RE GIORGIO E IL SUO SCHIAFFO DI ANAGNI

Se per un allenatore la difficoltà di scegliere i titolari potrebbe essere uno dei momenti più difficili nella gestione della squadra, il corrispettivo per un giocatore lo potremmo trovare nel momento in cui deve gestire le emozioni causate da una sostituzione.

Nella prima situazione la frustrazione è una conseguenza, nella seconda ne diventa il movente, una balestra che arriva a tendersi fino all’inverosimile per far partire qualsiasi cosa.

La frustrazione è sempre il grande cappello sotto cui si ritrova ogni calciatore sostituito, a volte viene declinata in un senso d’ingiustizia (“stavo giocando bene, perché mi ha tolto?”), in altri momenti sembra diventare quasi un peccato di lesa maestà (“non ci credo che stia togliendo proprio me?”).

Questo momento rappresenta la trappola più pericolosa anche per i giocatori con un curriculum comportamentale immacolato, come il grande Javier Zanetti che, in una finale di coppa U.E.F.A contro lo Shlake 04, ebbe un inaspettato (e mai più ripetuto in tutta la carriera) scatto d’ira nei confronti del suo allenatore, Roy Hodgson.

La regione Lazio ha trovato dal 1900 la sua rappresentazione sportiva e calcistica nella S.S. Lazio, questa connessione geografico-sportiva è il teatro dove possiamo recuperare due momenti in cui l’umiliazione dell’Altro è diventato qualcosa di clamoroso.

Nella cittadina laziale di Anagni, il 7 settembre del 1303, si dice che il papa Bonifacio VIII venne schiaffeggiato da Giacomo Colonna, detto Sciarra, dopo essere stato imprigionato per impedirgli di emettere la bolla papale “Super Petri Soli”, attraverso cui avrebbe scomunicato il re francese Filippo IV.

La storia ha poi fatto maggiore chiarezza sull’accaduto, ridefinendo lo “schiaffo di Anagni” come un gesto metaforico, visto che non esistono prove che Giacomo Colonna abbia effettivamente schiaffeggiato Bonifacio VIII, mentre è assodato che Guglielmo di Nogaret, membro del consiglio di stato francese, sia stato l’ideatore dell’azione agevolata anche dalla complicità dei cittadini anagnini che lasciarono aperte le porte della città per agevolare l’ingresso dell’armata avversa al pontefice.

La società sportiva Lazio, invece, ha vissuto il suo primo grande momento di gloria dopo 74 anni dalla sua fondazione, conquistando uno scudetto che non possiamo definire come inaspettato, visto che l’anno prima la squadra arrivò terza, ma comunque una novità che continuava sul solco delle vittorie sorprendenti di Fiorentina e Cagliari.

Il capo popolo di quella squadra fu, senza nessun dubbio, Giorgio Chinaglia, l’uomo che seppe dare ai tifosi laziali, per la prima volta, un orgoglioso senso di appartenenza.

In precedenza la Lazio aveva già ospitato tra le sue fila grandi campioni come Silvio Piola, ma quello che riuscì a fare con il suo spirito tosco-gallese Giorgio Chinaglia fu alimentare una fierezza che i tifosi bianco celesti sembravano non riuscire ad attribuirsi, prima del suo arrivo.

Al termine di quella magica stagione per la Lazio si svolsero i mondiali di calcio del 1974 in Germania e il posto di centravanti doveva essere suo, di quel bisonte capace di caricarsi i compagni su un dorso ingobbito per caricare le difese avversarie.

Alla guida della Lazio campione d’Italia c’era l’allenatore Tommaso Maestrelli, sempre descritto con la definizione rassicurante di allenatore-padre, una figura in grado di ammorbidirsi e indurirsi per compensare le rigidità e le fragilità di un gruppo di giocatori con caratteristiche complesse.

Il tecnico della nazionale nel mondiale del 1974 era Ferruccio Valcareggi, un monumento del calcio italiano con radici triestine e tronco toscano, capace di determinare in maniera assoluta la gestione del talento di due tra i più grandi campioni del calcio italiano del dopo guerra, Rivera e Mazzola.

La nazionale veniva dallo storico mondiale di Messico 70, in cui venne fermata solo dalle divinità verde oro, e si stava per affacciare al rinnovamento dell’era Bearzot, che si sarebbe concretizzata tra il mondiale in Argentina del 78 e quello vittorioso in Spagna nell’82.

L’esordio degli azzurri nella competizione in Germania avvenne contro Haiti e rappresentò uno di quei momenti ciclici della nostra nazionale, in cui avversari apparentemente meno motivanti ci complicano o, addirittura, sbarrano la strada.

La partita iniziò con lo shock del goal subito segnato dal velocissimo Shannon, ma fu ribaltata nel secondo tempo, con una prestazione che rappresentò perfettamente le fragilità di quel gruppo incapace di diventare squadra.

Al sessantanovesimo Valcareggi decise di sostituire Chinaglia con Anastasi e, nel tragitto dal campo agli spogliatoi (perché la panchina non fu mai considerata come possibile meta), Giorgio diede vita ad un vero e proprio manifesto della squalifica.

Trotterellando assai rapidamente, sempre mantenendo la sua postura leggermente ingobbita, schiaffeggiò l’aria con il dorso della mano destra dando dei veri e propri piccoli manrovesci in direzione della panchina.

Il gesto nascose una curiosa ambivalenza, clamoroso e roboante nel significato ma discreto, quasi elegante, nelle movenze.

Chinaglia non imprecò ferocemente, non fece gesti volgari o plateali, schiaffeggiò semplicemente via tutto quello che stava arrivando da quella panchina che lui non riconosceva più.

Valcareggi, a differenza di Bonifacio VIII, non era stato imprigionato dopo aver subito la sua umiliazione, perciò, poté decidere liberamente come gestire quell’attacco alla sua autorità e optò per un cambiamento, schierando nella partita successiva del mondiale Anastasi che, per altro, quando era entrato al posto di Chinaglia aveva segnato.

Per questo non possiamo essere sicuri del fatto che la partenza dalla panchina nella partita con l’Argentina sia stata solo punitiva nei confronti di Giorgio, ma ci piace immaginare che forse solo Maestrelli avrebbe potuto perdonare il suo figlio più ribelle, consapevole di un legame più forte di qualsiasi cosa.

BIO: Davide Bellini

  • Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
  • Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.

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