COME SO-STARE NELLA COMPLESSITA’ DEL GIOCO DEL CALCIO,  SENZA FARSI TRAVOLGERE – 1^ PARTE.

“E’ l’agire personale di ciascuno, basato sulle conoscenze e abilità acquisite, adeguato, in un determinato contesto, … a rispondere ad un bisogno, a risolvere un problema, a eseguire un compito, a realizzare un progetto.

Non è mai un agire semplice, atomizzato, astratto, ma è sempre un agire complesso che coinvolge tutta la persona e che connette in maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e i saper fare (abilità), i comportamenti individuali e relazionali, gli atteggiamenti emotivi, le scelte valoriali, le motivazioni e i fini.

Per questo nasce da una continua interazione tra persona, ambiente e società, e tra significati personali e sociali, impliciti ed espliciti”

Letta adesso questa definizione, sembra rispondere in maniera esauriente alla seguente domanda:

 Che fanno il calciatore e la squadra nel corso della gara?

Non solo, ma rappresenta anche un significativo passo in avanti circa il dibattito tra “ pensante e scegliente”.

Da qui alcune domande: perché la didattica trasmissiva dovrebbe essere sostituita con quella per competenze?
Cos’ha la vecchia didattica che non funziona, tanto da dover essere accantonata?

È una critica indiretta al lavoro dei docenti?

E se si trattasse solo di una moda pedagogica passeggera?

Facciamo un passo indietro.

Molti anni fa, di fronte alla continua accelerazione tecnologica, economica, sociale, esistenziale,  propria della nostra società , emerse da più parti la necessità di cambiare repentinamente i paradigmi educativi adottati per leggere e interpretare la realtà scolastica adoperati fino a quel momento.

Si comprese che l’approccio riduzionistico, deterministico e lineare che aveva caratterizzato l’agire didattico, e che portava ad interpretare la realtà  come formata da entità singole e separate che interagiscono attraverso connessioni predeterminate o predeterminabili, si dimostrava sempre più inadeguato a rispondere alle nuove esigenze personali e sociali.

Ad essere richiesta emergeva sempre più infatti la necessità di intraprendere approcci più olistici e sistemici e di agire attraverso una rinnovata ristrutturazione delle relazioni e dei significati.

E così si diede vita ad una grande campagna ideale e culturale per riformare i sistemi formativi, che vide impegnati più soggetti a cominciare dall’O.M.S.(Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’Unione Europea che emanarono le cosiddette soft skills , la prima, e le competenze chiave per l’ apprendimento permanente e per l’inclusività, la seconda.

Via, via, tutti i sistemi educativi nazionali appartenenti alla Comunità Europea, dovettero designare di conseguenza le cosiddette competenze di cittadinanza attiva.

L’approccio reticolare, ricorsivo, sistemico incominciava a prendere forma.

Ciò che invece mancava era  un modello scolastico coerente e adeguato per raggiungere tali scopi.

Infatti, pur valorizzando metodologie innovative, le diverse sperimentazioni messe in campo affrontavano tematiche specifiche della didattica  ancora inserite all’interno del modello pedagogico e organizzativo tradizionale.

È questo fu  lo scopo  ad aver guidato la sperimentazione istituzionale condotta, oltre venti  anni fa , presso il Liceo dove ho insegnato, per progettare e sviluppare nuove prassi educative che mettessero al centro le competenze e ad approfondire i presupposti teorico-filosofici quale cornice culturale di riferimento.

Ad onor del vero, approcciarsi in maniera sistemica al processo insegnamento/apprendimento, è stata la cifra costante del mio agire professionale.

Difatti, già nel 1982, in sede di concorso a cattedre per l’insegnamento dell’educazione fisica e sportiva, sviluppai la seguente traccia: “ Processi e tappe fondamentali dell’apprendimento motorio e collegamenti della motricità con l’area cognitiva, affettiva e sociale della personalità”.

Da lì in poi, è nato un percorso che si è sviluppato per più di 40 anni.

Di tutto questo, ne ha beneficiato anche il calcio.

Ritornando al discorso di prima, nella costruzione del nuovo modello formativo, insomma, risultò essenziale la coerenza tra la visione antropologica, i costrutti filosofici e le azioni pedagogiche e didattiche che si sarebbero dovuto adottare. .

Era necessario che diventasse senso comune aderire alle teorie che si rifacevano agli approcci costruttivisti, sistemici e della complessità che ben si prestavano a guidare l’interpretazione della realtà sociale contemporanea, non solo, ma che attribuivano di fatto alle scienze motorie e sportive, un ruolo significativo nel processo educativo e formativo.

In verità, sul piano personale, lo studio e l’approfondimento di tutte le teorie che attribuivano alla corporeità ed al suo ruolo peculiare nel processo educativo generale e successivamente l’adesione alla scuola della Metodologia Operativa, ed a quella Fenomenologica avevano avuto influenza sul mio agire professionale, sia in qualità di docente, che di allenatore di calcio.

Ma questo non bastava, occorreva che il nuovo modello divenisse” sistema”

La teoria generale dei sistemi e le riflessioni della scuola di Palo Alto (California – U.S.A.) sui sistemi complessi e sull’approccio costruttivistico al sapere non furono che conferme  per continuare a muoversi in questa direzione.

Così come, in qualità di docente di scienze motorie e sportive, le continue evidenze scientifiche che confermavano l’assunto filosofico della cognizione incarnata ( mente incarnata, corpo situato) e della capacità del cervello di rigenerarsi ( Neuroplasticità), non facevano altro che confermare le mie intuizioni circa il valore dei vissuti di senso e significato che si costruiscono immersi nella esperienza motoria.

Con il termine NEUROPLASTICITÀ ci si riferisce al cambiamento che si verifica nel cervello come conseguenza di un’esperienza.  In passato i ricercatori pensavano che le diverse aree del cervello umano fossero predefinite e immutabili  e che la produzione di neuroni cessasse dopo l’età dello sviluppo, ad eccezione delle strutture dedicate alla memoria, le quali continuano a produrre neuroni anche da adulti. Questa convinzione faceva del cervello un organismo che, una volta raggiunto il suo pieno sviluppo, diveniva statico e incapace di crescere ulteriormente ed era destinato ad un graduale ed inesorabile declino.

La neurobiologia ha portato alla nostra attenzione una proprietà emergente del sistema complesso costituito dal cervello e da sistema nervoso: la neuro plasticità. Le reti neurali apprendono dall’esperienza che produce un lento cambiamento della loro configurazione attraverso collegamenti sinaptici della loro architettura diversa da persona a persona.

Così come la fenomenologia e la teoria dell’enazione ci fanno capire le vere ragioni per cui ci si comporta, si impara, si sente proprio in un certo modo. Poiché e stato dimostrato che stimoli provenienti da diversi canali sensoriali, se positivi, ripetuti e scanditi nel tempo, possono contribuire favorevolmente a configurazioni sinaptiche facilitanti il cambiamento dei comportamenti, si è intrapreso un dialogo proficuo con la neurobiologia, con cui si condividono alcuni pilastri di base:

Embodied = il cervello è nel corpo;

Enacted = siamo potenzialità d’azioni;

Extended = siamo oltre il corpo, nel raggio extracorporeo dell’essere;

Embedded = siamo parte dell’ambiente, spazio di percezione e azione.

Pertanto, sia a scuola che sul campo mi sono gradatamente discostato dal ruolo di dispensatore di un sapere passivo e acritico, impartito con modalità didattiche esclusivamente guidate dal docente, per un apprendimento partecipato e negoziabile, di cui lo studente rappresenta al contempo il destinatario e il “costruttore attivo”.

I metodi didattici hanno  riflettuto, in misura crescente, questo mutamento teorico: da lezioni frontali-accademiche che privilegiano una ricezione passiva e non negoziata si è passati all’introduzione graduale di pratiche educative sempre più improntate ad un’autonomia di gestione e di valutazione, ispirate da un modello costruttivista, in grado di creare un rapporto diretto tra lo studente e i contenuti di apprendimento, al fine precipuo di potenziare le competenze assimilative individuali, attraverso l’elicitazione (stimolazione)di valori quali autostima, autoefficacia, consapevolezza del Sé: il tutto in un contesto partecipativo, collaborativo e funzionale, distante da un’assimilazione non partecipata in cui l’apprendimento viene semplicemente “eseguito”, ma al potenziamento dell’intelligenza fluida, più che ad arricchire quella cristallizzata, flessibile e creativa, priva di fissità funzionali, pensieri euristici e stereotipati che tanto limitano il ragionamento.

La voce dotta di “sistema”, come ci ricorda il Prof.Accame, con il quale ho avuto il privilegio di fare la tesi corso UEFAPRO, arriva pressoché immutata nel suo significato dai greci; una delle definizioni del termine sistema può comunque risalire al 1666 quando Leibnitz lo definisce “Un insieme di parti”.

Tutto questo aprì le porte alla sistemica, prestando una nuova attenzione a concetti quali adattamento, evoluzione, apprendimento, equilibri multipli, emergenza, complessità, imprevedibilità e sistemi caotici.

La complessità si presenta come difficoltà e come incertezza, non come chiarezza e come risposta.

Per molti di noi, la complessità non è una scoperta attuale ”Quello che è attuale è l’averne preso coscienza e il desiderio di rispettare i fenomeni, di qualsiasi tipo essi siano, nella loro dinamica totalità e nella reciprocità dei loro rapporti con il contesto che li accoglie.

 Il messaggio che la complessità ci invia è quello di aprire le nostre menti a un universo di possibili, di scoprire il piacere di scoprire, di inventare non solo nuove regole del gioco (pensando che questo fosse più che sufficiente) ma anche il gioco stesso che, non è per niente detto sia già definito per sempre.

COME ASSORBIRE LA COMPLESSITÀ

Successivamente, e oramai già da qualche anno, il mio interesse scientifico verso quello che viene definito l’agire sapiente, mi ha portato ad approfondire sul rapporto tra dimensione sportiva e dimensione formativa. In questo viaggio, diversi anni or sono, avvicinandomi alla fenomenologia e soprattutto alle neuroscienze, ho scoperto la semplessità, che in questo contributo mi limiterò a presesentarne i concetti chiave, che verranno approfonditi nei successivi interventi.

Per quanto riguarda il termine semplessità esso viene coniato da Alain Berthoz.

La semplessità è un insieme di soluzioni affinché, nonostante la complessità dei processi naturali, il cervello può trovare soluzioni efficaci di fronte soprattutto alle situazioni inattese ed impreviste.

Inoltre per B. la coscienza non è ciò che noi facciamo bensì ciò che noi pensiamo di dover fare, perciò è anticipazione, poiché noi abbiamo coscienza di qualcosa solo dopo averla anticipata. La base della nostra percezione del mondo e di noi stessi, non è solo l’azione ma l’atto, l’atto con la memoria del passato e la proiezione verso il futuro. La parte essenziale dell’atto è l’anticipazione che simula la realtà ancor prima di agire.

Il nostro cervello, è una struttura che anticipa creando una serie di probabilità: si dice infatti che il cervello umano è creatore di mondi . B. afferma che noi siamo sempre coscienti di qualcosa che anticipiamo. Gellmann ci ricorda che la parola semplicità si riferisce all’assenza totale di complessità, in quanto la parola semplice deriva da un espressione che significa: “piegato una sola vota” al contrario, la parola complesso significa un qualcosa di “intrecciato”.

Semplessità e complessità condividono la stessa radice plek (piegare) da cui plic e plex. semplessità inoltre non è sinonimo di semplicità, ma bensì una proprietà fondamentale degli organismi viventi, che ci aiuta a comprendere l’originalità della materia vivente. Berthoz, studioso di fisiologia, ritiene che la vita abbia trovato una serie di soluzioni per semplificare tutte le cose complesse

Questo cambiamento filosofico, scientifico e culturale ha avuto il suo riflesso, come è giusto che sia, nel mondo dello sport, specie nelle discipline aperte, ivi compreso il calcio, che a onor del vero continua ad avere delle ingiustificate remore al riguardo.

E vediamo il perché, secondo me, sono non solo ingiustificate, ma completamente superate dalle considerazioni che andiamo a fare da qui a dopo…CONTINUA...

RAFFAELE DI PASQUALE.

3 Responses

  1. Grazie Prof. molto interessante attendo la seconda parte. Avevo sentito parlare di didattica semplessa durante un convegno dal Prof. Maurizio Sibilio docente di ” Didattica e pedagogia speciale” UNISA

  2. Si. Maurizio Sibilio, mio collega con cui ho collaborato molti anni fa ,assieme al gruppo studio dell’Università di Salerno, è stato un precursore in Italia della semplessità in ambito scolastico. Io ci sono arrivato attraverso la lettura di saggi di lingua francese, dove si faceva riferimento ai lavori di Berthoz. Il quale poi è stato tradotto anche in italiano. Il testo si intitola La Semplessità, che ti invito a consultare.

  3. Comunque, di come i principi dell’approccio semplesso trovino diritto di cittadinanza in ambito calcistico ne parlerò negli articoli successivi a questo, che per comodità editoriali è stato suddiviso in tre parti

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