ALLENATORE: VUOTO A PERDERE

Tutti, ma proprio tutti, giustamente, sarebbero disposti a scommettere la cosa più preziosa che hanno nel dire che quella nella foto sia una bottiglietta di plastica. Anzi una bottiglietta di plastica abbandonata in maniera incivile e indecorosa. Tutti tranne uno, lo scrivente. Verrò preso per pazzo e  lo capisco e lo accetto di buon grado. Io in questa foto vedo uno dei tanti, posso dire, serenamente, dei troppi allenatori.

Al termine di questa lettura, me lo auguro, non penserete più che sia pazzo e tranquilli, la scommessa era solo virtuale, quindi, nel caso la nostra visione alla fine coincida, non avrete perso la cosa più preziosa che avrete. Al massimo, se un giorno avremo occasione di conoscerci, mi offrirete un caffè o, ancora meglio, un calice di ottimo vino.

Per me l’allenatore oggi è un “vuoto a perdere”. Il vuoto a perdere, come ci specifica la Treccani è un contenitore, quasi sempre di bevande, che non deve essere restituito.

L’inciviltà del mondo, degli esseri umani (sul termine umani potremmo avere più di un dubbio, ma non è questa la sede per aprire un simposio), fa si che spesse volte questo contenitore venga poi abbandonato al suo triste e cupo destino, in ogni dove.

National Geographic stima che ogni anno siano circa otto milioni le tonnellate di plastica abbandonata che finiscono in mare.

Ma cosa ha a che fare questa bottiglietta abbandonata al suo lugubre destino con un allenatore? Perchè io in questa fotografia vedo un allenatore?

Partiamo dal dire che l’allenatore è un uomo solo. Anche se ha uno staff affiatato, coeso, con una una visione di intenti, è e resta un uomo solo. E’ il leader e, come tale, è chiamato a continue e costanti scelte, che lo pongono e lo espongono alla più cruenta e crudele solitudine.

Solo nelle scelte. Se poi le scelte si rivelano visionarie e vincenti, il merito non è quasi mai suo o comunque deve condividere, non sempre con chi poi abbia reali meriti, la vittoria, il successo, l’aver raggiunto l’obiettivo. Solo ancora di più nelle sconfitte, dove infinite decine di indici gli si puntano contro come mitragliatori di un plotone di esecuzione.

Solo, tremendamente solo.

Anche i più grandi e vincenti sono e restano uomini soli. Sono molti di più coloro che attendono una loro sconfitta di quanti non vedano l’ora di gioire di una loro vittoria.

Guardiola e Ancelotti sono, senza nessun dubbio, due dei più immensi allenatori della storia del calcio eppure basta un pareggio o una coppa non vinta ad avere milioni di indici puntati.

Stiamo parlando, lo ripeto, dei due più grandi, pensiamo quindi da loro in giù.

Quel senso di solitudine e impotenza diventa un vuoto che ti inghiotte e ti divora.

Ti lacera l’anima.

Nella sola serie A del campionato 2023/24, ad oggi, gli esonerati sono più di dieci.

Pensiamo alla Salernitana che è passata da Sousa ad Inzaghi, da Inzaghi e Liverani e adesso altro giro di valzer, senza orchestra e senza dama.

Quella bottiglietta non vi sembra che inizi ad avere altre sembianze?

Quegli indici puntanti stanno trasformando la materia, ma in modo differente a quanto faceva lo scalpello di Michelangelo che dal blocco di marmo di Carrara liberava la statua che era già conservata al suo interno. Quegli indici gettano un professionista a terra, dopo averlo spremuto e averlo accartocciato, non regalandogli nemmeno una fine degna, decorosa e civile.

Stando ai dati ufficiali la rosa che ha il minor valore economico in Serie A è il Frosinone: 54,63 milioni di euro.

La Salernitana, di cui accennavo prima, ha un valore economico di 102,5 milioni di euro. Il Sassuolo, oggi penultimo, di 156,8 milioni di euro. Il Napoli campione di Italia in carica 577,6 milioni di euro. L’Inter, oggi dominatore assoluto del campionato, sfiora gli 800 milioni.

Anche il Napoli, con il tricolore cucito sul petto, questo è un paradosso, è al terzo allenatore.

Perchè ho messo questi numeri? Cosa hanno a che fare questi numeri con la bottiglietta di plastica?

La bottiglietta di plastica è colui a cui vengono affidati queste centinaia di milioni di euro di capitale umano.

Voi affidereste decine o centinaia di migliaia di euro ad una bottiglietta di plastica? La risposta è sicuramente no. Invece è proprio così e la risposta è si.

Il discorso non cambia scendendo di categoria. Anzi, paradossalmente, peggiora. Fino ad arrivare ai dilettanti.

Quanto vale una rosa di serie D, Eccellenza o Promozione? Stando al sito transfermarkt la rosa che oggi vale di più è quella del Trapani che ha un valore di circa 2,5 milioni di euro. Per Eccellenza e Promozione è un po’ più complesso stimare un valore, ma facendo un po’ di accurate ricerche i club che ambiscono a salire di categoria hanno dei valori anche vicini al milione di euro per l’eccellenza e ai 300.000/400.000 € per la Promozione.

Adesso pensiamo a quanto guadagna la bottiglietta, pardon l’allenatore.

Si va dai 13 milioni lordi di Allegri, agli 11 di Mourinho (diventato un vuoto a perdere, anche se qui ci sarebbero molti discorsi da fare, soprattutto sullo svalutare la rosa, in particolar modo denigrando pubblicamente i proprio giocatori al cospetto di quelli avversari, definendoli inferiori a questo o quello, quindi inficiando pesantemente sulla determinante componente psicologica e, di fatto, svalutando il valore econonomico), passando per qualcuno sui cinque milioni netti, per attraversare una grossa maggioranza ben sopra il milione netto, per finire ai due “meno pagati”, ossia Gilardino e D’Aversa che hanno un ingaggio di 500.000 euro netti a stagione.

Gli allenatori sono manager di società per azioni  a cui vengono affidati capitali (umani ma pur sempre capitali) da centinaia di milioni di euro e vengono pagati in modo incredibile.

Il discorso non cambia mano a mano che scendiamo di categoria. Sono aziende più piccole con manager che vengono pagati meno, ma per società il cui patrimonio, proprio perchè più piccole e quindi con meno entrate, è ancora più importante.

Chi sceglie questi manager? Su che  basi? Perchè sceglie un manager e non un altro?

Questi manager vengono scelti da un Direttore Sportivo che poi sottopone la scelta al Presidente e/o al Direttore Generale e/o Amministratore Delegato, ossia a chi deve autorizzare la spesa per l’ingaggio suo di tutto lo staff. Un Direttore Sportivo ha un ingaggio che va dal milione e mezzo di euro ai cinquecentomila euro, parlo di serie A. Quindi nettamente meno di colui che è chiamato a scegliere, ma soprattutto a giudicare.

Non perdete di vista, mentre leggete, l’immagine della bottiglietta. La bottiglietta costa, quindi vale, decisamente di più della mano che la acquista, ma soprattutto di quella mano che poi la schiaccerà, magari con sdegno e successivamente la getterà a terra.

Più scendiamo di categoria e questa forbice si amplia. Nei dilettanti, ambiente che ho frequentato per una ventina di anni da giocatore, e per una decina da allenatore, un tecnico considerato preparato, nelle squadre che ambiscono a vincere (parlo dalla Promozione a salire), può avere un rimborso anche di tremila euro al mese. Un Direttore Sportivo poche centinaia di euro al mese. Eppure quella mano è ancora più pronta a gettare la bottiglietta di plastica in riva al mare.

Abbiamo risposto alla domanda su chi sceglie la bottiglietta, pardon l’allenatore. Rispondiamo ora alla domanda: su che basi?

Se un manager, il DS, deve scegliere un altro manager, l’allenatore, a cui affidare le sorti della società gestendo un capitale di decine o centinaia di milioni di euro, io devo credere che la scelta sia ponderata e profonda.

Devo credere che l’allenatore presenti un progetto, una sorta di business plan, che tenga conto di risultati sportivi, crescita dei giovani calciatori, valorizzazione dei giocatori attualmente nella rosa.

Il risultato sportivo può influire sulle altre due voci, ma, nel contempo, anche no.

Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. La frase della icona leggendaria bianconera Giampiero Boniperti, che è diventata un mantra per la società torinese, tanto da essere ricamata nella parte interna della loro maglia.

Cosa vuol dire però vincere? Non tutte le realtà possono ambire a vincere, innanzitutto. La vittoria è relativa. Non solo, ma trasformare un giocatore che valeva uno in un giocatore che vale successivamente cinque o dieci, non è vincere?

Avere in rosa prodotti del settore giovanile non è essa stessa una vittoria?

Allora il DS e il DG di una società, nel scegliere il manager tecnico non dovranno tenere conto, all’interno del business plan che presenterà lo stesso allenatore in sede di colloquio con la società, di come intende far crescere e sviluppare quel costosissimo capitale umano che la stessa società intende affidargli?

Con quale metodologia intende lavorare? Quali sono i capisaldi dei suoi principi di gioco? E’ un allenatore identitario, nel senso che alle sue squadre da una forte impronta identitaria, al di là di chi sia l’avversario, o è un allenatore “speculatore”? E’ un leone o uno sciaccallo? Un parallelismo con il mondo animale per identificare chi caccia, con i rischi connessi ad una attività predatoria e chi invece attende che gli altri caccino per poi banchettare sulle carcasse. Uno stile di gioco in cui si chiede coraggio ed estro, accettando l’errore, anzi vedendolo come parte fondamentale del percorso di crescita, o uno stile di gioco il cui è il non subire reti l’elemento fondante del pensiero?

In quel briefing si parla di emotività ed emozioni? Di come intende rapportarsi con il gruppo? Il carisma di un allenatore, il suo modo di rapportarsi con il gruppo e non solo. Insomma sono davvero molteplici gli aspetti oggetti di valutazione e abbracciano diverse aree.

E’ una scelta complessa perchè si dovrà scegliere un allenatore che dal momento della firma in calce al contratto sarà il domatore della complessità del gioco. Non dimentichiamoci mai che il gioco del calcio è il solo ed unico sport che si pensa con la testa e si gioca con i piedi, le due cose più distanti tra loro del corpo umano e in cui, la testa, è nettamente predominante rispetto ai piedi. Questo aspetto lo sanno e lo capiscono in pochi ed è uno degli enormi problemi che attanagliano e affliggono il calcio, quello italiano soprattutto.

Questa scelta sta a significare che una società, ossia una azienda (le società di calcio sono aziende) ha scelto il manager più importante. Quello che deve lavorare con il cuore del capitale della azienda, che ha in mano il valore economico della società.

Posso dopo poche giornate, siano anche esse venti, cacciare un allenatore perchè il risultato delle partite non mi soddisfa?

Siamo tutti concordi se scrivo che il Liverpool è uno dei dieci club calcistici più importanti del pianeta Terra? Bene, nel 2015 ingaggiò Jurgen Klopp, il quale disse, nella sua prima conferenza stampa, lasciateci il tempo di lavorare ed entro quattro anni vinceremo un titolo. Non disse entro quattro mesi. Eppure il Liverpool direi che abbia delle aspettative piuttosto alte ed importanti rispetto al 99% dei club, essendo, appunto, nei dieci più importanti al mondo.

Klopp con un  progetto ed una progettualità, portò sotto la Kop il titolo, anzi, qualcosa di più di un titolo, svariati titoli, compresa una Champions. Siamo nel 2024 e Jurgen siede ancora sulla panchina dei Reds. Ci starebbe ancora a lungo se non avesse annunciato, lasciando tutti di stucco, che a fine anno lascerà la panchina e si prenderà una pausa.

Saranno, comunque, nove stagioni di fila su questa prestigiosa panchina.

Quella bottiglietta gettata a terra siete sempre convinti che sia una semplice bottiglietta? Forse si, ma sono certo che stiate iniziando a porvi delle domande. Interrogativi che, poco a poco, modellano nei vostri occhi quella bottiglietta.

Parliamo ora di risultato. L’allenatore incide davvero sul risultato? Lavora una intera settimana su una moltitudine di aspetti. Elementi la cui risultante è la complessità del gioco.

Oggi esistono i big data nel calcio e posso dire, con assoluta certezza, che lo stanno trasformando. Se analizzati bene sono essenziali per un allenatore per avere un riscontro del suo lavoro e soprattutto per trovare le aree di miglioramento sui cui dovrà lavorare.

Al tempo stesso i dati fotografano la partita. In modo analitico, quindi non opinabile.

Questi dati sono come le voci di un bilancio. Sono correlate tra loro. Tutte tranne una voce, che spesso, posso dire troppo spesso, non è in relazione con tutte le altre voci, ma le sovrasta e le azzera, le ridicolizza, il RISULTATO!

Non ci credete? Chi mi conosce sa che detesto le parole e le chiacchiere e amo i fatti. Andiamo quindi a vedere, concretamente, un esempio.

Ho evidenziato in rosso alcuni dei molti elementi presenti che, a mio avviso, evidenziano in modo netto come questa squadra (non ha alcuna importanza quale sia) abbia giocato una ottima gara. Gli xG (i goal attesi) sono quasi il triplo di quelli dell’avversaria, così come il numero dei tiri. Sarebbe nettamente anche superiore il possesso palla, ma non lo considero perchè non mi viene specificato se parliamo di mantenimento o di possesso (per me e per la metodologia che propongo ai miei allenatori in AMC FOOTBALL ACADEMY sono due cose molti differenti) e, in particolar modo, a quale terzo di campo è riferito il possesso. Secondo e terzo terzo di campo sono, soprattutto il terzo terzo di campo, due fattori ulteriormente discriminanti.

Andando avanti nella analisi di questi dati, si evince come i tiri siano stati fatti dall’interno dell’area, quindi avvalorando ancora maggiormente il gioco espresso dalla squadra. Il percentile dei goal evitati è un ulteriore dato che avvalora il gioco espresso dalla squadra analizzata nella corsia di sinistra. Precisione passaggi e percentuale di dribbling riusciti due ulteriori conferme all’analisi precedente.

La firma in ceralacca sulla prestazione di ottima fattura e qualità è data dal numero dei salvataggi. Certificano una gara di dominio e dominata.

Bene, uno solo dato è esattamente contrario, anzi OPPOSTO, alla risultanza di tutte queste analisi. La squadra DOMINANTE in ogni singola voce, è stata SCONFITTA, HA PERSO. Ecco quindi che il RISULTATO è esattamente opposto ad ogni evidenza; queste evidenze sono fatti, numeri reali, non opinioni o supposizioni.

Quel numero, CONTRARIO A TUTTI GLI ALTRI, è però quello che che CONDANNA un allenatore alla gogna mediatica, alla gogna dei tifosi e, cosa senza senso, alla gogna della società.

Una società, ricordiamoci le premesse in base alle quali la stessa dovrebbe aver scelto il manager tecnico, può giudicare un mister da quel numero, che è IL SOLO IN CUI lui non incide, perchè se la sua  squadra crea il triplo delle occasioni dell’ avversaria, subisce pochissimo, ha una alto numero di dribbling, che certificano anche dal punti di vista emotivo-psicologico una libertà di espressione, è evidente e certificato che il lavoro della settimana sia ottimo?

Purtroppo questo accade sempre più spesso. Il manager tecnico, ossia l’allenatore, viene cacciato via proprio per quel numero. In un meraviglioso incontro di formazione all’interno della mia ACADEMY AMC, facemmo un incontro con Mister Daniele Zini, vice allenatore del Pontedera (serie C) ed ex Responsabile Tecnico del Settore Giovanile del Cagliari Calcio, denominato MALEDETTA PARTITA, proprio per evidenziare come la domenica sia la spada di Damocle che pende sulla testa di un allenatore, ma è, paradossalmente, il solo momento in cui l’incidenza di un allenatore è minima.

Se un difensore commette un errore individuale, se un portiere sbaglia clamorosamente un intervento, se un attaccante si divora cinque o sei occasioni, se un centrocampista non vede più volte uno sviluppo di gioco, l’allenatore ha delle colpe? No. Però paga, quasi sempre, il conto per tutti.

Adesso quella bottiglietta vi sembra ancora una bottiglietta e basta?

Adesso riavvolgiamo il nastro e torniamo a parlare di un altro aspetto che si evidenzia assolutamente troppo poco: quanto incide un allenatore nella crescita di  un giocatore? Quindi quanto il suo lavoro (suo e del suo staff sia sempre chiaro a tutti, oggi lo staff di un allenatore, tutti quei professionisti che lavorano nell’ombra a cifre nettamente inferiori a quelle di un allenatore) sia fondamentale anche per aumentare il patrimonio economico di una società?

Cito subito due allenatori: Giampiero Gasperini e Robero De Zerbi. Così diversi per stile di gioco e idee di gioco, anche se entrambi sono tra i pochissimi ad onorare la regola 10 del regolamento del GIOCO del CALCIO, ma molto simili nella straordinaria importanza che hanno nel completare e migliorare le conoscenze e le capacità dei loro giocatori. Questo incredibile importantissimo lavoro sommerso porta un giocatore, cresciuto nel settore giovanile o acquistato ad un prezzo esiguo ad aumentare in modo esponenziale il suo valore economico, oltre al valore tecnico di cui si giova, immediatamente, la squadra per le prestazioni di campo.

In questi anni, all’Atalanta, Gasperini non ha solo ottenuto risultati incredibili sul campo, mai avuti prima dalla Dea, ma nel contempo essendo e restando comunque una realtà medio piccola con severe necessità di bilancio, ha ogni anno permesso all’Atalanta di mettere nella vetrina europea del calcio mercato degli autentici gioielli che hanno permesso al Club delle eccellenti ed eccezionali plusvalenze.

Anche se meno enfatizzato, forse perchè il percorso è stato più breve, possiamo dire le stesse cose del lavoro al Sassuolo fatto da Mister De Zerbi.

Lo stesso mister De Zerbi non sta facendo lo stesso capolavoro al Brighton? Sotto la sua gestione i “Seagulls” hanno demolito ogni record.

Lo scorso anno Roberto portò il Brighton a vivere un stagione leggendaria, ma ancora più leggendaria,  per me, fu la crescita di moltissimi suoi giocatori, venduti poi nella sessione di mercato estiva, a cifre fantascientifiche.

Adesso sta facendo nuovamente la stessa cosa, con alcuni giocatori giovanissimi che stanno crescendo in modo esponenziale e saranno, nel breve, nuovamente galline dalle uova d’oro per la società. Quindi la straordinaria bravura di De Zerbi è solo legata ai risultati? O il suo lavoro deve essere valutato in modo più ampio e approfondito?

Prima parlavo di Klopp. Quanti giocatori ha migliorato Jurgen sotto la sua gestione? Quanti giovani ha plasmato e portato a livelli da top club? In questa sua ultima stagione poi sta facendo un lavoro incredibile con i ragazzi del settore giovanile.

Parliamo anche di Guardiola? Il più visionario, quello sempre un passo avanti agli altri, il più vincente della storia? Quanto migliora e completa i giocatori?

Eppure, fino allo scorso anno in cui ha vinto la Champions con il Manchester City, quanti erano gli indici puntati contro di lui perchè dopo il triplete con il Barcellona di Messi non aveva più vinto la Chiampions? E tutti questi indici sostenevano che l’avesse vinta Messi, non lui.

L’osservatorio calcistico del CIES ci conferma che la Lega Serie A è il campionato in cui un allenatore ha la minor permanenza media sulla panchina, 384 giorni, ossia poco più di un anno.

La Premier League 772 e la Bundesliga 687.

Ciò conferma e ribadisce che in Italia l’allenatore è un vuoto a perdere, che non si tiene assolutamente conto della complessità del suo ruolo, dell’importanza del suo lavoro sommerso e del fatto che forse chi è deputato a scegliere e, quindi, a valutare, sia il vero problema e pecchi, clamorosamente, di competenza.

Se poi aggiungiamo i soloni del calcio, i guru della televisione, i sapienti senza sapere, che in trasmissioni seguite da milioni di persone, arrivano a dire che un allenatore non conta e non è importante, diventa chiaro a tutti, almeno lo spero per chi leggerà questa mia riflessione, che nella foto al termine di questo piccolo viaggio vedrete un allenatore e non una bottiglietta di plastica.

BIO: Alessandro Mazzarello, è nato a Genova il 3 agosto del 1977.

  • Laureato in giurisprudenza. Di professione, da quattro anni, Docente Scolastico, dopo aver fatto per venti anni consulenza a privati ed imprese in campo finanziario e di strategie commerciali.
  • La sua vera e assoluta passione è, da sempre, il calcio. Per diciotto anni ha praticato il futsal a buoni livelli, dove ha avuto anche il doppio ruolo di allenatore – giocatore in serie C/1, perdendo la finale per l’accesso in serie B con una piccola realtà e dove ha anche allenato la Rappresentativa Ligure, portandola, unica volta nella storia, alle semifinali nazionali.
  • Smette di giocare, a trentacinque anni, in possesso della LICENZA UEFA B e LICENZA ALLENATORE CALCIO A 5, ha iniziato ad allenare nei settori giovanili, togliendosi, da subito, enormi soddisfazioni. Alcuni dei ragazzi che ha avuto la fortuna di allenare sono oggi dei professionisti o protagonisti assoluti nel campionato di serie D. Nei suoi anni da allenatore ha avuto modo di iniziare a sperimentare la sua metodologia, un misto tra artigiano nel suo laboratorio e alchimista. La più bella esperienza quella come Responsabile Tecnico, dove ha affinato quello che poi è diventato il suo presente e, ne è certo, sarà il suo futuro, il percorso di formazione e approfondimento metodologico con la AMC FOOTBALL ACADEMY.
  • AMC FOOTBALL ACADEMY nasce dopo tanto, molto studio che ha parallelamente portato avanti alla sperimentazione sul campo e grazie anche ad importanti collaborazioni e costanti e continui confronti con importanti esperti del settore. Ha deciso di studiare la realtà del gioco e la sua costante e continua evoluzione, partendo sempre dal perchè di un cosa.
  • Determinante la creazione della P&M COACHING e PM SOCCER LAB di cui è co-founder insieme al collega mister Pasquale Palermo. Insieme hanno organizzato più di trenta incontri di formazione on line, con, adggi, oltre duecentomila visualizzazioni.
  • Sono sempre più convinto che possedere una LICENZA UEFA, qualunque essa sia, debba essere un punto di partenza e non di arrivo.
  • Costanti aggiornamenti e approfondimenti sono la sola ed unica via per poter pensare di condividere delle conoscenze con i propri giocatori e con le proprie giocatrici.
  • Volersi sempre migliorare arricchendo il bagaglio delle conoscenze sia la sola ed unica strada per elevare il livello del proprio lavoro sul campo.

4 risposte

  1. Complimenti per i contenuti di questo pezzo scritto, perlatro, molto bene.
    Aggiungerei solo una cosa, ovvero una piccola critica alla categoria degli allenatori, rappresentata da figure spesso superate (agli allenatori pensionati si concede di essere ai veritici dell’associazione).
    Categoria che talvolta sembra gradire la giostra di esoneri perchè in tal modo si creano più posti di lavoro.
    Concetto da cui personalmente vorrei che gli allenatori stessi prendessero le distanze.
    Alessio

  2. Sono anni ormai che frequento le tue lezioni con tanti “colleghi ” . Parole sacrosante e non solo parole . Fatti dimostrati sul campo. E dire solo grazie è poco . Avere 67 anni e stravolgere il mio modo di pensare lo devo a te Ale. E anche al titolare di questo splendido blocco. Fatti non parole L’articolo condivisibile al 100 %.

  3. Mi congratulo per questo articolo. Indubbiamente l’allenatore è solo, a prescindere se allena il Brasile o una squadra di pulcini. E’ ancora più solo se il risultato conta. Una rosa, di solito è frutto, più che di scelte dell’allenatore, di opzioni economiche più che tecniche. Di compromessi tra i vari addetti ai lavori. Non tanto tempo fa, all’Inter si compravano nello stesso ruolo diversi calciatori, sembrerebbe perchè più di un dirigente portava il giocatore a lui più vicino.

    Ora, seguendo il filo del discorso di Mazzariello, si dovrebbe affermare che la scelta dell’allenatore deve essere compatibile con il gruppo messo a disposizione. Quindi, o prima si fa il gruppo e si sceglie l’allenatore ideale, o l’allenatore deve necessariamente partecipare alla creazione del gruppo.

    Da qui nascono i principali problemi, se non c’è sintonia tra gruppo, come tipologia di rosa e allenatore. Tra gli intendimenti societari e le reali possibilità tecniche.

    Quindi, se io sono l’Atalanta o il Sassuolo e punto sulla valorizzazione del settore giovanile e su sconosciuti bravi che costano poco, allora la scelta ottimale è quella fatta: Gasperini e De Zerbi, a prescindere dai risultati tecnici ottenuti a breve.

    Ora, se il DG o chi per lui, spende moltissimo (in termini relativi al budget della singola società), ma non costruisce una rosa logica e adatta all’obiettivo societario e alla tipologia di allenatore, allora molto probabilmente l’allenatore sarà esonerato, per i risultati attesi dalla società e non conseguiti dall’allenatore.

    Questa è la logica conseguenza del fatto che non possono licenziare i calciatori e mettere in discussione la catena di comando, soprattutto in Italia.

    Quindi convengo con quanto evidenziato, come spesso nè ho parlato (tramite mail) con Alessio, che le valutazioni sul metodo di giocare vanno fatte a prescindere dalle singole partite ma nel medio lungo tempo (ovviamente tempi calcistici e non finanziari).

    Nel 1941, nel porto di Alessandria De la Penne e altri sei eroi, affondarono nel porto diverse navi, tra cui la corazzata Valiant. Entrarono in porto con dei maiali e minarono le carene delle navi. Quindi, uomo batte corazzata. Ma la guerre l’hanno vinta “gli alleati”, poichè i singoli eroismi e successi, non potevano battere la supremazia aerea che avevano gli alleati e la loro straordinaria potenza militare terrestre-aerea e navale.

    Ecco, questa è anche la regola del calcio, la normalità è che la squadra più forte ed aggressiva, che occupa bene tutti gli spazi, è destinata a raggiungere i suoi obiettivi, nel medio tempo (come diceva Klopp), se si lascia tale tempo all’allenatore.

    Quindi: l’allenatore è solo e spessissimo viene trattato peggio della bottiglietta di plastica.

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