PROFESSIONALIZZAZIONE DEL FENOMENO SOCIALE CALCIO. LEZIONE 2: FARE IL PREPARATORE ATLETICO NEL CALCIO DEL 2020 – SECONDA PARTE.

…CONTINUA

LA TEORIA DELLE 10.000 ORE.

Il Prof sta raccontando la sua esperienza, il suo percorso culturale che lo ha portato a pensare, come già accennato sopra, come tante cose considerate ordinarie, normali, fossero, in realtà, delle banalità. Anni fa, ad esempio, la teoria delle diecimila ore di Ericsson, era venuta di moda in concomitanza della pubblicazione del libro di Gladwell, “Fuoriclasse”, in cui l’autore ne spiegava le fondamenta. La teoria può essere così riassunta: Per qualsiasi attività umana, sportiva, artistica, piuttosto che per programmare un computer ecc…ecc.. .sono necessarie almeno diecimila ore di pratica affinchè un soggetto si possa considerare di alto livello nello svolgimento di tale attività.

Provando, indicativamente, a contare le ore di pratica svolte da un giocatore che dai dodici entra in un settore giovanile professionistico ed arriva a giocare in Primavera, la somma è all’incirca pari a 4500 ore di formazione, meno della metà delle diecimila richieste. Eppure qualche giocatore è diventato forte lo stesso. È vero che questo tipo di ragionamento ha i suoi limiti perchè magari qualcuno di quei bambini nei giorni in cui non erano impegnati con l’allenamento giocavano a calcio in altri contesti ma, considerando gli impegni scolastici, i tempi trascorsi sui mezzi di trasporto ecc.., le ore da aggiungere non ci permetterebbero di avvicinarci alle diecimila definite da Ericsson.

Detto ciò, quello che possiamo affermare è che, certamente, la pratica sia importante per l’apprendimento, tuttavia non basta desiderare o fare una cosa con tutta la propria volontà per riuscire a farla bene o meglio di altri. Non funziona così. Non basta. Certo uno ci deve provare. Ma non diciamo ai nostri giocatori che basti l’impegno. Ci sono quelli che si impegnano tanto e riescono, ce ne sono un’infinità che si impegnano tantissimo e non riescono e ce n’è anche un certo numero che non si impegna affatto e riesce.

Non basta fare un’attività, bisogna farla bene e bisogna farla specifica. Per cui se non ho mai guidato una macchina da corsa non sarò mai in grado di guidare una macchina da corsa, sebbene abbia guidato per tutta la mia vita, per ben più di diecimila ore, una macchina.

Per cui, tutte le volte che alleniamo i nostri giocatori a un qualcosa che non è ciò che poi andranno a fare, significa che non li stiamo preparando a ciò che andranno a fare. È un’illusione.

UN ACCENNO ALLE NEUROSCIENZE. COME FUNZIONA IL MOVIMENTO?

Il movimento, in estrema sintesi, funziona sulla base del fatto che l’essere umano costruisca nel proprio cervello un progetto motorio conseguentemente ad uno stimolo e lo realizza attraverso i propri muscoli, le proprie articolazioni quindi, attraverso la parte fisiologica e fisica del proprio corpo. Per saper fare una cosa dobbiamo quindi saperla organizzare nel nostro cervello.

Le Neuroscienze che si sono sviluppate in ambito sportivo soprattutto negli ultimi dieci anni o poco più ci hanno cominciato a permettere di capire come funziona la nostra possibilità di imparare delle cose dal punto di vista motorio: quando calciamo la palla, quando la pariamo, quando facciamo un passaggio.

Purtroppo tutto ciò è limitato a sperimentazioni in laboratorio e quindi non stiamo studiando la cosa che effettivamente dovremmo studiare. Inoltre gli studi riguardano movimenti semplici perchè i movimenti più complessi sono inevitabilmente più difficili da riproporre in laboratorio e da osservare.

Ora il Prof fa l’esempio della porta con il pomello di apertura e chiede ai corsisti da che parte dovrà girare il pomello affinchè la porta si apra. Solitamente il senso è quello orario e l’apertura avviene in base a dove si trovi il cardine della porta. Se qualcuno montasse il pomello della porta in senso contrario e non ne fossimo a conoscenza, per aprire la porta, avremmo delle difficoltà.

Dopo alcuni tentativi cominceremmo a ragionare e riusciremmo ad aprire la porta. Avremmo però perso qualche attimo.

Bene, nel nostro contesto, nel contesto di gioco calcistico, se perdo quegli attimi, sono, in termini sportivi, già morto. È la stessa cosa che accade quando l’avversario mi sta dribblando ed io perdo quell’attimo perchè non capisco da che parte stia andando.

Mettiamo da parte questo ragionamento e torniamo ai nostri pomelli: Se giro il pomello a sinistra o se lo giro verso destra pensate sia lo stesso progetto motorio? Semplificando: Pensate che il cervello si attivi nello stesso modo? La risposta è no. Sono due progetti diversi.

Detto questo proviamo a mettere il nostro bambino o bambina davanti al muro o alla forca, strumenti che, ahinoi, ancora si utilizzano. Concentriamoci sull’esercizio del passaggio contro il muro e facciamo un esperimento mettendo dei sensori collegati al cervello del bambino che sta eseguendo i passaggi. Allo stesso modo poniamo i sensori ad un bambino che sta giocando in un’esercitazione di 3vs3. I progetti motori che si attivano nell’eseguire i passaggi a muro sono gli stessi che si attivano con i passaggi eseguiti nel 3vs3? La risposta è no. Sono diversi.

Nel muro la palla esce sempre allo stesso modo, in base a come l’ho calciata. La relazione con il muro è frontale, nel gioco 3vs3 ci sono tutte le possibili angolazioni di arrivo ed uscita della palla, quindi infinite varianti. In più ci sono tutti i processi di relazione con un compagno a cui devo passare la palla e che, tendenzialmente, è in movimento. In più ci sono gli avversari per cui si potrebbe dire, con ragionevole certezza, che sono due situazioni profondamente diverse e, di conseguenza, si attiveranno tutta una serie di coordinazioni differenti e pertanto progetti cerebrali differenti.

Sono più differenti i progetti che dobbiamo costruire tra il giocare a muro e il 3vs3 o quelli per girare il pomello a destra o a sinistra? Probabilmente c’è molta più differenza tra i due esercizi calcistici proposti rispetto alla differenza tra il girare un pomello in senso orario o in senso antiorario.

Se mi trovo in difficoltà nel girar il pomello perchè qualcuno l’ha montato al contrario, provate ad immaginare quel bimbo o quella bimba che alleniamo facendogli fare la scaletta, il muro, la forca quando si ritroverà sul campo di calcio. Sarà capace? Per nulla. Perchè non c’entra nulla. Le neuroscienze ci dicono che funzioniamo così, che apprendiamo in maniera estremamente specifica. Il giocatore di calcio fortissimo non necessariamente sa fare le capriole. Probabilmente le sa fare meglio di uno che ha passato la sua vita seduto su un divano o davanti ad un computer.

Per cui tutte le scalette, tutti gli esercizi generali, tutti gli esercizi tecnici che sono molto lontani dal gioco sono un errore dal punto di vista metodologico.

LA PERIODIZZAZIONEL’ALLENAMENTO È UN PROCESSO DI ADATTAMENTO(Bernstein).

LA TEORIA DELLA SUPERCOMPENSAZIONE. La conoscete? La usate per allenare?

  • Stimolo-periodo di affaticamento-risposta-supercompensazione-l’atleta è diventato più forte-posso sottoporlo ad uno stimolo un po’ più forte e così via…

“Ve la insegnano e voi la utilizzate” afferma il Prof rivolgendosi ai corsisti.

C’è un piccolo problema: Pur essendo il principio dell’adattamento corretto, fisiologicamente assolutamente corretto, ci sono però dei meccanismi fisiologici, dei sistemi fisiologici che hanno dei tempi di adattamento differenti: di un’ora, di sei ore, un giorno, due giorni. Di conseguenza come facciamo a programmare l’allenamento per ottenere la supercompensazione? In sintesi, i miei muscoli hanno recuperato ma non le mie articolazioni, dovrei aspettare ma se aspetto non va bene per i muscoli e allora faccio subito ma, di nuovo, le mie articolazioni non hanno ancora finito di recuperare e quindi rischio di andare in over-training.

Pertanto, nel momento in cui vado a lavorare con la periodizzazione legata alla teoria della supercompensazione vado in difficoltà perchè i vari sistemi del nostro organismo hanno dei tempi di recupero differenti come dimostrato da un punto di vista fisiologico. Diventa molto difficile perchè se ad esempio dovessi allenare l’aspetto delle riserve energetiche dovrei, ogni due giorni, dare uno stimolo. Se invece devo pensare da un punto di vista biochimico, all’aspetto dei mitocondri, avrei bisogno di otto giorni per recuperare alcuni tipi di stimoli. E quindi quando alleno? Come faccio ad allenare in questa maniera? Come mi oriento? SPUNTI DI RIFLESSIONE…

LA PRESTAZIONE FISICA COME DETERMINANTE PRINCIPALE DELLA PRESTAZIONE CALCISTICA.

C’è qualcuno che ci crede? Potremmo avere squadre di alto livello senza preparatori atletici? No!

Qualcuno può immaginarsi che si possa vincere a prescindere dalla prestazione atletica?

In altre parole: se non sono preparato fisicamente, perdo. O, forse, potremmo/dovremmo dire: Se non sono preparato anche fisicamente, perdo.

Ci sono vari sistemi di controllo per stabilire quanto vadano forte i nostri giocatori in partita.

Quello maggiormente utilizzato è il sistema GPS che traccia il movimento dei giocatori. Molti anni fa si lavorava tenendo presente la frequenza cardiaca facendo indossare ai giocatori il cardiofrequenzimetro, oggi non si usa più anche se alcuni ne stanno reintroducendo l’uso.

Avete mai visto le classifiche che correlano la posizione in classifica con il numero dei metri percorsi in gara? Cosa dicono? Ci dicono che chi corre di più vince le partite? No!

Premesso che sia scontato dire che non sia la distanza totale percorsa che conta, anche se vi garantisco che c’è chi ancora ragiona in questi termini nel 2023, ma sono le distanze percorse ad alta intensità che ci dicono qualcosa in più per capire chi può vincere o chi può perdere. Le squadre devono essere capaci, non tanto di correre molto ma di correre tanto ad alta intensità perchè il calcio moderno è diventato sempre più veloce.

Sapete cos’è la potenza metabolica?

Potremmo andare a ragionare sui vari parametri tra cui le distanze percorse a determinate soglie di velocità.

Qual’è il problema nel momento in cui ragioniamo sulle distanze fatte a determinate soglie di velocità?

Il primo problema è che consideriamo la velocità ad alta intensità del giocatore quando si aggira intorno ai 23km/h, qualcuno intorno ai 21 Km/h. Sapete qual’è la velocità media in una corsa di alto livello sui 10.000 metri? 22Km/h. Ora, a prescindere dal valore di velocità che andiamo a definire come alta intensità, il tema su cui dobbiamo discutere è un altro e riguarda lo stile o modello di gioco, per capirci: se la nostra squadra gioca corta, perchè ho deciso di voler giocare corto poichè ritengo che tenere la squadra corta sia generalmente un vantaggio, sia che giochi di possesso sia che giochi di transizione, le distanze ad alta velocità non riuscirò a raggiungerle perchè non ho il tempo. Se la mia squadra si mantiene corta sul campo, il giocatore, anzichè fare 30 metri dovrà farne 10 ed in questa distanza non riuscirà ad arrivare ai 23 Km/h, o ci arriverà poche volte.

Quando andrò a leggere i dati scaricati dal GPS dirò che i giocatori non hanno corso. La squadra non ha mai subito ma non ha corso.

Se poi andiamo a vedere i dati tra un centrocampista ed un esterno, noteremo una grande differenza.

Potremmo allora pensare di fare dei modelli differenti in base ai ruoli, per i centrocampisti e gli esterni ad esempio. Ipotizziamo: il centrocampista deve correre 150 metri a 23 Km/h, l’esterno deve arrivare a 300 metri. Tornando all’analisi della partita potremmo però trovare centrocampisti che percorrono 150 metri e centrocampisti che ne percorrono 50 e non perchè questi ultimi siano più scarsi o meno disposti alla corsa ma, più semplicemente, giocano in maniera diversa. Inoltre i modelli prestativi di ciascun giocatore sono influenzati dai compagni: ad esempio Gattuso, che aveva un modello prestativo differente rispetto a Seedorf e a Pirlo, aveva un determinato modello prestativo se giocava accanto a Seedorf, un altro modello se giocava più vicino a Pirlo. Forse, riflettendoci, non è così importante sapere quanto corra un giocatore.

Tornando alla domanda sulla potenza metabolica, potremmo definirla come la misura del costo energetico. Non abbiamo tempo per approfondire questo tema. (Prof Gualtieri suggerisce gli studi del Prof.Colli)

Una decina di anni fa lo staff della Fiorentina fece uno studio per verificare se, confrontando la potenza metabolica della squadra con quella della Juventus e poi con quella della Roma, chi sviluppasse più potenza, intesa come la somma delle potenze dei singoli giocatori, durante la gara, vincesse più partite.

La potenza chiaramente non è data solo dalle velocità ma ad esempio da un accelerazione per percorrere un certo spazio e dalla successiva frenata. Se percorressi lo stesso spazio ad una velocità costante, l’energia spesa sarebbe minore. Per capirci è più coerente calcolare quanta energia utilizziamo che non misurare le distanze e le velocità. Proviamo a spiegarlo diversamente: se io sono un centrocampista e percorro una distanza limitata ma lo faccio cambiando o invertendo (in una partita ci sono più di mille cambi di attività per ogni giocatore) continuamente la direzione avrò un grande dispendio energetico. La misurazione di questa spesa energetica è importante perchè mi dice quanto la mia squadra sia in grado di andare forte ed in questo modo includo anche tutti quei giocatori che, pur percorrendo distanze brevi, lavorano tanto.

Lo studio ci dice che non c’è alcuna correlazione tra chi vince e chi perde e la maggiore o minore potenza sviluppata. A volte vince chi fa più potenza a volte vince chi ne sviluppa meno!

Il Prof fa un riferimento a tutta una serie di studi di questo tipo implementati durante il suo lungo periodo al settore giovanile del Milan. Ci si accorse come, facendo soprattutto un gioco di possesso (e di principi) perchè considerato formativo (se andate a vedere nei maggiori campionati europei le squadre che fanno più gioco di possesso sono quelle generalmente più in alto in classifica – vedi le tabelle nel link qui sotto),

https://www.filippogalli.com/wp-admin/post.php?post=6699&action=edit#:~:text=URL-,filippogalli,-.com/2023/10

quando la squadra giocava bene, il lavoro fisico risultava essere minore. Quando invece, il lavoro fisico, era elevato, la squadra non giocava bene. Allora, forse, la risposta provocatoria, che dobbiamo darci è: se vogliamo preparare le squadre a vincere dobbiamo allenarle a fare poco lavoro fisico!

Il Prof mostra alcuni grafici sempre relativi ad alcuni studi in cui si nota come,
quando le squadre andavano in vantaggio, corressero di più. Quando andavano in svantaggio correvano di meno. Perchè? Perchè quando si andava in vantaggio gli avversari si aprivano di più e ci lasciavano più spazi, quando andavamo in svantaggio, si chiudevano togliendoci spazi di corsa.

In sintesi il ragionamento di un preparatore atletico dovrebbe essere: non devo far correre tanto i miei giocatori ma aiutarli a giocare bene e il modo di allenare dovrebbe essere coerente con questo ragionamento. Quando faccio fare le ripetute sui 1000 metri o qualsiasi esercitazione fisico-atletica ad un giocatore lo sto mettendo nelle condizioni di apprendere a giocare a calcio meglio o soltanto ad andar più forte dal punto di vista fisico?

È chiaro che si debba raggiungere un certo livello di performance fisico-atletica ma deve essere dentro il contesto del gioco. La priorità è che i giocatori apprendano.

Semmai, tornando ai grafici mostrati, il dato interessante è quello relativo al tempo trascorso sotto i 5 watt, il tempo in cui sto recuperando. Questo tempo in allenamento non deve essere troppo alto. Non è facile perchè ci sono i tempi di interruzione per passare da un’esercitazione all’altra, i tempi in cui si spiega, i tempi necessari all’idratazione ecc…Se questo tempo diventa troppo alto il ritmo generale dell’allenamento si abbassa rispetto alla gara e questo è un problema. Quello che occorre fare è tenere i giocatori all’interno di un contesto di allenamento reale, ossia coerente con quello della gara.

Ora il Prof mostra una tabella con i dati relativi ad un altro progetto portato avanti per dieci anni al settore giovanile del Milan. Sono dati di performance per capire se i giocatori più talentuosi dal punto di vista atletico avessero più possibilità di diventare calciatori rispetto agli altri. E’ infatti abitudine nel calcio sostenere che i giocatori debbano essere fisicamente forti e pertanto la selezione si orienta verso i giocatori cosiddetti strutturati, precoci (dovremmo andare a leggere qualcosa sugli studi relativi al RAE-Related Age Effects) e, di conseguenza, quelli che si considera possano avere difficoltà dal punto di vista fisico non vengano presi in considerazione.

I test erano: 5 e 20 metri di sprint, salto verticale sulle pedane di forza-squat jump, lo squat jump con contromovimento e il percorso di agility per valutare la capacità di cambiare direzione. Tutti eseguiti con le fotocellule. Infine il test di flessibilità. Erano test soprattutto legati alla forza e alla velocità perchè l’idea era che i calciatori moderni si stessero spostando in quella direzione: il calciatore doveva essere veloce, esplosivo, dinamico. Venne creato un database con i dati di tutti i giocatori selezionati nel settore giovanile in quei dieci anni, divisi per fascia d’età ecc…ecc…

Quindi quando un giocatore arrivava ad esempio a 15 anni, eseguiva i test e i risultati venivano messi a confronto con tutti quelli dei giocatori che erano stati nel settore giovanile a quell’età.

Dove si colloca il giocatore tra tutti quelli selezionati e quindi considerati di talento?

Si colloca in un certo punto della curva di distribuzione e quindi, in base al posizionamento, può essere considerato scarso, normale o eccellente. La curva è espressa in percentili, i percentili si trasformano in decili per cui se il giocatore ha una valutazione di 9 vuol dire che è al novantesimo percentile, se prende 5 sarà al cinquantesimo percentile e così via.

Ora la domanda è: Quei calciatori che sono diventati professionisti erano tutti nella zona dell’eccellenza? Ad esempio, il giocatore Calabria, con quasi 200 presenze in serie A, considerato fisicamente abbastanza forte, che possiede corsa e atletismo, dove era posizionato nella curva di distribuzione? Era posizionato nella parte centrale=normale.

Nel 2018 analizzammo i dati dei test dei circa 30 giocatori diventati professionisti, IN SERIE A, B e C, considerando solo cinque anni precedenti il momento della ricerca.

Si nota, nella tabella qui sopra, come la gran parte dei giocatori sia contrassegnato da una riga gialla che corrisponde alla zona centrale nella distribuzione dei risultati e quindi a valori normali.

Essere forti fisicamente non è il fattore determinante, si può essere forti fisicamente e si può essere fisicamente normali. Allora c’è dell’altro e questo ci deve far capire che quando formiamo i giocatori non dobbiamo pensare che chi è fisicamente scarso non possa giocare a calcio e debba, pertanto essere tolto dall’allenamento con la squadra e fatto lavorare facendogli fare ripetute o, più frequentemente, lavori di forza. In altre parole, non tolgo il giocatore dal contesto di gioco, per formarlo dal punto di vista fisico. Il giocatore non deve essere scarso ma neanche necessariamente eccellente, ci basta che sia normale ed in questa sua normalità troverà le strategie per emergere in efficacia nel contesto di gioco oppure non le troverà. Se le troverà può essere che siano in parte legate alle sue capacità fisiche e in parte no.

Se Xavi Hernandez fosse stato come Pogba sarebbe diventato lo stesso giocatore? Non lo sappiamo.

PER CONCLUDERE:

BIO: Domenico Gualtieri:

2 risposte

  1. Complimenti per entrambi gli articoli, ricchi di spunti e di riflessioni, che portano a modificare quello che si fa per migliorare se stessi e il servizio che proponiamo
    in merito a questo, volevo chiederle se era possibile avere dei riferimenti in termini bibliografici sulle metodologie relative all’apprendimento (sono sufficienti i testi di neuroscienze, come citati nei due articoli?)
    come possiamo monitorare, modificare e adattare quello che proponiamo? i feedback che riceviamo dall’atleta? le variazioni sulla stessa esercitazione che riproponiamo nel tempo e come lo svolgimento si modifica? le difficoltà riscontrate in una determinata esercitazione e che magari ci porta a semplificare la stessa e quindi individuare cosa ha reso complicata la stessa e quindi individuare cosa la resa in quel momento non realizzabile?
    oppure bisogna ragionare meno in termini calcistici e più in termini di sviluppo cognitivo? creare proposte varie sotto forma di giochi anche non necessariamente calcistici e favorire soluzioni a queste proposte?
    la domanda chiaramente è in relazione ad atleti di settore giovanile, facendo anche riferimento ai vostri dati di tanti anni del settore giovanile Milan, su cosa possiamo noi preparatori aiutare i ragazzi a potenziare/sviluppare le loro capacità e fare la differenza quando anche le qualità fisiche arrivati a un certo punto non sono più così marcate come in determinati momenti dell’età evolutiva?
    sono stato lungo nella domanda, grazie in anticipo per la risposta e complimenti per il blog e per gli spunti

    1. Ciao Luca, provo a rispondere a tutti i tuoi quesiti anche se, certamente, il Prof Gualtieri ha la competenza necessaria per delle risposte esaustive.
      Dal mio punto di vista, ragionare in termini calcistici significa tenere insieme ogni aspetto tra cui quello cognitivo. La ‘ambiente di apprendimento deve essere quello calcistico per cui eviterei altri giochi. I feedback dell’atleta, ascoltarlo ed osservarlo, sono fondamentali.Per monitorare solitamente si utilizzano dei test ma, se decontestualizzati dal contesto del gioco, rischiano di portarci a conclusioni errate (per semplificare gli atleti diventano bravi ad eseguire i test ma potremmo non ritrovare l’efficacia che il test suggerisce nella realtà del gioco).Il preparatore atletico deve conoscere il gioco del calcio così da comprendere come intervenire su spazi, tempi, numero di giocatori nelle esercitazioni che dovrebbe programmare insieme all’allenatore e ai componenti dello staff. Riguardo alla bibliografia i testi suggeriti dal Prof Gualtieri sono quelli a cui fare riferimento. Sarà mia premura segnalarti altri testi. Buon wend.

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