure, mettiamoli nella Nazionale odierna, priva di certezze granitiche, e i loro nomi verrebbero associati a epiteti ben meno lusinghieri.
Il contesto è il re. Sempre. Un Bastoni, difensore dall’eleganza innata e visione di gioco stilizzata, potrebbe benissimo essere stato una colonna portante nelle Nazionali vincenti del passato. Intendiamo un Bastoni adeguatamente accompagnato nel suo processo di crescita. Con i giusti compagni intorno, in un ambiente che respira fiducia e prestigio, sarebbe stato incensato come un nuovo fuoriclasse della difesa. E lo stesso discorso potrebbe essere fatto per un Calafiori, eclettico difensore (nell’Arsenal si sta disimpegnando come terzino) dall’ottima gamba e dall’indubbia qualità tecnica. La critica, oggi, è pronta aprioristicamente a relegarli a ruoli marginali, con i fucili puntati al primo sbaglio. Tuttavia, se trasportati nell’epoca delle notti magiche, al fianco di stelle come Baggio, Baresi o Maldini, probabilmente sarebbero assurti a eroi di prima fascia.
Se diversi centrocampisti o attaccanti del passato fossero oggi protagonisti, sarebbero forse bersaglio di critiche feroci, proprio come lo sono Raspadori o Frattesi. E se un Barella avesse giocato negli anni d’oro della Nazionale, sarebbe ricordato come un eroe, proprio come i mediani “di fatica” del passato. Perché, alla fine, il contesto gioca un ruolo fondamentale nel determinare il valore di un giocatore. Il calcio vive di equilibri sottili, e spesso la differenza tra un “fenomeno” e un “buon giocatore” sta nel sistema in cui è inserito, nei compagni che lo circondano e nel tipo di partita che è chiamato a giocare.
Il calcio non è una scienza esatta, ma l’alba dentro l’imbrunire di un movimento calcistico può far sbocciare o, al contrario, oscurare anche i talenti più limpidi. Un sistema vincente, un gruppo coeso, l’atmosfera giusta, sono fattori che trasformano i buoni giocatori in leggende. Senza Baresi è utopistico pensare che diversi, pur forti, centrali italiani avrebbero avuto il ruolo che hanno avuto nel firmamento calcistico. Senza questo terreno fertile, i campioni del passato avrebbero forse avuto la stessa difficoltà a brillare come vediamo oggi accadere ai volenterosi azzurri di Spalletti.
E allora, mentre ci affanniamo a cercare nuovi eroi, non dimentichiamo che non sono solo i piedi a contare, ma la testa, il cuore, e soprattutto il terreno che calcano. Se il contesto è favorevole, anche un Bastoni o un Calafiori potrebbero riempire le pagine dei giornali con ditirambi meritatissimi. Al contrario, senza di esso, persino Grosso e Materazzi (eroi nel 2006) o un Delvecchio (quasi eroe nel 2000) rischierebbero di finire preda della critica impietosa, che da sempre detesta ciò che non brilla immediatamente.
È troppo facile denigrare i ragazzi odierni, facendo di tutta l’erba un fascio. Si trascura il fatto che il contesto in cui operano è ben diverso. La Nazionale odierna, pur guidata da un ottimo tecnico come Luciano Spalletti, si muove in un panorama internazionale in cui non esiste più il vantaggio tattico che l’Italia aveva un tempo. Le altre squadre sono cresciute e il nostro sistema di gioco, per quanto solido, non offre più la stessa protezione né la stessa sicurezza.
Oggi, i giovani italiani si trovano in una Nazionale che è ancora in fase di ricostruzione, che deve fare i conti con il peso delle aspettative e con una concorrenza internazionale molto più feroce rispetto al passato. Il calcio è cambiato, le dinamiche tattiche si sono evolute, e non è giusto giudicare i calciatori attuali con lo stesso metro di misura usato per i loro predecessori.
Gli elementi odierni vanno giudicati per quel che valgono nel concreto, non messi a paragone con un passato reso glorioso da un contesto che, ahinoi, manca da tempo. Quello stesso contesto che ha fatto grande l’azzurro oggi appare dissolto, fagocitato da un declino figlio di responsabilità diffuse. Non possiamo più rifugiarci nel ricordo, ma dobbiamo accettare che le difficoltà da cui stiamo provando ad emergere, non sono altro che il risultato di un’intera filiera in crisi.
BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.
Una risposta
Articolo di cui condivido il contenuto in ogni riga. L’ho trovato puntuale e coerente, oltre che ben scritto. Complimenti