“DENNIS AGGIRA TUTTO”.

La classe di Bergkamp come sfumatura dell’evitamento.

“Ma dove ha fatto passare il pallone?”

“Come ha fatto solo a pensare ad una giocata del genere?”

Ecco, è esattamente questo il punto!

Pensare una giocata del genere…

Nel calcio si usano in maniera rigidamente distinta le parole “gesto tecnico” e “giocata”, perché ideologicamente devono stare su due piani sfalsati, un gesto tecnico può non essere una giocata ma non è lo stesso per l’inverso.

Una giocata è qualcosa che parte dalla testa e che passa attraverso la tecnica in maniera praticamente obbligata, la fantasia ne è un ingrediente o meglio, un condimento!

Un gesto tecnico può essere distintivo di un giocatore (il doppio passo di Ronaldo. Nazario Da Lima, l’elastico di Ronaldinho etc, etc..) ma la giocata ne diventa la vera e propria rappresentazione in campo.

Quella sera del 2 marzo 2002 al Saint James’s Park di Newcastle Dennis Bergkamp non fece solo un bellissimo goal, ma creò un goal che solo lui avrebbe potuto pensare.

L’Arsenal aveva deciso nel 1995 di puntare sul suo talento, nonostante venisse da due annate non eccellenti in Italia all’Inter, ma presto si trasformò nell’ideale lama di quella squadra che assomigliava più ad un machete che ad una spada.

Bergkamp rappresentò per anni l’eccellenza tecnica dei gunners, sapendosi anche adattare con intelligenza a partner d’attacco molto diversi tra loro, tra cui Ian Writgh, Thierry Henry, Fredrik Ljungberg e Robert Pires.

Quella sera Dennis si trovò nella posizione di partenza più difficile per gli attaccanti, cioè di spalle alla porta con un difensore vicino, ma la sua scelta non ebbe bisogno di appoggiarsi a nulla di razionale o di pianificato, libera di attingere dal bagaglio emotivo più intimo che una persona possa possedere, un magma di paura, speranza, coraggio e irriverenza.

Toccò la palla con il piatto sinistro in modo da farla passare sul lato destro del difensore, poi la rincorse ma passando dietro all’avversario, trovandosi così davanti al portiere che trafisse allargando questa volta il piatto destro per mettere la palla vicino al palo più lontano.

Continuando a vedere quel capolavoro di traiettorie e agilità si ha sempre la sensazione di osservare due elementi che, appena venuti in contatto, decidono di staccarsi perché protetti dalla sicurezza che si rincontreranno per un’ultima e gloriosa separazione.

La sensazione che tutto sia avvenuto prima in uno spazio cognitivo ed emotivo interno a Dennis è rinforzata dal fatto che il contatto fisico con l’avversario fu ridotto al minimo, il corpo gli servì giusto per una difesa del pallone sorretta soprattutto dalla consapevolezza che ormai il più fosse fatto, grazie a quel tocco di piatto che impresse un effetto alla palla impossibile da immaginare, una traiettoria che fece confondere il verde del campo con quello di un telo da biliardo.

Quando solitamente un giocatore di calcio utilizza quella tipologia di dribbling è fondamentale, per trarre in inganno l’avversario, dare l’impressione che pallone e giocatore decidano di andare ai due lati dell’avversario, calciando la palla da una parte e correndo decisamente dall’altra.

In questo caso però Bergkamp rese la cosa ancor più complessa perché, dovendo partire da una posizione non frontale, fu costretto ad inserire una giravolta che andasse nel senso opposto dell’effetto che aveva dato al pallone.

Viene mal di testa solo a descriverlo!

Ma, come accennavamo all’inizio, per pensare ad una giocata di questo tipo è necessario possederla già emotivamente e la connessione tra ciò che Dennis ci mostrò quella sera e il suo carattere sta nel concetto di evitamento.

Per tutta la sua carriera rimase fedele e rispettoso di una delle fobie più comuni del genere umano, la paura di volare.

Una persona che conduce uno stile di vita che potremmo definire (per puro bisogno di sintesi) comune, riuscirebbe a gestire questo evitamento con discreta incuranza, mentre per un giocatore di calcio professionistico vuol dire affrontare con l’auto o con il treno le continue trasferte che, in questo modo, possono diventare vere e proprie odissee.

Bergkamp seguì sempre i suoi compagni di squadra dell’Arsenal guardandoli idealmente dal basso, convivendo con quella paura che gli si era appiccicata addosso dopo un forte spavento nella partenza per i mondiali di USA 94 e da cui non si sarebbe mai più separato.

Evitare un pericolo ha chiaramente soprattutto una valenza positiva, richiamando i nostri più primordiali istinti di sopravvivenza ci aiuta a superare delle difficoltà o a districarci dai pericoli che ci si palesano davanti costantemente, dai più piccoli ai più difficili.

Quando, però, l’evitamento diventa qualcosa di radicato allora comincia ad indossare un vestito disadattivo, rattrappendo la socialità e mutilando la nostra autostima.

Il riverbero dell’evitamento disadattivo è incredibilmente seducente perché ci consente immediatamente di spegnere l’ansia provocata dalla situazione che viviamo come negativa, perciò disdire un appuntamento, cancellare un programma o rinunciare ad un evento diventa la più efficace e comoda delle pillole della felicità.

Anche la specifica paura, in questo modo, diventa qualcosa di enorme ed eterna, rinforzando l’evitamento e trasformandolo spesso in uno vero e proprio stile di vita.

Dennis, nella necessità di tenere in piedi il suo evitamento doveva rinunciare a sessioni di allenamento per poter raggiungere in tempo i luoghi delle partite, perdendosi anche tanti “momenti di spogliatoio” che molti ex calciatori professionisti descrivono come gli aspetti di cui maggiormente sentono la mancanza una volta conclusa la carriera.

Recuperando queste sue caratteristiche ci viene veramente difficile non credere che solo Dennis Bergkamp avrebbe potuto fare un goal del genere, un tributo al concetto di evitamento, una rappresentazione motoria perfetta dell’idea di aggiramento.

Così come trattava la sua paura così faceva con i difensori, equivalente nel funzionamento ma antitetico nei significati, allo stesso modo la sua decisione di non volare lo obbligò ad eccellere nel circumnavigare.

BIO: Davide Bellini

  • Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
  • Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.

2 risposte

  1. Buongiorno Davide . Ho letto con attenzione il tuo articolo e ti ringrazio di cuore ,perche’ da un episodio ,che conoscevo , mi hai aperto un mondo.
    Sono andato a rivedere un gol di Recoba a San Siro contro il Lecce ,stagione 1999/2000,dal momento che Recoba con spalle alla porta , si gira e fa gol . Ma non e’ stato cosi’, perche’ Recoba salta l’avversario con pallonetto . Bergkamp fa una cosa mai vista . Come ha fatto a far passare il pallone in quella maniera , lo hai descitto molto bene tu.
    Buona giornata Davide e complimenti:

    1. Buongiorno Claudio.
      Sono molto, molto contento che l’articolo ti possa essere stato utile!
      Io chiaramente sono “inquinato” dalla mia professione e quella prospettiva proposta nasce proprio da lì.
      Ricordo molto bene, da interista(altro mio inquinamento), il goal di Recoba che hai citato.
      Grazie ancora per le belle parole!

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