TALENTO: APPUNTI SPARSI.

Ci sono lezioni, coordinamenti, momenti di confronto e di scontro che lasciano il segno.

Ho pensato di raccogliere e condividere gli appunti di parte di questi incontri tenutisi con Caterina Gozzoli, la sua equipe e con Edi e Domenico, i miei “compagni di viaggio”.

Sono letture che ogni tanto riprendo e che mi aiutano nel percorso.

Oggi Caterina è Responsabile del Corso di Laurea Magistrale in “Psicologia degli interventi clinici: gruppi, organizzazioni, comunità “ (UCSC, sede di Brescia).

Eccoli.

Da una idea di talento fisso e storico, una sorta di prodotto già finito, si è delineata nel tempo una idea di talento come processo continuo e specchio del periodo storico cui appartiene.

Il talento viene spesso spiegato secondo differenti dottrine, teorie:

-La cosiddetta teoria innatista legata cioè alla cultura che fa riferimenti agli aspetti innati: il talento c’è o no c’è, si tratta di scoprirlo.

-La cultura legata alla corporeità con riferimento in particolare a forza e potenza e al loro allenamento nel senso più tradizionale: lì risiede il talento, c’è in maggiore o minore dote, lo alleno per potenziarne i valori.

-La cultura legata al paradigma ecologico e della complessità: il talento è potenziale che si può sviluppare, potenziare o disperdere. Va pertanto accompagnato nel modo più sinergico e completo possibile per evitare uno stallo nella crescita o addirittura che regredisca fino a sparire.

A fronte di  nuove sfide le scienze necessitano di dialogare in modo complementare e sinergico: non sguardi specialistici, divisi ma dialoganti.

Oggi lo scenario sociale è molto complesso : rapidità e ricchezza di informazioni, iper-esposizione del Sè, crisi dei modelli classici di riferimento, percorsi di sviluppo del talento poco prevedibili con casi di sviluppo tardivo e casi di sviluppo precoce che poi, però, non dà seguito.

Chi è il talento?

E’ un soggetto in età evolutiva con tempi rapidissimi di cambiamento a livello corporeo, cognitivo, emotivo, relazionale, affettivo e sociale.

Ha grandi potenzialità in tempi variabili, secondo un processo non lineare ma con avanzamenti e regressioni continue.

È inserito in un contesto quello sportivo/calcistico, caratterizzato da aspettative e pressioni precoci.

Il talento è creativo e conflittuale.

Il talento è spesso portatore di rottura di schemi consolidati, presenta necessità di stimoli diversificati a cui invece si risponde, frequentemente, con richieste in allenamento, prevedibili.

Lo abbiamo già fatto in un altro articolo:

Per meglio comprendere proviamo a fare un parallelo con ciò che accade nelle aziende.

Partiamo dal presupposto che i talenti siano ricercati dalle aziende.

Tali aziende, molto spesso, si affidano alla consulenza di cacciatori di teste, headhunter in gergo, per trovare talenti. Li selezionano, li impiegano e poi, dopo pochi mesi, vanno in contrasto con loro, in rottura.

Perchè??? Perchè ai talenti viene detto cosa devono fare, togliendo loro la creatività.

Ma come?? Ho implementato un processo di valutazione e selezione di una persona investendo denaro e dopo poco tempo ne disconosco i presupposti e se il talento non si adegua agli schemi aziendali non mi serve più.

Lo ripetiamo:

La diversità, la divergenza sono un valore quando vanno nella direzione, condivisa, dell’obiettivo. Tuttavia se non diamo modo e tempo ai talenti di dimostrare le loro qualità, se giungiamo a giudizi affrettati, come possiamo avvalerci fino in fondo delle loro capacità, della loro unicità?

Lo stesso accade, spesso, nei settori giovanili quando chiediamo ai nostri giocatori di uniformarsi ad un gioco schematico, prestabilito, che facciamo passare per organizzato e lo definiamo erroneamente l’organizzazione della squadra.

L’organizzazione non va contro il talento, è lo schema, l’automatismo, il meccanismo prestabilito ad andare contro il talento.

Se diciamo cosa e come deve farlo, il talento, essendo, per natura, divergente e conflittuale , rompe!

Non possiamo pensare di avere automi che stiano tutti all’interno di un rigido copione.

Ciò che abbiamo detto per un giocatore vale allo stesso modo per un allenatore o per qualsiasi risorsa all’interno della nostra organizzazione di lavoro, anch’essi sono o possono essere talenti.

Il talento è patrimonio genetico + incontri, intesi come incontri con l’altro, e le relazioni che si sviluppano: anche e soprattutto questo è il contesto.

Quale e quanto tempo è necessario e quanto tempo siamo disposti a concedere per capire l’esito delle potenzialità?

Spunti dalla ricerca scientifica:

Cosa caratterizza gli atleti di alto livello?

La self regulation cioè la capacità di apprendimento continuo nell’allenamento e nella partita.

A questo proposito, la qualità della relazione con l’allenatore e i compagni di squadra sono le variabili più incidenti sul benessere dell’atleta, non solo d’élite, e sul suo rendimento.

Per poter mettere il nostro talento nelle condizioni di esprimersi al meglio, ciò che devo provare a fare e’ osservare, ascoltare e poi agire dove mi e’ permesso: sul giocatore ma anche sulle persone più vicine al giocatore: i famigliari, gli insegnanti, gli amici ma anche gli agenti.

Devo osservare, provare a capire il suo pensiero, il suo linguaggio, come si relaziona con i compagni, con gli adulti, quali siano i rapporti all’interno dei contesti che frequenta.

Dobbiamo porre attenzione a quella superficialità che ci porta ad etichettare un giocatore, a definirlo con un aggettivo. Un’attenzione che deve essere sempre alta. Tanto più alta quanto più giovane è il giocatore.

Sono queste modalità che oggi caratterizzano le organizzazioni più competitive e generatrici di buoni prodotti o servizi.

No ad una struttura interna a silos separati , si ad una struttura per aree/funzioni/ruoli integrati, in continua connessione.

-Tempi e luoghi per la  connessione delle diverse componenti/ruoli/persone/idee ;

-Obiettivi sostenibili e condivisi;

-Valorizzazione della differenza e del conflitto costruttivo (l’omogeneità premia nel breve non nel medio-lungo periodo) ;

-Cultura del lavoro comune e della valutazione del lavoro: cosa chiedo , cosa do e cosa ricevo dalla mia società?

-Gruppo è strumento di lavoro privilegiato:  abitudine al confronto necessario per innovare;

-Valorizzazione delle persone al lavoro: il capitale umano , formazione e  apprendimento continuo.

-Flessibilità delle proposte a seconda dell’interlocutore: ciascuno ha una sua specificità…cosa è più efficace e per chi?

Tracciabilità di cosa si fa e consapevolezza del perchè si è scelto di fare in quel modo.

Importanza della memoria organizzativa.

Appunti…sparsi.

4 risposte

  1. Mi è tornata in mente, leggendo alcune parti di questa rilevante e puntuale riflessione sul talento (questione spesso attraversata nel percorso professionale) , un frammento dello spettacolo a cui ho assistito ieri sera ( Francesco Piccolo & Pif, MOMENTI DI TRASCURABILE (IN)FELICITA’ : “Entro in un negozio di scarpe, perchè ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46. Lei torna e dice : mi dispiace non abbiamo il suo numero. Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41. E mi guarda in silenzio, perchè vuole una risposta. E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41”. Nella nostra società, nello sport, nella scuola, nei percorsi professionali in teoria tutti ambirebbero ad avere quei rari bambini, studenti, professionisti con un piede n.46. Ma poi, per svariati motivi non tutti elencabili, si tende sempre a voler uniformare quel numero al più comune 41 . Perchè “il gruppo “deve essere un’entità che dialoga, deve avere un linguaggio comune”, perchè la squadra “va comunque controllata”, perchè i nostri approcci dovrebbero cambiare ed essere adeguati anche a queste rarità. Il che significherebbe capirle fino in fondo, comprendere o accettare a volte senza capirle le loro intuizioni, il loro sesto senso, spostarci dalla nostra confort zone verso il loro uncommon point of view. Nella scuola poi, quasi impossibile: l’omologazione spesso regna sovrana. Ed i poveri gifted ci provano a fare davvero di tutto per uniformarsi, almeno una volta, allo standard 41. Ma uniformare il talento alla realtà davvero non si può ed anche recentemente abbiamo assistito a prese di posizione a scelte spesso incomprensibili agli occhi dei più in campo sportivo nazionale da parte di top players. Rilancio quindi sul piatto una domanda: Come individuare le vie attraverso le quali dare l’adeguato lustro a questi preziosi pacchi dono che talvolta la natura o il caso o le opportunità ci offrono? Grazie per questa fucina di pensieri

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